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domingo, 31 de julio de 2022

Domingo 4 septiembre 2022, XXIII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA AL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE

Sabato, 12 febbraio 1983

Penso che abbiate fatto molto bene a scegliere per la festa del Seminario - la festa della Madonna della Fiducia -, e per il nostro incontro, il brano evangelico delle nozze di Cana che ci avete ora presentato in forma musicale per riflettere ancora più profondamente su quanto avvenne a Cana di Galilea. Avete scelto bene perché, possiamo ben dirlo, la realtà della Madre della Fiducia è appunto inscritta, molto discretamente ma realmente, in questo brano evangelico. Che cosa provavano nei loro cuori i due sposi, nel momento in cui mancò il vino, mentre si accostavano alla Madre di Gesù? La fiducia, appunto. Essi avevano fiducia in lei. Avevano una fiducia spontanea, una fiducia che diceva: “lei ci può aiutare”. Perché? Forse non lo pensavano, forse non lo sapevano, ma lo sentivano: “Ci può aiutare perché è la Madre, ed essendo Madre ci può capire, può capire le nostre difficoltà e questo è il primo passo per aiutare: capire le difficoltà. E poi, dopo aver capito le nostre difficoltà, ci potrà aiutare”.

Essi non pensavano come lei potesse aiutarli, ma erano convinti che lei li avrebbe aiutati. Così, nel Vangelo di Cana di Galilea, si scopre la fiducia umana e, insieme, la Madre della Fiducia, perché Maria non ha deluso i due sposi, anzi ha fatto ciò che essi desideravano: li ha aiutati.

Così, contemplando questo avvenimento evangelico descrittoci da san Giovanni Evangelista, noi abbiamo anche potuto contemplare il mistero della fiducia. Questo mistero della fiducia, della Madonna della Fiducia, è profondamente iscritto nella tradizione del Seminario Romano, nella sua genealogia spirituale: possiamo ben dire che molte generazioni di seminaristi, di futuri sacerdoti, si siano formate qui, in questo Seminario, con una ispirazione che veniva dalla persona di Maria, Madre della Fiducia. Era necessaria questa persona come punto di riferimento nella preparazione dei futuri sacerdoti. Era necessaria perché il sacerdozio comporta una decisione, una vocazione che viene da Cristo, che è operata dallo Spirito Santo, ma che deve anche essere decisa da un soggetto umano, da un giovane. Questa decisione comporta a sua volta una disponibilità di se stesso: io devo disporre di me stesso, della mia persona, di tutta la mia vita; devo dare me stesso a Cristo, al suo servizio, al suo Sacerdozio, a tutti i compiti sacerdotali che ne conseguono. Questa scelta devo farla nel Seminario e così mi trovo talvolta tra difficoltà interiori, perché questa è una decisione importante e responsabile, una decisione che fa anche temere che io non possa affrontare tutte le prove che l’accompagnano: potrò rimanere fedele per tutta la vita alla scelta fatta in gioventù? potrò compiere quanto ho desiderato durante i giovani anni della mia vita?

Questa decisione è difficile e deve essere difficile. Deve comportare queste domande fondamentali che toccano me stesso e, facendo così e vedendo così, il nucleo stesso della vita seminaristica, perché questo è il nucleo: la vocazione. La vocazione che deve apparire qui deve maturare qui, si deve decidere qui. E vedendo qual è il nucleo stesso della vita di questo Seminario, si capisce bene com’è importante il riferimento alla Madonna della Fiducia, perché se noi abbiamo fiducia nella Madre di Cristo come la ebbero gli sposi di Cana di Galilea, possiamo affidare a lei le nostre preoccupazioni, come hanno fatto loro. Possiamo anche affidare a lei le nostre decisioni, i tormenti interiori che talvolta ci affliggono; possiamo affidare tutto questo a lei, alla Madonna della Fiducia, cioè alla Madre del nostro affidamento: io mi affido a te, io voglio dedicarmi a Cristo, ma mi affido a te, così come facevano gli sposi. Essi non sono andati direttamente da Cristo a domandare un miracolo, sono andati da Maria; hanno affidato a Maria le loro preoccupazioni, le loro difficoltà. Così facendo essi naturalmente volevano arrivare a Cristo, volevano provocare - se così si può dire - Cristo e la sua potenza messianica. E così anche noi, nella nostra vocazione che è una strada, un cammino spirituale verso Cristo, per essere di Cristo, per essere “alter Christus”, anche noi dobbiamo trovare questa Madre del nostro affidamento e dobbiamo affidarci a lei per affidarci a Cristo, per dedicarci a Cristo, per donarci a Cristo. Dobbiamo affidarci a lei, perché l’indirizzo è unico, e se ci rivolgiamo a lei ci rivolgiamo a Cristo, così come gli sposi si rivolsero a lei e arrivarono a Cristo. Così è unita Maria a suo Figlio.

Tutte queste considerazioni io le devo al vostro “Oratorio” che ho ascoltato seguendolo con grande gratitudine, con piacere estetico ma anche con le riflessioni spirituali ed evangeliche che vi ho adesso presentato. Possiamo ben dire che queste riflessioni sono un frutto comune del nostro lavoro, vostro e mio, e così, nel presentarvele, mi corre anche l’obbligo di ringraziarvi per l’opera che avete compiuto.

Quanto ho detto dal punto di vista della vocazione sacerdotale è importante per ogni cammino vocazionale, per ogni strada che si deve scegliere. Noi sappiamo che - la dottrina spirituale e anche la dottrina dogmatica e morale del Concilio Vaticano II lo sottolineano - la vita cristiana è una vocazione. È una vocazione in ogni stato: la vita familiare, la vita matrimoniale, è una vocazione se cerchiamo di viverla bene, nella pienezza dei contenuti, nella pienezza dei doveri, nella pienezza dell’ideale cristiano. È una vocazione in certo senso, esemplare, perché anche la vocazione sacerdotale, come abbiamo visto oggi, viene inscritta nel quadro delle nozze, le nozze di Cristo con la Chiesa. Queste nozze - Cristo sposo della Chiesa, la Chiesa sposa di Cristo - sono un’immagine biblica, di san Paolo, molto eloquente. Così profonda è la vocazione degli sposi. E Cristo si è rivelato durante uno sposalizio. Durante le nozze di Cana di Galilea, egli si è rivelato come Messia, cioè anche come sacerdote.

Dico questo solo per completare le altre considerazioni che si riferivano al seminaristi, ai futuri sacerdoti, perché vedo in questa assemblea molti laici, uomini, donne, giovani e voglio dire una parola che tocchi anche la loro vita e la loro vocazione. La dico tanto più convinto perché so che voi siete nella fase di ricerca della vostra propria vocazione, che anche voi state compiendo un cammino vocazionale. Le vocazioni sono diverse nella Chiesa, ma tutte costituiscono la ricchezza, il tesoro della Chiesa, e io auguro a tutti di trovare la propria particella di questo tesoro della Chiesa che proviene da Cristo, sposo della Chiesa.

Voglio, infine, affidarvi tutti a questa Madonna del Seminario Romano: penso di trovarmi così in sintonia con le vostre intenzioni. Nel giorno in cui ci siamo riuniti per celebrare la Madonna della Fiducia nel Seminario Romano, vogliamo scoprire nel suo cuore anche un affidamento, scoprirlo e approfondirlo, così come l’hanno scoperto i due sposi di Cana di Galilea.

CALENDARIO

4 + XXIII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa
del Domingo (verde).
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical.
LECC.: vol. I (C).
- Sab 9, 13-18.
¿Quién se imaginará lo que el Señor quiere?
- Sal 89. R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
- Flm 9b-10. 12-17. Recóbralo, no como esclavo, sino como un hermano querido.
- Lc 14, 25-33. Aquel que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío.

La liturgia de este domingo nos recordará que Cristo es luz del mundo y que el que lo sigue no camina en las tinieblas, sino que tendrá la luz de la vida (ant. de la comunión). El auténtico progreso del hombre –la luz– está en el seguimiento pleno a Jesucristo: «Aquel que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío» (Ev.). Tenemos que renunciar incluso a la intención de querer encerrar el Evangelio en los moldes de siempre, con actitudes fundamentalistas, sin querer discernir, unidos a la Iglesia, los «signos de los tiempos». A través de ellos descubriremos la voz del Espíritu Santo, que es quien nos ayuda a comprender lo que Dios quiere (cf. 1 lect.). Así alcanzaremos la libertad verdadera (cf. 1.ª orac.), que nos hará capaces de no anteponer nada ni nadie a Jesucristo.

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial.

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II.

Martirologio: elogs. del 5 de septiembre, pág. 535.
CALENDARIOS: Agustinos y Hermanas de Nuestra Señora de la Consolación: Nuestra Señora, Madre de la Consolación (S).
Mondoñedo-Ferrol: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Fernando García Cadiñanos, obispo (2021).
Tenerife: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Bernardo Álvarez Afonso, obispo (2005).

TEXTOS MISA

XXIII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Antífona de entrada Sal 118, 137. 124
Señor, tú eres justo, tus mandamientos son rectos. Trata con misericordia a tu siervo.
Iustus es, Dómine, et rectum iudícium tuum; fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

Monición de entrada
Año C
Celebramos la Pascua semanal, la eucaristía en el día de la resurrección del Señor. Nos hemos reunido en su nombre y hemos sido convocados por él. Desde el bautismo nos llama constantemente a su seguimiento cada vez más fiel y decidido; dejemos a un lado todo lo que nos impide y renunciemos a todo para tenerlo a él como nuestro único verdadero tesoro.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula puede usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Tú eres nuestro único Maestro: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Tú eres nuestro único Señor: Cristo, ten piedad.
R. Cristo, ten piedad.
- Tú eres nuestra salvación: Señor, ten piedad
R. Señor, ten piedad
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición y de la aspersión del agua bendita.

Se dice Gloria.

Oración colecta
Oh, Dios, por ti nos ha venido la redención y se nos ofrece la adopción filial; mira con bondad a los hijos de tu amor, para que cuantos creemos en Cristo alcancemos la libertad verdadera y la herencia eterna. Por nuestro Señor Jesucristo.
Deus, per quem nobis et redémptio venit et praestátur adóptio, fílios dilectiónis tuae benígnus inténde, ut in Christo credéntibus et vera tribuátur libértas, et heréditas aetérna. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XXIII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C (Lec. I C).

PRIMERA LECTURA Sab 9, 13-18
¿Quién se imaginará lo que el Señor quiere?
Lectura del libro de la Sabiduría.

¿Qué hombre conocerá el designio de Dios?,
o ¿quién se imaginará lo que el Señor quiere?
Los pensamientos de los mortales son frágiles
e inseguros nuestros razonamientos,
porque el cuerpo mortal oprime el alma
y esta tienda terrena abruma la mente pensativa.
Si apenas vislumbramos lo que hay sobre la tierra
y con fatiga descubrimos lo que está a nuestro alcance,
¿quién rastreará lo que está en el cielo?,
¿quién conocerá tus designios, si tú no le das sabiduría
y le envías tu santo espíritu desde lo alto?
Así se enderezaron las sendas de los terrestres,
los hombres aprendieron lo que te agrada
y se salvaron por la sabiduría».

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 89, 3-4. 5-6. 12-13. 14 y 17 (R.: 1bc)
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Tú reduces el hombre a polvo,
diciendo: «Retornad, hijos de Adán».
Mil años en tu presencia son un ayer que pasó;
una vela nocturna.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Si tú los retiras
son como un sueño,
como hierba que se renueva
que florece y se renueva por la mañana,
y por la tarde la siegan y se seca.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Enséñanos a calcular nuestros años,
para que adquiramos un corazón sensato.
Vuélvete, Señor, ¿hasta cuándo?
Ten compasión de tus siervos.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Por la mañana sácianos de tu misericordia,
y toda nuestra vida será alegría y júbilo.
Baje a nosotros la bondad del Señor
y haga prósperas las obras de nuestras manos.
Sí, haga prósperas las obras de nuestras manos.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

SEGUNDA LECTURA Flm 9b-10. 12-17
Recóbralo, no como esclavo, sino como un hermano querido
Lectura de la carta del apóstol san Pablo a Filemón.

Querido hermano:
Yo, Pablo, anciano, y ahora prisionero por Cristo Jesús, te recomiendo a Onésimo, mi hijo, a quien engendré en la prisión Te lo envío como a hijo.
Me hubiera gustado retenerlo junto a mí, para que me sirviera en nombre tuyo en esta prisión que sufro por el Evangelio; pero no he querido retenerlo sin contar contigo: así me harás este favor, no a la fuerza, sino con toda libertad.
Quizá se apartó de ti por breve tiempo para que lo recobres ahora para siempre; y no como esclavo, sino como algo mejor que un esclavo, como un hermano querido, que silo es mucho para mí, cuánto más para ti, humanamente y en el Señor.
Si me consideras compañero tuyo, recíbelo a él como a mí.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya Sal 118, 135
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Haz brillar tu rostro sobre tu siervo, enséñame tus decretos. R.
Fáciem tuam illúmina super servum tuum, et doce me iustificatiónes tuas.

EVANGELIO Lc 14, 25-33
El que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, mucha gente acompañaba a Jesús; él se volvió y les dijo:
«Si alguno viene a mí y no pospone a su padre y a su madre, a su mujer y a sus hijos, a sus hermanos y a sus hermanas, e incluso a sí mismo, no puede ser discípulo mío.
Quien no carga con su cruz y viene en pos de mí, no puede ser discípulo mío.
Así, ¿quién de vosotros, si quiere construir una torre, no se sienta primero a calcular los gastos, a ver si tiene para terminarla? No sea que, si echa los cimientos y no puede acabarla, se pongan a burlarse de él los que miran, diciendo:
“Este hombre empezó a construir y no pudo acabar”.
¿O qué rey, si va a dar la batalla a otro rey, no se sienta primero a deliberar si con diez mil hombres podrá salir al paso del que lo ataca con veinte mil?
Y si no, cuando el otro está todavía lejos, envía legados para pedir condiciones de paz.
Así pues, todo aquel de entre vosotros que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Francisco
Homilía en la Santa Misa. Antananarivo, Madagascar. 
Domingo, 8 de septiembre de 2019.
El Evangelio nos dice que «mucha gente acompañaba a Jesús» (Lc 14, 25). Como esas multitudes que se agrupaban a lo largo del camino de Jesús, muchos de vosotros habéis venido para acoger su mensaje y para seguirlo. Pero bien sabéis que el seguimiento de Jesús no es fácil. Vosotros no habéis descansado, y muchos habéis pasado la noche aquí. El evangelio de Lucas nos recuerda, en efecto, las exigencias de este compromiso.
Es importante evidenciar cómo estas exigencias se dan en el marco de la subida de Jesús a Jerusalén, entre la parábola del banquete donde la invitación está abierta a todos –especialmente para aquellos rechazados que viven en las calles y plazas, en el cruce de caminos–; y las tres parábolas llamadas de la misericordia, donde también se organiza fiesta cuando lo perdido es hallado, cuando quien parecía muerto es acogido, celebrado y devuelto a la vida en la posibilidad de un nuevo comenzar. Toda renuncia cristiana tiene sentido a la luz del gozo y la fiesta del encuentro con Jesucristo.
La primera exigencia nos invita a mirar nuestros vínculos familiares. La vida nueva que el Señor nos propone resulta incómoda y se transforma en sinrazón escandalosa para aquellos que creen que el acceso al Reino de los Cielos sólo puede limitarse o reducirse a los vínculos de sangre, a la pertenencia a determinado grupo, clan o cultura particular. Cuando el "parentesco" se vuelve la clave decisiva y determinante de todo lo que es justo y bueno se termina por justificar y hasta "consagrar" ciertas prácticas que desembocan en la cultura de los privilegios y la exclusión –favoritismos, amiguismos y, por tanto, corrupción–. La exigencia del Maestro nos lleva a levantar la mirada y nos dice: cualquiera que no sea capaz de ver al otro como hermano, de conmoverse con su vida y con su situación, más allá de su proveniencia familiar, cultural, social «no puede ser mi discípulo» (Lc 14, 26). Su amor y entrega es una oferta gratuita por todos y para todos.
La segunda exigencia nos muestra lo difícil que resulta el seguimiento del Señor cuando se quiere identificar el Reino de los Cielos con los propios intereses personales o con la fascinación por alguna ideología que termina por instrumentalizar el nombre de Dios o la religión para justificar actos de violencia, segregación e incluso homicidio, exilio, terrorismo y marginación. La exigencia del Maestro nos anima a no manipular el Evangelio con tristes reduccionismos sino a construir la historia en fraternidad y solidaridad, en el respeto gratuito de la tierra y de sus dones sobre cualquier forma de explotación; animándonos a vivir el «diálogo como camino; la colaboración común como conducta; el conocimiento recíproco como método y criterio» (Documento sobre la fraternidad humana, Abu Dhabi, 4 febrero 2019); no cediendo a la tentación de ciertas doctrinas incapaces de ver crecer juntos el trigo y la cizaña en la espera del dueño de la mies (cf. Mt 13, 24-30).
Y, por último, ¡qué difícil puede resultar compartir la vida nueva que el Señor nos regala cuando continuamente somos impulsados a justificarnos a nosotros mismos, creyendo que todo proviene exclusivamente de nuestras fuerzas y de aquello que poseemos Cuando la carrera por la acumulación se vuelve agobiante y abrumadora –como escuchamos en la primera lectura– exacerbando el egoísmo y el uso de medios inmorales! La exigencia del Maestro es una invitación a recuperar la memoria agradecida y reconocer que, más bien que una victoria personal, nuestra vida y nuestras capacidades son fruto de un regalo (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 55) tejido entre Dios y tantas manos silenciosas de personas de las cuales sólo llegaremos a conocer sus nombres en la manifestación del Reino de los Cielos.
Con estas exigencias, el Señor quiere preparar a sus discípulos a la fiesta de la irrupción del Reino de Dios liberándolos de ese obstáculo dañino, en definitiva, una de las peores esclavitudes: el vivir para sí. Es la tentación de encerrarse en pequeños mundos que termina dejando poco espacio para los demás: ya no entran los pobres, ya no se escucha la voz de Dios, ya no se goza la dulce alegría de su amor, ya no palpita el entusiasmo por hacer el bien. Muchos, al encerrarse, pueden sentirse "aparentemente" seguros, pero terminan por convertirse en personas resentidas, quejosas, sin vida. Esa no es la opción de una vida digna y plena, ese no es el deseo de Dios para nosotros, esa no es la vida en el Espíritu que brota del corazón de Cristo resucitado (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 2).
En el camino hacia Jerusalén, el Señor, con estas exigencias, nos invita a levantar la mirada, a ajustar las prioridades y sobre todo a crear espacios para que Dios sea el centro y eje de nuestra vida.
Miremos nuestro entorno, ¡cuántos hombres y mujeres, jóvenes, niños sufren y están totalmente privados de todo! Esto no pertenece al plan de Dios. Cuán urgente es esta invitación de Jesús a morir a nuestros encierros, a nuestros individualismos orgullosos para dejar que el espíritu de hermandad –que surge del costado abierto de Jesucristo, de donde nacemos como familia de Dios– triunfe, y donde cada uno pueda sentirse amado, porque es comprendido, aceptado y valorado en su dignidad. «Ante la dignidad humana pisoteada, a menudo permanecemos con los brazos cruzados o con los brazos caídos, impotentes ante la fuerza oscura del mal. Pero el cristiano no puede estar con los brazos cruzados, indiferente, ni con los brazos caídos, fatalista: ¡no! El creyente extiende su mano, como lo hace Jesús con él» (Homilía con motivo de la Jornada Mundial de los Pobres, 18.XI.18).
La Palabra de Dios que hemos escuchado nos invita a reanudar el camino y a atrevernos a dar ese salto cualitativo y adoptar esta sabiduría del desprendimiento personal como la base para la justicia y para la vida de cada uno de nosotros: porque juntos podemos darle batalla a todas esas idolatrías que llevan a poner el centro de nuestra atención en las seguridades engañosas del poder, de la carrera y del dinero y en la búsqueda patológica de glorias humanas.
Las exigencias que indica Jesús dejan de ser pesantes cuando comenzamos a gustar la alegría de la vida nueva que él mismo nos propone: la alegría que nace de saber que Él es el primero en salir a buscarnos al cruce de caminos, también cuando estábamos perdidos como aquella oveja o ese hijo pródigo. Que este humilde realismo –es un realismo, un realismo cristiano– nos impulse a asumir grandes desafíos, y os dé las ganas de hacer de vuestro bello país un lugar donde el Evangelio se haga vida, y la vida sea para mayor gloria de Dios.
Decidámonos y hagamos nuestros los proyectos del Señor
Canonización Teresa de Calcuta, Domingo 4 de septiembre de 2016.
«¿Quién comprende lo que Dios quiere?» (Sb 9, 13). Este interrogante del libro de la Sabiduría, que hemos escuchado en la primera lectura, nos presenta nuestra vida como un misterio, cuya clave de interpretación no poseemos. Los protagonistas de la historia son siempre dos: por un lado, Dios, y por otro, los hombres. Nuestra tarea es la de escuchar la llamada de Dios y luego aceptar su voluntad. Pero para cumplirla sin vacilación debemos ponernos esta pregunta: ¿cuál es la voluntad de Dios?
La respuesta la encontramos en el mismo texto sapiencial: «Los hombres aprendieron lo que te agrada» (Sb 9, 18). Para reconocer la llamada de Dios, debemos preguntarnos y comprender qué es lo que le gusta. En muchas ocasiones, los profetas anunciaron lo que le agrada al Señor. Su mensaje encuentra una síntesis admirable en la expresión: «Misericordia quiero y no sacrificios» (Os 6, 6; Mt 9, 13). A Dios le agrada toda obra de misericordia, porque en el hermano que ayudamos reconocemos el rostro de Dios que nadie puede ver (cf. Jn 1, 18). Cada vez que nos hemos inclinado ante las necesidades de los hermanos, hemos dado de comer y de beber a Jesús; hemos vestido, ayudado y visitado al Hijo de Dios (cf. Mt 25, 40). En definitiva, hemos tocado la carne de Cristo
Estamos llamados a concretar en la realidad lo que invocamos en la oración y profesamos en la fe. No hay alternativa a la caridad: quienes se ponen al servicio de los hermanos, aunque no lo sepan, son quienes aman a Dios (cf. 1Jn 3, 16-18; St 2, 14-18). Sin embargo, la vida cristiana no es una simple ayuda que se presta en un momento de necesidad. Si fuera así, sería sin duda un hermoso sentimiento de humana solidaridad que produce un beneficio inmediato, pero sería estéril porque no tiene raíz. Por el contrario, el compromiso que el Señor pide es el de una vocación a la caridad con la que cada discípulo de Cristo lo sirve con su propia vida, para crecer cada día en el amor.
Hemos escuchado en el Evangelio que «mucha gente acompañaba a Jesús» (Lc 14, 25). Hoy aquella «gente» está representada por el amplio mundo del voluntariado, presente aquí con ocasión del Jubileo de la Misericordia. Vosotros sois esa gente que sigue al Maestro y que hace visible su amor concreto hacia cada persona. Os repito las palabras del apóstol Pablo: «He experimentado gran gozo y consuelo por tu amor, ya que, gracias a ti, los corazones de los creyentes han encontrado alivio» (Flm 1, 7). Cuántos corazones confortan los voluntarios. Cuántas manos sostienen; cuántas lágrimas secan; cuánto amor derraman en el servicio escondido, humilde y desinteresado. Este loable servicio da voz a la fe –¡da voz a la fe!– y expresa la misericordia del Padre que está cerca de quien pasa necesidad.
El seguimiento de Jesús es un compromiso serio y al mismo tiempo gozoso; requiere radicalidad y esfuerzo para reconocer al divino Maestro en los más pobres y descartados de la vida y ponerse a su servicio. Por esto, los voluntarios que sirven a los últimos y a los necesitados por amor a Jesús no esperan ningún agradecimiento ni gratificación, sino que renuncian a todo esto porque han descubierto el verdadero amor. Y cada uno de nosotros puede decir: «Igual que el Señor ha venido a mi encuentro y se ha inclinado sobre mí en el momento de necesidad, así también yo salgo al encuentro de él y me inclino sobre quienes han perdido la fe o viven como si Dios no existiera, sobre los jóvenes sin valores e ideales, sobre las familias en crisis, sobre los enfermos y los encarcelados, sobre los refugiados e inmigrantes, sobre los débiles e indefensos en el cuerpo y en el espíritu, sobre los menores abandonados a sí mismos, como también sobre los ancianos dejados solos. Dondequiera que haya una mano extendida que pide ayuda para ponerse en pie, allí debe estar nuestra presencia y la presencia de la Iglesia que sostiene y da esperanza». Y, esto, hacerlo con la viva memoria de la mano extendida del Señor sobre mí cuando estaba por tierra.
Madre Teresa, a lo largo de toda su existencia, ha sido una generosa dispensadora de la misericordia divina, poniéndose a disposición de todos por medio de la acogida y la defensa de la vida humana, tanto la no nacida como la abandonada y descartada. Se ha comprometido en la defensa de la vida proclamando incesantemente que «el no nacido es el más débil, el más pequeño, el más pobre». Se ha inclinado sobre las personas desfallecidas, que mueren abandonadas al borde de las calles, reconociendo la dignidad que Dios les había dado; ha hecho sentir su voz a los poderosos de la tierra, para que reconocieran sus culpas ante los crímenes -¡ante los crímenes!- de la pobreza creada por ellos mismos. La misericordia ha sido para ella la «sal» que daba sabor a cada obra suya, y la «luz» que iluminaba las tinieblas de los que no tenían ni siquiera lágrimas para llorar su pobreza y sufrimiento.
Su misión en las periferias de las ciudades y en las periferias existenciales permanece en nuestros días como testimonio elocuente de la cercanía de Dios hacia los más pobres entre los pobres. Hoy entrego esta emblemática figura de mujer y de consagrada a todo el mundo del voluntariado: que ella sea vuestro modelo de santidad. Pienso, quizás, que tendremos un poco de dificultad en llamarla Santa Teresa. Su santidad es tan cercana a nosotros, tan tierna y fecunda que espontáneamente continuaremos a decirle «Madre Teresa».
Esta incansable trabajadora de la misericordia nos ayude a comprender cada vez más que nuestro único criterio de acción es el amor gratuito, libre de toda ideología y de todo vínculo y derramado sobre todos sin distinción de lengua, cultura, raza o religión. Madre Teresa amaba decir: «Tal vez no hablo su idioma, pero puedo sonreír». Llevemos en el corazón su sonrisa y entreguémosla a todos los que encontremos en nuestro camino, especialmente a los que sufren. Abriremos así horizontes de alegría y esperanza a toda esa humanidad desanimada y necesitada de comprensión y ternura.
ÁNGELUS, Domingo, 8 de septiembre de 2013
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
En el Evangelio de hoy (Lc 14, 25-33) Jesús insiste acerca de las condiciones para ser sus discípulos: no anteponer nada al amor por Él, cargar la propia cruz y seguirle. En efecto, mucha gente se acercaba a Jesús, quería estar entre sus seguidores; y esto sucedía especialmente tras algún signo prodigioso, que le acreditaba como el Mesías, el Rey de Israel. Pero Jesús no quiere engañar a nadie. Él sabe bien lo que le espera en Jerusalén, cuál es el camino que el Padre le pide que recorra: es el camino de la cruz, del sacrificio de sí mismo para el perdón de nuestros pecados. Seguir a Jesús no significa participar en un cortejo triunfal. Significa compartir su amor misericordioso, entrar en su gran obra de misericordia por cada hombre y por todos los hombres. La obra de Jesús es precisamente una obra de misericordia, de perdón, de amor. ¡Es tan misericordioso Jesús! Y este perdón universal, esta misericordia, pasa a través de la cruz. Pero Jesús no quiere realizar esta obra solo: quiere implicarnos también a nosotros en la misión que el Padre le ha confiado. Después de la resurrección dirá a sus discípulos: "Como el Padre me ha enviado, así también os envío yo... A quienes perdonéis los pecados, les quedan perdonados" (Jn 20, 21.23). El discípulo de Jesús renuncia a todos los bienes porque ha encontrado en Él el Bien más grande, en el que cualquier bien recibe su pleno valor y significado: los vínculos familiares, las demás relaciones, el trabajo, los bienes culturales y económicos, y así sucesivamente. El cristiano se desprende de todo y reencuentra todo en la lógica del Evangelio, la lógica del amor y del servicio.
Para explicar esta exigencia, Jesús usa dos parábolas: la de la torre que se ha de construir y la del rey que va a la guerra. Esta segunda parábola dice así: "¿O qué rey, si va a dar la batalla a otro rey, no se sienta primero a deliberar si con diez mil hombres podrá salir al paso del que lo ataca con veinte mil? Y si no, cuando el otro está todavía lejos, envía legados para pedir condiciones de paz" (Lc 14, 31-32). Aquí, Jesús no quiere afrontar el tema de la guerra, es sólo una parábola. Sin embargo, en este momento en el que estamos rezando fuertemente por la paz, esta palabra del Señor nos toca en lo vivo, y en esencia nos dice: existe una guerra más profunda que todos debemos combatir. Es la decisión fuerte y valiente de renunciar al mal y a sus seducciones y elegir el bien, dispuestos a pagar en persona: he aquí el seguimiento de Cristo, he aquí el cargar la propia cruz. Esta guerra profunda contra el mal. ¿De qué sirve declarar la guerra, tantas guerras, si tú no eres capaz de declarar esta guerra profunda contra el mal? No sirve para nada. No funciona... Esto comporta, entre otras cosas, esta guerra contra el mal comporta decir no al odio fratricida y a los engaños de los que se sirve; decir no a la violencia en todas sus formas; decir no a la proliferación de las armas y a su comercio ilegal. ¡Hay tanto de esto! ¡Hay tanto de esto! Y siempre permanece la duda: esta guerra de allá, esta otra de allí –porque por todos lados hay guerras– ¿es de verdad una guerra por problemas o es una guerra comercial para vender estas armas en el comercio ilegal? Estos son los enemigos que hay que combatir, unidos y con coherencia, no siguiendo otros intereses si no son los de la paz y del bien común.
Queridos hermanos, hoy recordamos también la Natividad de la Virgen María, fiesta particularmente querida a las Iglesias orientales. Y todos nosotros, ahora, podemos enviar un gran saludo a todos los hermanos, hermanas, obispos, monjes, monjas de las Iglesias orientales, ortodoxas y católicas: ¡un gran saludo! Jesús es el sol, María es la aurora que anuncia su nacimiento. Ayer por la noche hemos velado confiando a su intercesión nuestra oración por la paz en el mundo, especialmente en Siria y en todo Oriente Medio. La invocamos ahora como Reina de la paz. Reina de la paz, ruega por nosotros. Reina de la paz, ruega por nosotros.

DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica
Ciclo C. Vigésimo tercer domingo del Tiempo Ordinario.
La trascendencia de Dios.
273 Sólo la fe puede adherir a las vías misteriosas de la omnipotencia de Dios. Esta fe se gloría de sus debilidades con el fin de atraer sobre sí el poder de Cristo (cf. 2 Co 12, 9; Flp 4, 13). De esta fe, la Virgen María es el modelo supremo: ella creyó que "nada es imposible para Dios" (Lc 1, 37) y pudo proclamar las grandezas del Señor: "el Poderoso ha hecho en mi favor maravillas, Santo es su nombre" (Lc1, 49).
300 Dios es infinitamente más grande que todas sus obras (cf. Si 43, 28): "Su majestad es más alta que los cielos" (Sal 8, 2), "su grandeza no tiene medida" (Sal 145, 3). Pero porque es el Creador soberano y libre, causa primera de todo lo que existe, está presente en lo más íntimo de sus criaturas: "En el vivimos, nos movemos y existimos" (Hch 17, 28). Según las palabras de S. Agustín, Dios es "superior summo meo et interior intimo meo" ("Dios está por encima de lo más alto que hay en mí y está en lo más hondo de mi intimidad") (conf. 3, 6, 11).
314 Creemos firmemente que Dios es el Señor del mundo y de la historia. Pero los caminos de su providencia nos son con frecuencia desconocidos. Sólo al final, cuando tenga fin nuestro conocimiento parcial, cuando veamos a Dios "cara a cara" (1Co 13, 12), nos serán plenamente conocidos los caminos por los cuales, incluso a través de los dramas del mal y del pecado, Dios habrá conducido su creación hasta el reposo de ese Sabbat (cf Gn 2, 2) definitivo, en vista del cual creó el cielo y la tierra.
El conocimiento de Dios según la Iglesia
36 "La santa Iglesia, nuestra madre, mantiene y enseña que Dios, principio y fin de todas las cosas, puede ser conocido con certeza mediante la luz natural de la razón humana a partir de las cosas creadas" (Cc. Vaticano I: DS 3004; cf. 3026; Cc. Vaticano II, DV 6). Sin esta capacidad, el hombre no podría acoger la revelación de Dios. El hombre tiene esta capacidad porque ha sido creado "a imagen de Dios" (cf. Gn 1, 26).
37 Sin embargo, en las condiciones históricas en que se encuentra, el hombre experimenta muchas dificultades para conocer a Dios con la sola luz de su razón:
A pesar de que la razón humana, hablando simplemente, pueda verdaderamente por sus fuerzas y su luz naturales, llegar a un conocimiento verdadero y cierto de un Dios personal, que protege y gobierna el mundo por su providencia, así como de una ley natural puesta por el Creador en nuestras almas, sin embargo hay muchos obstáculos que impiden a esta misma razón usar eficazmente y con fruto su poder natural; porque las verdades que se refieren a Dios y a los hombres sobrepasan absolutamente el orden de las cosas sensibles y cuando deben traducirse en actos y proyectarse en la vida exigen que el hombre se entregue y renuncie a sí mismo. El espíritu humano, para adquirir semejantes verdades, padece dificultad por parte de los sentidos y de la imaginación, así como de los malos deseos nacidos del pecado original. De ahí procede que en semejantes materias los hombres se persuadan fácilmente de la falsedad o al menos de la incertidumbre de las cosas que no quisieran que fuesen verdaderas (Pío XII, enc. "Humani Generis": DS 3875).
38 Por esto el hombre necesita ser iluminado por la revelación de Dios, no solamente acerca de lo que supera su entendimiento, sino también sobre "las verdades religiosas y morales que de suyo no son inaccesibles a la razón, a fin de que puedan ser, en el estado actual del género humano, conocidas de todos sin dificultad, con una certeza firme y sin mezcla de error" (ibid. , DS 3876; cf. Cc Vaticano I: DS 3005; DV 6; S. Tomás de A., s. th. 1, 1, 1).
¿COMO HABLAR DE DIOS?
39 Al defender la capacidad de la razón humana para conocer a Dios, la Iglesia expresa su confianza en la posibilidad de hablar de Dios a todos los hombres y con todos los hombres. Esta convicción está en la base de su diálogo con las otras religiones, con la filosofía y las ciencias, y también con los no creyentes y los ateos.
40 Puesto que nuestro conocimiento de Dios es limitado, nuestro lenguaje sobre Dios lo es también. No podemos nombrar a Dios sino a partir de las criaturas, y según nuestro modo humano limitado de conocer y de pensar.
41 Todas las criaturas poseen una cierta semejanza con Dios, muy especialmente el hombre creado a imagen y semejanza de Dios. Las múltiples perfecciones de las criaturas (su verdad, su bondad, su belleza) reflejan, por tanto, la perfección infinita de Dios. Por ello, podemos nombrar a Dios a partir de las perfecciones de sus criaturas, "pues de la grandeza y hermosura de las criaturas se llega, por analogía, a contemplar a su Autor" (Sb 13, 5).
42 Dios transciende toda criatura. Es preciso, pues, purificar sin cesar nuestro lenguaje de todo lo que tiene de limitado, de expresión por medio de imágenes, de imperfecto, para no confundir al Dios "inefable, incomprensible, invisible, inalcanzable" (Anáfora de la Liturgia de San Juan Crisóstomo) con nuestras representaciones humanas. Nuestras palabras humanas quedan siempre más acá del Misterio de Dios.
43 Al hablar así de Dios, nuestro lenguaje se expresa ciertamente de modo humano, pero capta realmente a Dios mismo, sin poder, no obstante, expresarlo en su infinita simplicidad. Es preciso recordar, en efecto, que "entre el Creador y la criatura no se puede señalar una semejanza tal que la diferencia entre ellos no sea mayor todavía" (Cc. Letrán IV: DS 806), y que "nosotros no podemos captar de Dios lo que él es, sino solamente lo que no es y cómo los otros seres se sitúan con relación a él" (S. Tomás de A., s. gent. 1, 30).
Preferir a Cristo antes que a todo y a todos
2544 Jesús exhorta a sus discípulos a preferirle a todo y a todos y les propone "renunciar a todos sus bienes" (Lc 14, 33) por él y por el Evangelio (cf Mc 8, 35). Poco antes de su pasión les mostró como ejemplo la pobre viuda de Jerusalén que, de su indigencia, dio todo lo que tenía para vivir (cf Lc 21, 4). El precepto del desprendimiento de las riquezas es obligatorio para entrar en el Reino de los cielos.
Seguir a Cristo en la vida consagrada
914 "El estado de vida que consiste en la profesión de los consejos evangélicos, aunque no pertenezca a la estructura de la Iglesia, pertenece, sin embargo, sin discusión a su vida y a su santidad" (LG 44).
Consejos evangélicos, vida consagrada     
915 Los consejos evangélicos están propuestos en su multiplicidad a todos los discípulos de Cristo. La perfección de la caridad a la cual son llamados todos los fieles implica, para quienes asumen libremente el llamamiento a la vida consagrada, la obligación de practicar la castidad en el celibato por el Reino, la pobreza y la obediencia. La profesión de estos consejos en un estado de vida estable reconocido por la Iglesia es lo que caracteriza la "vida consagrada" a Dios (cf. LG 42  - 43; PC 1).
916 El estado de vida consagrada aparece por consiguiente como una de las maneras de vivir una consagración "más íntima" que tiene su raíz en el bautismo y se dedica totalmente a Dios (cf. PC 5). En la vida consagrada, los fieles de Cristo se proponen, bajo la moción del Espíritu Santo, seguir más de cerca a Cristo, entregarse a Dios amado por encima de todo y, persiguiendo la perfección de la caridad en el servicio del Reino, significar y anunciar en la Iglesia la gloria del mundo futuro (cf. CIC, can. 573).
Un gran árbol, múltiples ramas
917 "El resultado ha sido una especie de árbol en el campo de Dios, maravilloso y lleno de ramas, a partir de una semilla puesta por Dios. Han crecido, en efecto, diversas formas de vida, solitaria o comunitaria, y diversas familias religiosas que se desarrollan para el progreso de sus miembros y para el bien de todo el Cuerpo de Cristo" (LG 43).
918 "Desde los comienzos de la Iglesia hubo hombres y mujeres que intentaron, con la práctica de los consejos evangélicos, seguir con mayor libertad a Cristo e imitarlo con mayor precisión. Cada uno a su manera, vivió entregado a Dios. Muchos, por inspiración del Espíritu Santo, vivieron en la soledad o fundaron familias religiosas, que la Iglesia reconoció y aprobó gustosa con su autoridad" (PC 1).
919 Los obispos se esforzarán siempre en discernir los nuevos dones de vida consagrada confiados por el Espíritu Santo a su Iglesia; la aprobación de nuevas formas de vida consagrada está reservada a la Sede Apostólica (cf. CIC, can. 605).
Consagración y misión: anunciar el Rey que viene
931 Aquel que por el bautismo fue consagrado a Dios, entregándose a él como al sumamente amado, se consagra, de esta manera, aún más íntimamente al servicio divino y se entrega al bien de la Iglesia. Mediante el estado de consagración a Dios, la Iglesia manifiesta a Cristo y muestra cómo el Espíritu Santo obra en ella de modo admirable. Por tanto, los que profesan los consejos evangélicos tienen como primera misión vivir su consagración. Pero "ya que por su misma consagración se dedican al servicio de la Iglesia están obligados a contribuir de modo especial a la tarea misionera, según el modo propio de su instituto" (CIC 823 cf. RMi 69).
932 En la Iglesia que es como el sacramento, es decir, el signo y el instrumento de la vida de Dios, la vida consagrada aparece como un signo particular del misterio de la Redención. Seguir e imitar a Cristo "desde más cerca", manifestar "más claramente" su anonadamiento, es encontrarse "más profundamente" presente, en el corazón de Cristo, con sus contemporáneos. Porque los que siguen este camino "más estrecho" estimulan con su ejemplo a sus hermanos; les dan este testimonio admirable de "que sin el espíritu de las bienaventuranzas no se puede transformar este mundo y ofrecerlo a Dios" (LG 31).

San Josemaría Escrivá. Es Cristo que pasa 97
El Señor determina condiciones. Hay una declaración suya, que nos conserva San Lucas, de la que no se puede prescindir: Si alguno de los que me siguen no aborrece a su padre y madre, y a la mujer y a los hijos, y a los hermanos y hermanas, y aun a su vida misma, no puede ser mi discípulo (Lc 14, 26). Son términos duros. Ciertamente, ni el odiar ni el aborrecer castellanos expresan bien el pensamiento original de Jesús. De todas maneras, fuertes fueron las palabras del Señor, ya que tampoco se reducen a un amar menos, como a veces se interpreta templadamente, para suavizar la frase. Es tremenda esa expresión tan tajante no porque implique una actitud negativa o despiadada, ya que el Jesús que habla ahora es el mismo que ordena amar a los demás como a la propia alma, y que entrega su vida por los hombres: esta locución indica, sencillamente, que ante Dios no caben medias tintas. Se podrían traducir las palabras de Cristo por amar más, amar mejor, más bien, por no amar con un amor egoísta ni tampoco con un amor a corto alcance: debemos amar con el Amor de Dios.
De esto se trata. Fijémonos en la última de las exigencias de Jesús: et animam suam. La vida, el alma misma, es lo que pide el Señor. Si somos fatuos, si nos preocupamos sólo de nuestra personal comodidad, si centramos la existencia de los demás y aun la del mundo en nosotros mismos, no tenemos derecho a llamarnos cristianos, a considerarnos discípulos de Cristo. Hace falta la entrega con obras y con verdad, no sólo con la boca (1 Jn 3, 18). El amor a Dios nos invita a llevar a pulso la cruz, a sentir también sobre nosotros el peso de la humanidad entera, y a cumplir, en las circunstancias propias del estado y del trabajo de cada uno, los designios, claros y amorosos a la vez, de la voluntad del Padre. En el pasaje que comentamos, Jesús continúa: Y el que no carga con su cruz y me sigue, tampoco puede ser mi discípulo (Lc 14, 27).
Aceptemos sin miedo la voluntad de Dios, formulemos sin vacilaciones el propósito de edificar toda nuestra vida de acuerdo con lo que nos enseña y exige nuestra fe. Estemos seguros de que encontraremos lucha, sufrimiento y dolor, pero, si poseemos de verdad la fe, no nos consideraremos nunca desgraciados: también con penas e incluso con calumnias, seremos felices con una felicidad que nos impulsará a amar a los demás, para hacerles participar de nuestra alegría sobrenatural.

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Año C
Oremos al Señor. Él es nuestro refugio.
- Para que la Iglesia, guiada por el Espíritu, renuncie a todo lo que impide su misión en el mundo. Roguemos al Señor.
- Para que en la vida pública prevalezcan los valores morales por encima de todo. Roguemos al Señor.
- Para que los más necesitados se sientan acogidos en nuestra sociedad, tan materializada por el dinero. Roguemos al
- Para que todos los que nos gloriamos de ser discípulos de Cristo nos abramos sin recelo y sin miedo a las exigencias del Evangelio. Roguemos al Señor
Enséñanos, Señor, a examinar nuestra vida a la luz del Evangelio, para que adquiramos un corazón sensato; sácianos tu misericordia, y toda nuestra vida será alegría y júbilo. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Oh, Dios, autor de la piedad sincera y de la paz, te pedimos que con esta ofrenda veneremos dignamente tu grandeza y nuestra unión se haga más fuerte por la participación en este sagrado misterio. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Deus, auctor sincérae devotiónis et pacis, da, quaesumus, ut et maiestátem tuam conveniénter hoc múnere venerémur, et sacri participatióne mystérii fidéliter sénsibus uniámur. Per Christum.

PLEGARIA EUCARÍSTICA IV

Antífona de la comunión Sal 41, 2-3

Como busca la cierva corrientes de agua, así mi alma te busca a ti, Dios mío; mi alma tiene sed de Dios, del Dios vivo.
Quemádmodum desíderat cervus ad fontes aquárum, ita desíderat ánima mea ad te, Deus: sitívit ánima mea ad Deum fortem vivum.
O bien: Cf. Jn 8, 12
Yo soy la luz del mundo; el que me sigue no camina en tinieblas, sino que tendrá la luz de la vida, dice el Señor.
Ego sum lux mundi, dicit Dóminus; qui séquitur me, non ámbulat in ténebris, sed habébit lumen vitae.

Oración después de la comunión
Concede, Señor, a tus fieles, alimentados con tu palabra y vivificados con el sacramento del cielo, beneficiarse de ‘ros dones de tu Hijo amado, de tal manera que merezcamos participar siempre de su vida. Él, que vive y reina por los siglos de los siglos.
Da fidélibus tuis, Dómine, quos et verbi tui et caeléstis sacraménti pábulo nutris et vivíficas, ita dilécti Fílii tui tantis munéribus profícere, ut eius vitae semper consórtes éffici mereámur. Qui vivit et regnat in saecula saeculórum.

MARTIROLOGIO

Elogios del 5 de septiembre

1. En Porto Romano, cerca de la actual Fiumicino, en Italia, santos Aconto, Nono, Herculano y Taurino, mártires(s. inc.)
2. En Capua, lugar de Campania, también en la Italia de hoy, san Quinto, mártir. (s. inc.)
3. En Nicomedia, en Bitinia, actualmente Turquía, santos Urbano, Teodoro, Menedemo y otros compañeros, tanto clérigos como laicos, los cuales fueron embarcados en una pequeña nave y quemados en altamar por orden del emperador Valente, que odiaba la fe católica. (370)
4. En el distrito de Thérouanne, en Flandes, hoy en Francia, san Bertino, abad de Sithin, sepultado en el monasterio que lleva su nombre, y que había fundado él mismo junto con san Mumolino. (c. 698)
5*. En Tortona, en la actual región del Piamonte, en Italia, san Alperto, fundador y primer abad del monasterio de Butrium. (c. 1073)
6*. En Dalmacia, actualmente Croacia, beato Juan Bueno de Siponto, abad y fundador del monasterio de San Miguel, ubicado en el litoral de Dalmacia, frente al monte Gargano. (s. XII)
7*. En Ripon, en el condado de York, en Inglaterra, beato Guillermo Browne, mártir, que, condenado a pena capital bajo el reinado de Jacobo I por haber inducido a otros a abrazar la fe católica, fue ahorcado y cruelmente descuartizado. (1605)
8*. En una vieja embarcación anclada en el mar, frente a Rochefort, en Francia, beato Florencio Dumontet de Cardaillac, presbítero y mártir, el cual, condenado durante la Revolución Francesa por ser sacerdote, completó el martirio víctima de enfermedad, y atendiendo con celo y caridad a los enfermos concautivos. (1794)
9. En la ciudad de Ninh Tai, en Tonkín, hoy Vietnam, santos mártires Pedro Nguyen Van Tu, presbítero de la Orden de Predicadores, y José Hoang Luong Canh, médico, decapitados por quienes odiaban al nombre cristianos. (1838)
10*. En Calcuta, en la India, santa madre Teresa de Calcuta (Inés) Gonhxa Bojaxhiu, virgen, la cual, nacida en Albania, trató de apagar la sed de Cristo clavado en la cruz atendiendo con eximia caridad a los hermanos más pobres, y fundando las congregaciones de Misioneros y de Misioneras de la Caridad, para servir a los enfermos y abandonados. (1997) (Canonizada 4-septiembre-2016).
Beata María Magdalena de la Pasión Starace (Castellammare, Italia 1845-1921). Virgen, fundadora de las Hermanas Compasionistas Siervas de María.

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