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domingo, 31 de julio de 2022

Domingo 4 septiembre 2022, XXIII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA AL SEMINARIO ROMANO MAGGIORE

Sabato, 12 febbraio 1983

Penso che abbiate fatto molto bene a scegliere per la festa del Seminario - la festa della Madonna della Fiducia -, e per il nostro incontro, il brano evangelico delle nozze di Cana che ci avete ora presentato in forma musicale per riflettere ancora più profondamente su quanto avvenne a Cana di Galilea. Avete scelto bene perché, possiamo ben dirlo, la realtà della Madre della Fiducia è appunto inscritta, molto discretamente ma realmente, in questo brano evangelico. Che cosa provavano nei loro cuori i due sposi, nel momento in cui mancò il vino, mentre si accostavano alla Madre di Gesù? La fiducia, appunto. Essi avevano fiducia in lei. Avevano una fiducia spontanea, una fiducia che diceva: “lei ci può aiutare”. Perché? Forse non lo pensavano, forse non lo sapevano, ma lo sentivano: “Ci può aiutare perché è la Madre, ed essendo Madre ci può capire, può capire le nostre difficoltà e questo è il primo passo per aiutare: capire le difficoltà. E poi, dopo aver capito le nostre difficoltà, ci potrà aiutare”.

Essi non pensavano come lei potesse aiutarli, ma erano convinti che lei li avrebbe aiutati. Così, nel Vangelo di Cana di Galilea, si scopre la fiducia umana e, insieme, la Madre della Fiducia, perché Maria non ha deluso i due sposi, anzi ha fatto ciò che essi desideravano: li ha aiutati.

Così, contemplando questo avvenimento evangelico descrittoci da san Giovanni Evangelista, noi abbiamo anche potuto contemplare il mistero della fiducia. Questo mistero della fiducia, della Madonna della Fiducia, è profondamente iscritto nella tradizione del Seminario Romano, nella sua genealogia spirituale: possiamo ben dire che molte generazioni di seminaristi, di futuri sacerdoti, si siano formate qui, in questo Seminario, con una ispirazione che veniva dalla persona di Maria, Madre della Fiducia. Era necessaria questa persona come punto di riferimento nella preparazione dei futuri sacerdoti. Era necessaria perché il sacerdozio comporta una decisione, una vocazione che viene da Cristo, che è operata dallo Spirito Santo, ma che deve anche essere decisa da un soggetto umano, da un giovane. Questa decisione comporta a sua volta una disponibilità di se stesso: io devo disporre di me stesso, della mia persona, di tutta la mia vita; devo dare me stesso a Cristo, al suo servizio, al suo Sacerdozio, a tutti i compiti sacerdotali che ne conseguono. Questa scelta devo farla nel Seminario e così mi trovo talvolta tra difficoltà interiori, perché questa è una decisione importante e responsabile, una decisione che fa anche temere che io non possa affrontare tutte le prove che l’accompagnano: potrò rimanere fedele per tutta la vita alla scelta fatta in gioventù? potrò compiere quanto ho desiderato durante i giovani anni della mia vita?

Questa decisione è difficile e deve essere difficile. Deve comportare queste domande fondamentali che toccano me stesso e, facendo così e vedendo così, il nucleo stesso della vita seminaristica, perché questo è il nucleo: la vocazione. La vocazione che deve apparire qui deve maturare qui, si deve decidere qui. E vedendo qual è il nucleo stesso della vita di questo Seminario, si capisce bene com’è importante il riferimento alla Madonna della Fiducia, perché se noi abbiamo fiducia nella Madre di Cristo come la ebbero gli sposi di Cana di Galilea, possiamo affidare a lei le nostre preoccupazioni, come hanno fatto loro. Possiamo anche affidare a lei le nostre decisioni, i tormenti interiori che talvolta ci affliggono; possiamo affidare tutto questo a lei, alla Madonna della Fiducia, cioè alla Madre del nostro affidamento: io mi affido a te, io voglio dedicarmi a Cristo, ma mi affido a te, così come facevano gli sposi. Essi non sono andati direttamente da Cristo a domandare un miracolo, sono andati da Maria; hanno affidato a Maria le loro preoccupazioni, le loro difficoltà. Così facendo essi naturalmente volevano arrivare a Cristo, volevano provocare - se così si può dire - Cristo e la sua potenza messianica. E così anche noi, nella nostra vocazione che è una strada, un cammino spirituale verso Cristo, per essere di Cristo, per essere “alter Christus”, anche noi dobbiamo trovare questa Madre del nostro affidamento e dobbiamo affidarci a lei per affidarci a Cristo, per dedicarci a Cristo, per donarci a Cristo. Dobbiamo affidarci a lei, perché l’indirizzo è unico, e se ci rivolgiamo a lei ci rivolgiamo a Cristo, così come gli sposi si rivolsero a lei e arrivarono a Cristo. Così è unita Maria a suo Figlio.

Tutte queste considerazioni io le devo al vostro “Oratorio” che ho ascoltato seguendolo con grande gratitudine, con piacere estetico ma anche con le riflessioni spirituali ed evangeliche che vi ho adesso presentato. Possiamo ben dire che queste riflessioni sono un frutto comune del nostro lavoro, vostro e mio, e così, nel presentarvele, mi corre anche l’obbligo di ringraziarvi per l’opera che avete compiuto.

Quanto ho detto dal punto di vista della vocazione sacerdotale è importante per ogni cammino vocazionale, per ogni strada che si deve scegliere. Noi sappiamo che - la dottrina spirituale e anche la dottrina dogmatica e morale del Concilio Vaticano II lo sottolineano - la vita cristiana è una vocazione. È una vocazione in ogni stato: la vita familiare, la vita matrimoniale, è una vocazione se cerchiamo di viverla bene, nella pienezza dei contenuti, nella pienezza dei doveri, nella pienezza dell’ideale cristiano. È una vocazione in certo senso, esemplare, perché anche la vocazione sacerdotale, come abbiamo visto oggi, viene inscritta nel quadro delle nozze, le nozze di Cristo con la Chiesa. Queste nozze - Cristo sposo della Chiesa, la Chiesa sposa di Cristo - sono un’immagine biblica, di san Paolo, molto eloquente. Così profonda è la vocazione degli sposi. E Cristo si è rivelato durante uno sposalizio. Durante le nozze di Cana di Galilea, egli si è rivelato come Messia, cioè anche come sacerdote.

Dico questo solo per completare le altre considerazioni che si riferivano al seminaristi, ai futuri sacerdoti, perché vedo in questa assemblea molti laici, uomini, donne, giovani e voglio dire una parola che tocchi anche la loro vita e la loro vocazione. La dico tanto più convinto perché so che voi siete nella fase di ricerca della vostra propria vocazione, che anche voi state compiendo un cammino vocazionale. Le vocazioni sono diverse nella Chiesa, ma tutte costituiscono la ricchezza, il tesoro della Chiesa, e io auguro a tutti di trovare la propria particella di questo tesoro della Chiesa che proviene da Cristo, sposo della Chiesa.

Voglio, infine, affidarvi tutti a questa Madonna del Seminario Romano: penso di trovarmi così in sintonia con le vostre intenzioni. Nel giorno in cui ci siamo riuniti per celebrare la Madonna della Fiducia nel Seminario Romano, vogliamo scoprire nel suo cuore anche un affidamento, scoprirlo e approfondirlo, così come l’hanno scoperto i due sposi di Cana di Galilea.

CALENDARIO

4 + XXIII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa
del Domingo (verde).
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical.
LECC.: vol. I (C).
- Sab 9, 13-18.
¿Quién se imaginará lo que el Señor quiere?
- Sal 89. R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
- Flm 9b-10. 12-17. Recóbralo, no como esclavo, sino como un hermano querido.
- Lc 14, 25-33. Aquel que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío.

La liturgia de este domingo nos recordará que Cristo es luz del mundo y que el que lo sigue no camina en las tinieblas, sino que tendrá la luz de la vida (ant. de la comunión). El auténtico progreso del hombre –la luz– está en el seguimiento pleno a Jesucristo: «Aquel que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío» (Ev.). Tenemos que renunciar incluso a la intención de querer encerrar el Evangelio en los moldes de siempre, con actitudes fundamentalistas, sin querer discernir, unidos a la Iglesia, los «signos de los tiempos». A través de ellos descubriremos la voz del Espíritu Santo, que es quien nos ayuda a comprender lo que Dios quiere (cf. 1 lect.). Así alcanzaremos la libertad verdadera (cf. 1.ª orac.), que nos hará capaces de no anteponer nada ni nadie a Jesucristo.

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial.

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II.

Martirologio: elogs. del 5 de septiembre, pág. 535.
CALENDARIOS: Agustinos y Hermanas de Nuestra Señora de la Consolación: Nuestra Señora, Madre de la Consolación (S).
Mondoñedo-Ferrol: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Fernando García Cadiñanos, obispo (2021).
Tenerife: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Bernardo Álvarez Afonso, obispo (2005).

TEXTOS MISA

XXIII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Antífona de entrada Sal 118, 137. 124
Señor, tú eres justo, tus mandamientos son rectos. Trata con misericordia a tu siervo.
Iustus es, Dómine, et rectum iudícium tuum; fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.

Monición de entrada
Año C
Celebramos la Pascua semanal, la eucaristía en el día de la resurrección del Señor. Nos hemos reunido en su nombre y hemos sido convocados por él. Desde el bautismo nos llama constantemente a su seguimiento cada vez más fiel y decidido; dejemos a un lado todo lo que nos impide y renunciemos a todo para tenerlo a él como nuestro único verdadero tesoro.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula puede usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Tú eres nuestro único Maestro: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Tú eres nuestro único Señor: Cristo, ten piedad.
R. Cristo, ten piedad.
- Tú eres nuestra salvación: Señor, ten piedad
R. Señor, ten piedad
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición y de la aspersión del agua bendita.

Se dice Gloria.

Oración colecta
Oh, Dios, por ti nos ha venido la redención y se nos ofrece la adopción filial; mira con bondad a los hijos de tu amor, para que cuantos creemos en Cristo alcancemos la libertad verdadera y la herencia eterna. Por nuestro Señor Jesucristo.
Deus, per quem nobis et redémptio venit et praestátur adóptio, fílios dilectiónis tuae benígnus inténde, ut in Christo credéntibus et vera tribuátur libértas, et heréditas aetérna. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XXIII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C (Lec. I C).

PRIMERA LECTURA Sab 9, 13-18
¿Quién se imaginará lo que el Señor quiere?
Lectura del libro de la Sabiduría.

¿Qué hombre conocerá el designio de Dios?,
o ¿quién se imaginará lo que el Señor quiere?
Los pensamientos de los mortales son frágiles
e inseguros nuestros razonamientos,
porque el cuerpo mortal oprime el alma
y esta tienda terrena abruma la mente pensativa.
Si apenas vislumbramos lo que hay sobre la tierra
y con fatiga descubrimos lo que está a nuestro alcance,
¿quién rastreará lo que está en el cielo?,
¿quién conocerá tus designios, si tú no le das sabiduría
y le envías tu santo espíritu desde lo alto?
Así se enderezaron las sendas de los terrestres,
los hombres aprendieron lo que te agrada
y se salvaron por la sabiduría».

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 89, 3-4. 5-6. 12-13. 14 y 17 (R.: 1bc)
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Tú reduces el hombre a polvo,
diciendo: «Retornad, hijos de Adán».
Mil años en tu presencia son un ayer que pasó;
una vela nocturna.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Si tú los retiras
son como un sueño,
como hierba que se renueva
que florece y se renueva por la mañana,
y por la tarde la siegan y se seca.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Enséñanos a calcular nuestros años,
para que adquiramos un corazón sensato.
Vuélvete, Señor, ¿hasta cuándo?
Ten compasión de tus siervos.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Por la mañana sácianos de tu misericordia,
y toda nuestra vida será alegría y júbilo.
Baje a nosotros la bondad del Señor
y haga prósperas las obras de nuestras manos.
Sí, haga prósperas las obras de nuestras manos.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

SEGUNDA LECTURA Flm 9b-10. 12-17
Recóbralo, no como esclavo, sino como un hermano querido
Lectura de la carta del apóstol san Pablo a Filemón.

Querido hermano:
Yo, Pablo, anciano, y ahora prisionero por Cristo Jesús, te recomiendo a Onésimo, mi hijo, a quien engendré en la prisión Te lo envío como a hijo.
Me hubiera gustado retenerlo junto a mí, para que me sirviera en nombre tuyo en esta prisión que sufro por el Evangelio; pero no he querido retenerlo sin contar contigo: así me harás este favor, no a la fuerza, sino con toda libertad.
Quizá se apartó de ti por breve tiempo para que lo recobres ahora para siempre; y no como esclavo, sino como algo mejor que un esclavo, como un hermano querido, que silo es mucho para mí, cuánto más para ti, humanamente y en el Señor.
Si me consideras compañero tuyo, recíbelo a él como a mí.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya Sal 118, 135
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Haz brillar tu rostro sobre tu siervo, enséñame tus decretos. R.
Fáciem tuam illúmina super servum tuum, et doce me iustificatiónes tuas.

EVANGELIO Lc 14, 25-33
El que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, mucha gente acompañaba a Jesús; él se volvió y les dijo:
«Si alguno viene a mí y no pospone a su padre y a su madre, a su mujer y a sus hijos, a sus hermanos y a sus hermanas, e incluso a sí mismo, no puede ser discípulo mío.
Quien no carga con su cruz y viene en pos de mí, no puede ser discípulo mío.
Así, ¿quién de vosotros, si quiere construir una torre, no se sienta primero a calcular los gastos, a ver si tiene para terminarla? No sea que, si echa los cimientos y no puede acabarla, se pongan a burlarse de él los que miran, diciendo:
“Este hombre empezó a construir y no pudo acabar”.
¿O qué rey, si va a dar la batalla a otro rey, no se sienta primero a deliberar si con diez mil hombres podrá salir al paso del que lo ataca con veinte mil?
Y si no, cuando el otro está todavía lejos, envía legados para pedir condiciones de paz.
Así pues, todo aquel de entre vosotros que no renuncia a todos sus bienes no puede ser discípulo mío».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Francisco
Homilía en la Santa Misa. Antananarivo, Madagascar. 
Domingo, 8 de septiembre de 2019.
El Evangelio nos dice que «mucha gente acompañaba a Jesús» (Lc 14, 25). Como esas multitudes que se agrupaban a lo largo del camino de Jesús, muchos de vosotros habéis venido para acoger su mensaje y para seguirlo. Pero bien sabéis que el seguimiento de Jesús no es fácil. Vosotros no habéis descansado, y muchos habéis pasado la noche aquí. El evangelio de Lucas nos recuerda, en efecto, las exigencias de este compromiso.
Es importante evidenciar cómo estas exigencias se dan en el marco de la subida de Jesús a Jerusalén, entre la parábola del banquete donde la invitación está abierta a todos –especialmente para aquellos rechazados que viven en las calles y plazas, en el cruce de caminos–; y las tres parábolas llamadas de la misericordia, donde también se organiza fiesta cuando lo perdido es hallado, cuando quien parecía muerto es acogido, celebrado y devuelto a la vida en la posibilidad de un nuevo comenzar. Toda renuncia cristiana tiene sentido a la luz del gozo y la fiesta del encuentro con Jesucristo.
La primera exigencia nos invita a mirar nuestros vínculos familiares. La vida nueva que el Señor nos propone resulta incómoda y se transforma en sinrazón escandalosa para aquellos que creen que el acceso al Reino de los Cielos sólo puede limitarse o reducirse a los vínculos de sangre, a la pertenencia a determinado grupo, clan o cultura particular. Cuando el "parentesco" se vuelve la clave decisiva y determinante de todo lo que es justo y bueno se termina por justificar y hasta "consagrar" ciertas prácticas que desembocan en la cultura de los privilegios y la exclusión –favoritismos, amiguismos y, por tanto, corrupción–. La exigencia del Maestro nos lleva a levantar la mirada y nos dice: cualquiera que no sea capaz de ver al otro como hermano, de conmoverse con su vida y con su situación, más allá de su proveniencia familiar, cultural, social «no puede ser mi discípulo» (Lc 14, 26). Su amor y entrega es una oferta gratuita por todos y para todos.
La segunda exigencia nos muestra lo difícil que resulta el seguimiento del Señor cuando se quiere identificar el Reino de los Cielos con los propios intereses personales o con la fascinación por alguna ideología que termina por instrumentalizar el nombre de Dios o la religión para justificar actos de violencia, segregación e incluso homicidio, exilio, terrorismo y marginación. La exigencia del Maestro nos anima a no manipular el Evangelio con tristes reduccionismos sino a construir la historia en fraternidad y solidaridad, en el respeto gratuito de la tierra y de sus dones sobre cualquier forma de explotación; animándonos a vivir el «diálogo como camino; la colaboración común como conducta; el conocimiento recíproco como método y criterio» (Documento sobre la fraternidad humana, Abu Dhabi, 4 febrero 2019); no cediendo a la tentación de ciertas doctrinas incapaces de ver crecer juntos el trigo y la cizaña en la espera del dueño de la mies (cf. Mt 13, 24-30).
Y, por último, ¡qué difícil puede resultar compartir la vida nueva que el Señor nos regala cuando continuamente somos impulsados a justificarnos a nosotros mismos, creyendo que todo proviene exclusivamente de nuestras fuerzas y de aquello que poseemos Cuando la carrera por la acumulación se vuelve agobiante y abrumadora –como escuchamos en la primera lectura– exacerbando el egoísmo y el uso de medios inmorales! La exigencia del Maestro es una invitación a recuperar la memoria agradecida y reconocer que, más bien que una victoria personal, nuestra vida y nuestras capacidades son fruto de un regalo (cf. Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 55) tejido entre Dios y tantas manos silenciosas de personas de las cuales sólo llegaremos a conocer sus nombres en la manifestación del Reino de los Cielos.
Con estas exigencias, el Señor quiere preparar a sus discípulos a la fiesta de la irrupción del Reino de Dios liberándolos de ese obstáculo dañino, en definitiva, una de las peores esclavitudes: el vivir para sí. Es la tentación de encerrarse en pequeños mundos que termina dejando poco espacio para los demás: ya no entran los pobres, ya no se escucha la voz de Dios, ya no se goza la dulce alegría de su amor, ya no palpita el entusiasmo por hacer el bien. Muchos, al encerrarse, pueden sentirse "aparentemente" seguros, pero terminan por convertirse en personas resentidas, quejosas, sin vida. Esa no es la opción de una vida digna y plena, ese no es el deseo de Dios para nosotros, esa no es la vida en el Espíritu que brota del corazón de Cristo resucitado (cf. Exhort. ap. Evangelii gaudium, 2).
En el camino hacia Jerusalén, el Señor, con estas exigencias, nos invita a levantar la mirada, a ajustar las prioridades y sobre todo a crear espacios para que Dios sea el centro y eje de nuestra vida.
Miremos nuestro entorno, ¡cuántos hombres y mujeres, jóvenes, niños sufren y están totalmente privados de todo! Esto no pertenece al plan de Dios. Cuán urgente es esta invitación de Jesús a morir a nuestros encierros, a nuestros individualismos orgullosos para dejar que el espíritu de hermandad –que surge del costado abierto de Jesucristo, de donde nacemos como familia de Dios– triunfe, y donde cada uno pueda sentirse amado, porque es comprendido, aceptado y valorado en su dignidad. «Ante la dignidad humana pisoteada, a menudo permanecemos con los brazos cruzados o con los brazos caídos, impotentes ante la fuerza oscura del mal. Pero el cristiano no puede estar con los brazos cruzados, indiferente, ni con los brazos caídos, fatalista: ¡no! El creyente extiende su mano, como lo hace Jesús con él» (Homilía con motivo de la Jornada Mundial de los Pobres, 18.XI.18).
La Palabra de Dios que hemos escuchado nos invita a reanudar el camino y a atrevernos a dar ese salto cualitativo y adoptar esta sabiduría del desprendimiento personal como la base para la justicia y para la vida de cada uno de nosotros: porque juntos podemos darle batalla a todas esas idolatrías que llevan a poner el centro de nuestra atención en las seguridades engañosas del poder, de la carrera y del dinero y en la búsqueda patológica de glorias humanas.
Las exigencias que indica Jesús dejan de ser pesantes cuando comenzamos a gustar la alegría de la vida nueva que él mismo nos propone: la alegría que nace de saber que Él es el primero en salir a buscarnos al cruce de caminos, también cuando estábamos perdidos como aquella oveja o ese hijo pródigo. Que este humilde realismo –es un realismo, un realismo cristiano– nos impulse a asumir grandes desafíos, y os dé las ganas de hacer de vuestro bello país un lugar donde el Evangelio se haga vida, y la vida sea para mayor gloria de Dios.
Decidámonos y hagamos nuestros los proyectos del Señor
Canonización Teresa de Calcuta, Domingo 4 de septiembre de 2016.
«¿Quién comprende lo que Dios quiere?» (Sb 9, 13). Este interrogante del libro de la Sabiduría, que hemos escuchado en la primera lectura, nos presenta nuestra vida como un misterio, cuya clave de interpretación no poseemos. Los protagonistas de la historia son siempre dos: por un lado, Dios, y por otro, los hombres. Nuestra tarea es la de escuchar la llamada de Dios y luego aceptar su voluntad. Pero para cumplirla sin vacilación debemos ponernos esta pregunta: ¿cuál es la voluntad de Dios?
La respuesta la encontramos en el mismo texto sapiencial: «Los hombres aprendieron lo que te agrada» (Sb 9, 18). Para reconocer la llamada de Dios, debemos preguntarnos y comprender qué es lo que le gusta. En muchas ocasiones, los profetas anunciaron lo que le agrada al Señor. Su mensaje encuentra una síntesis admirable en la expresión: «Misericordia quiero y no sacrificios» (Os 6, 6; Mt 9, 13). A Dios le agrada toda obra de misericordia, porque en el hermano que ayudamos reconocemos el rostro de Dios que nadie puede ver (cf. Jn 1, 18). Cada vez que nos hemos inclinado ante las necesidades de los hermanos, hemos dado de comer y de beber a Jesús; hemos vestido, ayudado y visitado al Hijo de Dios (cf. Mt 25, 40). En definitiva, hemos tocado la carne de Cristo
Estamos llamados a concretar en la realidad lo que invocamos en la oración y profesamos en la fe. No hay alternativa a la caridad: quienes se ponen al servicio de los hermanos, aunque no lo sepan, son quienes aman a Dios (cf. 1Jn 3, 16-18; St 2, 14-18). Sin embargo, la vida cristiana no es una simple ayuda que se presta en un momento de necesidad. Si fuera así, sería sin duda un hermoso sentimiento de humana solidaridad que produce un beneficio inmediato, pero sería estéril porque no tiene raíz. Por el contrario, el compromiso que el Señor pide es el de una vocación a la caridad con la que cada discípulo de Cristo lo sirve con su propia vida, para crecer cada día en el amor.
Hemos escuchado en el Evangelio que «mucha gente acompañaba a Jesús» (Lc 14, 25). Hoy aquella «gente» está representada por el amplio mundo del voluntariado, presente aquí con ocasión del Jubileo de la Misericordia. Vosotros sois esa gente que sigue al Maestro y que hace visible su amor concreto hacia cada persona. Os repito las palabras del apóstol Pablo: «He experimentado gran gozo y consuelo por tu amor, ya que, gracias a ti, los corazones de los creyentes han encontrado alivio» (Flm 1, 7). Cuántos corazones confortan los voluntarios. Cuántas manos sostienen; cuántas lágrimas secan; cuánto amor derraman en el servicio escondido, humilde y desinteresado. Este loable servicio da voz a la fe –¡da voz a la fe!– y expresa la misericordia del Padre que está cerca de quien pasa necesidad.
El seguimiento de Jesús es un compromiso serio y al mismo tiempo gozoso; requiere radicalidad y esfuerzo para reconocer al divino Maestro en los más pobres y descartados de la vida y ponerse a su servicio. Por esto, los voluntarios que sirven a los últimos y a los necesitados por amor a Jesús no esperan ningún agradecimiento ni gratificación, sino que renuncian a todo esto porque han descubierto el verdadero amor. Y cada uno de nosotros puede decir: «Igual que el Señor ha venido a mi encuentro y se ha inclinado sobre mí en el momento de necesidad, así también yo salgo al encuentro de él y me inclino sobre quienes han perdido la fe o viven como si Dios no existiera, sobre los jóvenes sin valores e ideales, sobre las familias en crisis, sobre los enfermos y los encarcelados, sobre los refugiados e inmigrantes, sobre los débiles e indefensos en el cuerpo y en el espíritu, sobre los menores abandonados a sí mismos, como también sobre los ancianos dejados solos. Dondequiera que haya una mano extendida que pide ayuda para ponerse en pie, allí debe estar nuestra presencia y la presencia de la Iglesia que sostiene y da esperanza». Y, esto, hacerlo con la viva memoria de la mano extendida del Señor sobre mí cuando estaba por tierra.
Madre Teresa, a lo largo de toda su existencia, ha sido una generosa dispensadora de la misericordia divina, poniéndose a disposición de todos por medio de la acogida y la defensa de la vida humana, tanto la no nacida como la abandonada y descartada. Se ha comprometido en la defensa de la vida proclamando incesantemente que «el no nacido es el más débil, el más pequeño, el más pobre». Se ha inclinado sobre las personas desfallecidas, que mueren abandonadas al borde de las calles, reconociendo la dignidad que Dios les había dado; ha hecho sentir su voz a los poderosos de la tierra, para que reconocieran sus culpas ante los crímenes -¡ante los crímenes!- de la pobreza creada por ellos mismos. La misericordia ha sido para ella la «sal» que daba sabor a cada obra suya, y la «luz» que iluminaba las tinieblas de los que no tenían ni siquiera lágrimas para llorar su pobreza y sufrimiento.
Su misión en las periferias de las ciudades y en las periferias existenciales permanece en nuestros días como testimonio elocuente de la cercanía de Dios hacia los más pobres entre los pobres. Hoy entrego esta emblemática figura de mujer y de consagrada a todo el mundo del voluntariado: que ella sea vuestro modelo de santidad. Pienso, quizás, que tendremos un poco de dificultad en llamarla Santa Teresa. Su santidad es tan cercana a nosotros, tan tierna y fecunda que espontáneamente continuaremos a decirle «Madre Teresa».
Esta incansable trabajadora de la misericordia nos ayude a comprender cada vez más que nuestro único criterio de acción es el amor gratuito, libre de toda ideología y de todo vínculo y derramado sobre todos sin distinción de lengua, cultura, raza o religión. Madre Teresa amaba decir: «Tal vez no hablo su idioma, pero puedo sonreír». Llevemos en el corazón su sonrisa y entreguémosla a todos los que encontremos en nuestro camino, especialmente a los que sufren. Abriremos así horizontes de alegría y esperanza a toda esa humanidad desanimada y necesitada de comprensión y ternura.
ÁNGELUS, Domingo, 8 de septiembre de 2013
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
En el Evangelio de hoy (Lc 14, 25-33) Jesús insiste acerca de las condiciones para ser sus discípulos: no anteponer nada al amor por Él, cargar la propia cruz y seguirle. En efecto, mucha gente se acercaba a Jesús, quería estar entre sus seguidores; y esto sucedía especialmente tras algún signo prodigioso, que le acreditaba como el Mesías, el Rey de Israel. Pero Jesús no quiere engañar a nadie. Él sabe bien lo que le espera en Jerusalén, cuál es el camino que el Padre le pide que recorra: es el camino de la cruz, del sacrificio de sí mismo para el perdón de nuestros pecados. Seguir a Jesús no significa participar en un cortejo triunfal. Significa compartir su amor misericordioso, entrar en su gran obra de misericordia por cada hombre y por todos los hombres. La obra de Jesús es precisamente una obra de misericordia, de perdón, de amor. ¡Es tan misericordioso Jesús! Y este perdón universal, esta misericordia, pasa a través de la cruz. Pero Jesús no quiere realizar esta obra solo: quiere implicarnos también a nosotros en la misión que el Padre le ha confiado. Después de la resurrección dirá a sus discípulos: "Como el Padre me ha enviado, así también os envío yo... A quienes perdonéis los pecados, les quedan perdonados" (Jn 20, 21.23). El discípulo de Jesús renuncia a todos los bienes porque ha encontrado en Él el Bien más grande, en el que cualquier bien recibe su pleno valor y significado: los vínculos familiares, las demás relaciones, el trabajo, los bienes culturales y económicos, y así sucesivamente. El cristiano se desprende de todo y reencuentra todo en la lógica del Evangelio, la lógica del amor y del servicio.
Para explicar esta exigencia, Jesús usa dos parábolas: la de la torre que se ha de construir y la del rey que va a la guerra. Esta segunda parábola dice así: "¿O qué rey, si va a dar la batalla a otro rey, no se sienta primero a deliberar si con diez mil hombres podrá salir al paso del que lo ataca con veinte mil? Y si no, cuando el otro está todavía lejos, envía legados para pedir condiciones de paz" (Lc 14, 31-32). Aquí, Jesús no quiere afrontar el tema de la guerra, es sólo una parábola. Sin embargo, en este momento en el que estamos rezando fuertemente por la paz, esta palabra del Señor nos toca en lo vivo, y en esencia nos dice: existe una guerra más profunda que todos debemos combatir. Es la decisión fuerte y valiente de renunciar al mal y a sus seducciones y elegir el bien, dispuestos a pagar en persona: he aquí el seguimiento de Cristo, he aquí el cargar la propia cruz. Esta guerra profunda contra el mal. ¿De qué sirve declarar la guerra, tantas guerras, si tú no eres capaz de declarar esta guerra profunda contra el mal? No sirve para nada. No funciona... Esto comporta, entre otras cosas, esta guerra contra el mal comporta decir no al odio fratricida y a los engaños de los que se sirve; decir no a la violencia en todas sus formas; decir no a la proliferación de las armas y a su comercio ilegal. ¡Hay tanto de esto! ¡Hay tanto de esto! Y siempre permanece la duda: esta guerra de allá, esta otra de allí –porque por todos lados hay guerras– ¿es de verdad una guerra por problemas o es una guerra comercial para vender estas armas en el comercio ilegal? Estos son los enemigos que hay que combatir, unidos y con coherencia, no siguiendo otros intereses si no son los de la paz y del bien común.
Queridos hermanos, hoy recordamos también la Natividad de la Virgen María, fiesta particularmente querida a las Iglesias orientales. Y todos nosotros, ahora, podemos enviar un gran saludo a todos los hermanos, hermanas, obispos, monjes, monjas de las Iglesias orientales, ortodoxas y católicas: ¡un gran saludo! Jesús es el sol, María es la aurora que anuncia su nacimiento. Ayer por la noche hemos velado confiando a su intercesión nuestra oración por la paz en el mundo, especialmente en Siria y en todo Oriente Medio. La invocamos ahora como Reina de la paz. Reina de la paz, ruega por nosotros. Reina de la paz, ruega por nosotros.

DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica
Ciclo C. Vigésimo tercer domingo del Tiempo Ordinario.
La trascendencia de Dios.
273 Sólo la fe puede adherir a las vías misteriosas de la omnipotencia de Dios. Esta fe se gloría de sus debilidades con el fin de atraer sobre sí el poder de Cristo (cf. 2 Co 12, 9; Flp 4, 13). De esta fe, la Virgen María es el modelo supremo: ella creyó que "nada es imposible para Dios" (Lc 1, 37) y pudo proclamar las grandezas del Señor: "el Poderoso ha hecho en mi favor maravillas, Santo es su nombre" (Lc1, 49).
300 Dios es infinitamente más grande que todas sus obras (cf. Si 43, 28): "Su majestad es más alta que los cielos" (Sal 8, 2), "su grandeza no tiene medida" (Sal 145, 3). Pero porque es el Creador soberano y libre, causa primera de todo lo que existe, está presente en lo más íntimo de sus criaturas: "En el vivimos, nos movemos y existimos" (Hch 17, 28). Según las palabras de S. Agustín, Dios es "superior summo meo et interior intimo meo" ("Dios está por encima de lo más alto que hay en mí y está en lo más hondo de mi intimidad") (conf. 3, 6, 11).
314 Creemos firmemente que Dios es el Señor del mundo y de la historia. Pero los caminos de su providencia nos son con frecuencia desconocidos. Sólo al final, cuando tenga fin nuestro conocimiento parcial, cuando veamos a Dios "cara a cara" (1Co 13, 12), nos serán plenamente conocidos los caminos por los cuales, incluso a través de los dramas del mal y del pecado, Dios habrá conducido su creación hasta el reposo de ese Sabbat (cf Gn 2, 2) definitivo, en vista del cual creó el cielo y la tierra.
El conocimiento de Dios según la Iglesia
36 "La santa Iglesia, nuestra madre, mantiene y enseña que Dios, principio y fin de todas las cosas, puede ser conocido con certeza mediante la luz natural de la razón humana a partir de las cosas creadas" (Cc. Vaticano I: DS 3004; cf. 3026; Cc. Vaticano II, DV 6). Sin esta capacidad, el hombre no podría acoger la revelación de Dios. El hombre tiene esta capacidad porque ha sido creado "a imagen de Dios" (cf. Gn 1, 26).
37 Sin embargo, en las condiciones históricas en que se encuentra, el hombre experimenta muchas dificultades para conocer a Dios con la sola luz de su razón:
A pesar de que la razón humana, hablando simplemente, pueda verdaderamente por sus fuerzas y su luz naturales, llegar a un conocimiento verdadero y cierto de un Dios personal, que protege y gobierna el mundo por su providencia, así como de una ley natural puesta por el Creador en nuestras almas, sin embargo hay muchos obstáculos que impiden a esta misma razón usar eficazmente y con fruto su poder natural; porque las verdades que se refieren a Dios y a los hombres sobrepasan absolutamente el orden de las cosas sensibles y cuando deben traducirse en actos y proyectarse en la vida exigen que el hombre se entregue y renuncie a sí mismo. El espíritu humano, para adquirir semejantes verdades, padece dificultad por parte de los sentidos y de la imaginación, así como de los malos deseos nacidos del pecado original. De ahí procede que en semejantes materias los hombres se persuadan fácilmente de la falsedad o al menos de la incertidumbre de las cosas que no quisieran que fuesen verdaderas (Pío XII, enc. "Humani Generis": DS 3875).
38 Por esto el hombre necesita ser iluminado por la revelación de Dios, no solamente acerca de lo que supera su entendimiento, sino también sobre "las verdades religiosas y morales que de suyo no son inaccesibles a la razón, a fin de que puedan ser, en el estado actual del género humano, conocidas de todos sin dificultad, con una certeza firme y sin mezcla de error" (ibid. , DS 3876; cf. Cc Vaticano I: DS 3005; DV 6; S. Tomás de A., s. th. 1, 1, 1).
¿COMO HABLAR DE DIOS?
39 Al defender la capacidad de la razón humana para conocer a Dios, la Iglesia expresa su confianza en la posibilidad de hablar de Dios a todos los hombres y con todos los hombres. Esta convicción está en la base de su diálogo con las otras religiones, con la filosofía y las ciencias, y también con los no creyentes y los ateos.
40 Puesto que nuestro conocimiento de Dios es limitado, nuestro lenguaje sobre Dios lo es también. No podemos nombrar a Dios sino a partir de las criaturas, y según nuestro modo humano limitado de conocer y de pensar.
41 Todas las criaturas poseen una cierta semejanza con Dios, muy especialmente el hombre creado a imagen y semejanza de Dios. Las múltiples perfecciones de las criaturas (su verdad, su bondad, su belleza) reflejan, por tanto, la perfección infinita de Dios. Por ello, podemos nombrar a Dios a partir de las perfecciones de sus criaturas, "pues de la grandeza y hermosura de las criaturas se llega, por analogía, a contemplar a su Autor" (Sb 13, 5).
42 Dios transciende toda criatura. Es preciso, pues, purificar sin cesar nuestro lenguaje de todo lo que tiene de limitado, de expresión por medio de imágenes, de imperfecto, para no confundir al Dios "inefable, incomprensible, invisible, inalcanzable" (Anáfora de la Liturgia de San Juan Crisóstomo) con nuestras representaciones humanas. Nuestras palabras humanas quedan siempre más acá del Misterio de Dios.
43 Al hablar así de Dios, nuestro lenguaje se expresa ciertamente de modo humano, pero capta realmente a Dios mismo, sin poder, no obstante, expresarlo en su infinita simplicidad. Es preciso recordar, en efecto, que "entre el Creador y la criatura no se puede señalar una semejanza tal que la diferencia entre ellos no sea mayor todavía" (Cc. Letrán IV: DS 806), y que "nosotros no podemos captar de Dios lo que él es, sino solamente lo que no es y cómo los otros seres se sitúan con relación a él" (S. Tomás de A., s. gent. 1, 30).
Preferir a Cristo antes que a todo y a todos
2544 Jesús exhorta a sus discípulos a preferirle a todo y a todos y les propone "renunciar a todos sus bienes" (Lc 14, 33) por él y por el Evangelio (cf Mc 8, 35). Poco antes de su pasión les mostró como ejemplo la pobre viuda de Jerusalén que, de su indigencia, dio todo lo que tenía para vivir (cf Lc 21, 4). El precepto del desprendimiento de las riquezas es obligatorio para entrar en el Reino de los cielos.
Seguir a Cristo en la vida consagrada
914 "El estado de vida que consiste en la profesión de los consejos evangélicos, aunque no pertenezca a la estructura de la Iglesia, pertenece, sin embargo, sin discusión a su vida y a su santidad" (LG 44).
Consejos evangélicos, vida consagrada     
915 Los consejos evangélicos están propuestos en su multiplicidad a todos los discípulos de Cristo. La perfección de la caridad a la cual son llamados todos los fieles implica, para quienes asumen libremente el llamamiento a la vida consagrada, la obligación de practicar la castidad en el celibato por el Reino, la pobreza y la obediencia. La profesión de estos consejos en un estado de vida estable reconocido por la Iglesia es lo que caracteriza la "vida consagrada" a Dios (cf. LG 42  - 43; PC 1).
916 El estado de vida consagrada aparece por consiguiente como una de las maneras de vivir una consagración "más íntima" que tiene su raíz en el bautismo y se dedica totalmente a Dios (cf. PC 5). En la vida consagrada, los fieles de Cristo se proponen, bajo la moción del Espíritu Santo, seguir más de cerca a Cristo, entregarse a Dios amado por encima de todo y, persiguiendo la perfección de la caridad en el servicio del Reino, significar y anunciar en la Iglesia la gloria del mundo futuro (cf. CIC, can. 573).
Un gran árbol, múltiples ramas
917 "El resultado ha sido una especie de árbol en el campo de Dios, maravilloso y lleno de ramas, a partir de una semilla puesta por Dios. Han crecido, en efecto, diversas formas de vida, solitaria o comunitaria, y diversas familias religiosas que se desarrollan para el progreso de sus miembros y para el bien de todo el Cuerpo de Cristo" (LG 43).
918 "Desde los comienzos de la Iglesia hubo hombres y mujeres que intentaron, con la práctica de los consejos evangélicos, seguir con mayor libertad a Cristo e imitarlo con mayor precisión. Cada uno a su manera, vivió entregado a Dios. Muchos, por inspiración del Espíritu Santo, vivieron en la soledad o fundaron familias religiosas, que la Iglesia reconoció y aprobó gustosa con su autoridad" (PC 1).
919 Los obispos se esforzarán siempre en discernir los nuevos dones de vida consagrada confiados por el Espíritu Santo a su Iglesia; la aprobación de nuevas formas de vida consagrada está reservada a la Sede Apostólica (cf. CIC, can. 605).
Consagración y misión: anunciar el Rey que viene
931 Aquel que por el bautismo fue consagrado a Dios, entregándose a él como al sumamente amado, se consagra, de esta manera, aún más íntimamente al servicio divino y se entrega al bien de la Iglesia. Mediante el estado de consagración a Dios, la Iglesia manifiesta a Cristo y muestra cómo el Espíritu Santo obra en ella de modo admirable. Por tanto, los que profesan los consejos evangélicos tienen como primera misión vivir su consagración. Pero "ya que por su misma consagración se dedican al servicio de la Iglesia están obligados a contribuir de modo especial a la tarea misionera, según el modo propio de su instituto" (CIC 823 cf. RMi 69).
932 En la Iglesia que es como el sacramento, es decir, el signo y el instrumento de la vida de Dios, la vida consagrada aparece como un signo particular del misterio de la Redención. Seguir e imitar a Cristo "desde más cerca", manifestar "más claramente" su anonadamiento, es encontrarse "más profundamente" presente, en el corazón de Cristo, con sus contemporáneos. Porque los que siguen este camino "más estrecho" estimulan con su ejemplo a sus hermanos; les dan este testimonio admirable de "que sin el espíritu de las bienaventuranzas no se puede transformar este mundo y ofrecerlo a Dios" (LG 31).

San Josemaría Escrivá. Es Cristo que pasa 97
El Señor determina condiciones. Hay una declaración suya, que nos conserva San Lucas, de la que no se puede prescindir: Si alguno de los que me siguen no aborrece a su padre y madre, y a la mujer y a los hijos, y a los hermanos y hermanas, y aun a su vida misma, no puede ser mi discípulo (Lc 14, 26). Son términos duros. Ciertamente, ni el odiar ni el aborrecer castellanos expresan bien el pensamiento original de Jesús. De todas maneras, fuertes fueron las palabras del Señor, ya que tampoco se reducen a un amar menos, como a veces se interpreta templadamente, para suavizar la frase. Es tremenda esa expresión tan tajante no porque implique una actitud negativa o despiadada, ya que el Jesús que habla ahora es el mismo que ordena amar a los demás como a la propia alma, y que entrega su vida por los hombres: esta locución indica, sencillamente, que ante Dios no caben medias tintas. Se podrían traducir las palabras de Cristo por amar más, amar mejor, más bien, por no amar con un amor egoísta ni tampoco con un amor a corto alcance: debemos amar con el Amor de Dios.
De esto se trata. Fijémonos en la última de las exigencias de Jesús: et animam suam. La vida, el alma misma, es lo que pide el Señor. Si somos fatuos, si nos preocupamos sólo de nuestra personal comodidad, si centramos la existencia de los demás y aun la del mundo en nosotros mismos, no tenemos derecho a llamarnos cristianos, a considerarnos discípulos de Cristo. Hace falta la entrega con obras y con verdad, no sólo con la boca (1 Jn 3, 18). El amor a Dios nos invita a llevar a pulso la cruz, a sentir también sobre nosotros el peso de la humanidad entera, y a cumplir, en las circunstancias propias del estado y del trabajo de cada uno, los designios, claros y amorosos a la vez, de la voluntad del Padre. En el pasaje que comentamos, Jesús continúa: Y el que no carga con su cruz y me sigue, tampoco puede ser mi discípulo (Lc 14, 27).
Aceptemos sin miedo la voluntad de Dios, formulemos sin vacilaciones el propósito de edificar toda nuestra vida de acuerdo con lo que nos enseña y exige nuestra fe. Estemos seguros de que encontraremos lucha, sufrimiento y dolor, pero, si poseemos de verdad la fe, no nos consideraremos nunca desgraciados: también con penas e incluso con calumnias, seremos felices con una felicidad que nos impulsará a amar a los demás, para hacerles participar de nuestra alegría sobrenatural.

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Año C
Oremos al Señor. Él es nuestro refugio.
- Para que la Iglesia, guiada por el Espíritu, renuncie a todo lo que impide su misión en el mundo. Roguemos al Señor.
- Para que en la vida pública prevalezcan los valores morales por encima de todo. Roguemos al Señor.
- Para que los más necesitados se sientan acogidos en nuestra sociedad, tan materializada por el dinero. Roguemos al
- Para que todos los que nos gloriamos de ser discípulos de Cristo nos abramos sin recelo y sin miedo a las exigencias del Evangelio. Roguemos al Señor
Enséñanos, Señor, a examinar nuestra vida a la luz del Evangelio, para que adquiramos un corazón sensato; sácianos tu misericordia, y toda nuestra vida será alegría y júbilo. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Oh, Dios, autor de la piedad sincera y de la paz, te pedimos que con esta ofrenda veneremos dignamente tu grandeza y nuestra unión se haga más fuerte por la participación en este sagrado misterio. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Deus, auctor sincérae devotiónis et pacis, da, quaesumus, ut et maiestátem tuam conveniénter hoc múnere venerémur, et sacri participatióne mystérii fidéliter sénsibus uniámur. Per Christum.

PLEGARIA EUCARÍSTICA IV

Antífona de la comunión Sal 41, 2-3

Como busca la cierva corrientes de agua, así mi alma te busca a ti, Dios mío; mi alma tiene sed de Dios, del Dios vivo.
Quemádmodum desíderat cervus ad fontes aquárum, ita desíderat ánima mea ad te, Deus: sitívit ánima mea ad Deum fortem vivum.
O bien: Cf. Jn 8, 12
Yo soy la luz del mundo; el que me sigue no camina en tinieblas, sino que tendrá la luz de la vida, dice el Señor.
Ego sum lux mundi, dicit Dóminus; qui séquitur me, non ámbulat in ténebris, sed habébit lumen vitae.

Oración después de la comunión
Concede, Señor, a tus fieles, alimentados con tu palabra y vivificados con el sacramento del cielo, beneficiarse de ‘ros dones de tu Hijo amado, de tal manera que merezcamos participar siempre de su vida. Él, que vive y reina por los siglos de los siglos.
Da fidélibus tuis, Dómine, quos et verbi tui et caeléstis sacraménti pábulo nutris et vivíficas, ita dilécti Fílii tui tantis munéribus profícere, ut eius vitae semper consórtes éffici mereámur. Qui vivit et regnat in saecula saeculórum.

MARTIROLOGIO

Elogios del 5 de septiembre

1. En Porto Romano, cerca de la actual Fiumicino, en Italia, santos Aconto, Nono, Herculano y Taurino, mártires(s. inc.)
2. En Capua, lugar de Campania, también en la Italia de hoy, san Quinto, mártir. (s. inc.)
3. En Nicomedia, en Bitinia, actualmente Turquía, santos Urbano, Teodoro, Menedemo y otros compañeros, tanto clérigos como laicos, los cuales fueron embarcados en una pequeña nave y quemados en altamar por orden del emperador Valente, que odiaba la fe católica. (370)
4. En el distrito de Thérouanne, en Flandes, hoy en Francia, san Bertino, abad de Sithin, sepultado en el monasterio que lleva su nombre, y que había fundado él mismo junto con san Mumolino. (c. 698)
5*. En Tortona, en la actual región del Piamonte, en Italia, san Alperto, fundador y primer abad del monasterio de Butrium. (c. 1073)
6*. En Dalmacia, actualmente Croacia, beato Juan Bueno de Siponto, abad y fundador del monasterio de San Miguel, ubicado en el litoral de Dalmacia, frente al monte Gargano. (s. XII)
7*. En Ripon, en el condado de York, en Inglaterra, beato Guillermo Browne, mártir, que, condenado a pena capital bajo el reinado de Jacobo I por haber inducido a otros a abrazar la fe católica, fue ahorcado y cruelmente descuartizado. (1605)
8*. En una vieja embarcación anclada en el mar, frente a Rochefort, en Francia, beato Florencio Dumontet de Cardaillac, presbítero y mártir, el cual, condenado durante la Revolución Francesa por ser sacerdote, completó el martirio víctima de enfermedad, y atendiendo con celo y caridad a los enfermos concautivos. (1794)
9. En la ciudad de Ninh Tai, en Tonkín, hoy Vietnam, santos mártires Pedro Nguyen Van Tu, presbítero de la Orden de Predicadores, y José Hoang Luong Canh, médico, decapitados por quienes odiaban al nombre cristianos. (1838)
10*. En Calcuta, en la India, santa madre Teresa de Calcuta (Inés) Gonhxa Bojaxhiu, virgen, la cual, nacida en Albania, trató de apagar la sed de Cristo clavado en la cruz atendiendo con eximia caridad a los hermanos más pobres, y fundando las congregaciones de Misioneros y de Misioneras de la Caridad, para servir a los enfermos y abandonados. (1997) (Canonizada 4-septiembre-2016).
Beata María Magdalena de la Pasión Starace (Castellammare, Italia 1845-1921). Virgen, fundadora de las Hermanas Compasionistas Siervas de María.

Papa Benedicto XVI, Discurso a los obispos ordenados los últimos doce meses (21-septiembre-2009).

DISCURSO DEL SANTO PADRE BENEDICTO XVI
A LOS OBISPOS ORDENADOS DURANTE LOS ÚLTIMOS DOCE MESES QUE PARTICIPARON EN EL ENCUENTRO ORGANIZADO POR LAS CONGREGACIONES PARA LOS OBISPOS Y PARA LAS IGLESIAS ORIENTALES

Sala de los Suizos - Palacio Apostólico de Castelgandolfo. Lunes 21 de septiembre de 2009

Queridos hermanos en el episcopado:

Gracias de corazón por vuestra visita, con ocasión del congreso organizado para los obispos que han emprendido desde hace poco su ministerio pastoral. Estas jornadas de reflexión, oración y actualización son verdaderamente propicias para ayudaros, queridos hermanos, a familiarizaros mejor con las tareas que estáis llamados a llevar a cabo como pastores de comunidades diocesanas; también son jornadas de convivencia amistosa que constituyen una experiencia singular de la "collegialitas affectiva" que une a todos los obispos en un único cuerpo apostólico, juntamente con el Sucesor de Pedro, "fundamento perpetuo y visible de la unidad" (Lumen gentium, 23). Agradezco al cardenal Giovanni Battista Re, prefecto de la Congregación para los obispos, las amables palabras que me ha dirigido en vuestro nombre; saludo al cardenal Leonardo Sandri, prefecto de la Congregación para las Iglesias orientales, y al cardenal Pell, arzobispo de Sydney (Australia), y expreso mi agradecimiento a cuantos de varias formas colaboran en la organización de este encuentro anual.

Este año, como ha explicado ya el cardenal Re, vuestro congreso se enmarca en el contexto del Año sacerdotal, proclamado con motivo del 150° aniversario de la muerte de san Juan María Vianney. Como he escrito en la carta enviada con esta ocasión a todos los sacerdotes, este año especial "desea contribuir a promover el compromiso de renovación interior de todos los sacerdotes, para que su testimonio evangélico en el mundo de hoy sea más intenso e incisivo". La imitación de Jesús, buen Pastor, es para todo sacerdote el camino obligatorio de su propia santificación y la condición esencial para ejercer responsablemente el ministerio pastoral. Si esto vale para los presbíteros, vale todavía más para nosotros, queridos hermanos obispos. Más aún, es importante no olvidar que una de las tareas esenciales del obispo consiste precisamente en ayudar, con el ejemplo y con el apoyo fraterno, a los sacerdotes a seguir fielmente su vocación y a trabajar con entusiasmo y amor en la viña del Señor.

Al respecto, en la exhortación postsinodal Pastores gregis, mi venerado predecesor Juan Pablo ii explicó que el gesto del sacerdote, cuando pone sus manos en las manos del obispo el día de su ordenación presbiteral, compromete a ambos: al sacerdote y al obispo. El nuevo presbítero decide encomendarse al obispo y, por su parte, el obispo se compromete a custodiar esas manos (cf. n. 47). Bien mirada, es una tarea solemne que se configura para el obispo como responsabilidad paterna en la custodia y promoción de la identidad sacerdotal de los presbíteros encomendados a su solicitud pastoral, una identidad que hoy por desgracia está sometida a dura prueba por la creciente secularización. El obispo, por tanto —prosigue la Pastores gregis—, "ha de tratar de comportarse siempre con sus sacerdotes como padre y hermano que los quiere, escucha, acoge, corrige, conforta, pide su colaboración y hace todo lo posible por su bienestar humano, espiritual, ministerial y económico" (ib.).

De modo especial, el obispo está llamado a alimentar la vida espiritual en los sacerdotes, para favorecer en ellos la armonía entre la oración y el apostolado, mirando al ejemplo de Jesús y de los Apóstoles, a quienes él llamó ante todo, como dice san Marcos, para que "estuvieran con él" (Mc 3, 14). De hecho, una condición indispensable para que produzca buenos frutos es que el sacerdote permanezca unido al Señor; aquí radica el secreto de la fecundidad de su ministerio: sólo si está incorporado a Cristo, verdadera Vid, produce fruto. La misión de un presbítero, y con mayor razón la de un obispo, conlleva hoy una cantidad tan grande de trabajo que tiende a absorberlo continua y totalmente. Las dificultades aumentan y las obligaciones se multiplican, entre otras razones porque afrontan realidades nuevas y mayores exigencias pastorales.

Con todo, la atención a los problemas de cada día y las iniciativas encaminadas a conducir a los hombres por el camino de Dios nunca deben distraernos de la unión íntima y personal con Cristo, de estar con él. Estar a disposición de la gente no debe disminuir u ofuscar nuestra disponibilidad hacia el Señor. El tiempo que el sacerdote y el obispo consagran a Dios en la oración siempre es el mejor empleado, porque la oración es el alma de la actividad pastoral, la "linfa" que le infunde fuerza; es el apoyo en los momentos de incertidumbre y desaliento, y el manantial inagotable de fervor misionero y de amor fraterno hacia todos.

En el centro de la vida sacerdotal está la Eucaristía. En la exhortación apostólica Sacramentum caritatis subrayé que "la santa misa es formativa en el sentido más profundo de la palabra, pues promueve la configuración con Cristo y consolida al sacerdote en su vocación" (n. 80). Así pues, que la celebración eucarística ilumine toda vuestra jornada y la de vuestros sacerdotes, imprimiendo su gracia y su influjo espiritual en los momentos tristes o alegres, agitados o tranquilos, de acción o de contemplación.

Un modo privilegiado de prolongar en la jornada la misteriosa acción santificadora de la Eucaristía es el rezo fervoroso de la Liturgia de las Horas, como también la adoración eucarística, la lectio divina y la oración contemplativa del rosario. El santo cura de Ars nos enseña cuán preciosos son la compenetración del sacerdote con el sacrificio eucarístico y la educación de los fieles en la presencia eucarística y en la comunión. Con la Palabra y los sacramentos —recordé en la carta a los sacerdotes— san Juan María Vianney edificó a su pueblo. El vicario general de la diócesis de Belley, al nombrarlo como párroco de Ars, le dijo: "No hay mucho amor de Dios en esa parroquia; usted lo pondrá". Y aquella parroquia se transformó.

Queridos nuevos obispos, gracias por el servicio que prestáis a la Iglesia con entrega y amor. Os saludo con afecto y os aseguro mi constante apoyo, así como mi oración para que "vayáis y deis fruto, y vuestro fruto permanezca" (Jn 15, 16). Por ello invoco la intercesión de María Regina Apostolorum, e imparto de corazón sobre vosotros, sobre vuestros sacerdotes y sobre vuestras comunidades diocesanas una especial bendición apostólica.

sábado, 30 de julio de 2022

Sábado 3 septiembre 2022, San Gregorio Magno, papa y doctor de la Iglesia, memoria obligatoria.

SOBRE LITURGIA

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
PER LA PRESENTAZIONE UFFICIALE DEL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO

Giovedì, 3 febbraio 1983

Venerati fratelli Cardinali e Vescovi,
Eccellentissimi membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede,
Illustri Professori ed Alunni delle Università Pontificie e Facoltà Ecclesiastiche,
Carissimi figli e figlie!


1. Ho desiderato grandemente l’incontro di oggi per favorire la solenne presentazione del nuovo Codice di diritto canonico e dar così ufficialmente inizio al cammino, non certo breve, ma - come tutti ci auguriamo - ordinato e spedito, che esso dovrà compiere nella Chiesa, a servizio della Chiesa.

Questa è, dunque, una circostanza importante, perché si pone in linea di corrispondenza, cioè in relazione diretta con l’importanza stessa del Corpus, riveduto ed aggiornato, contenente le norme della legislazione generale canonica. E vorrei anche aggiungere che tanto più significativa è la circostanza, perché, seguendo al rito religioso di ieri, durante il quale è stato opportunamente integrato il Sacro Collegio dei Cardinali con l’inserimento in esso di diciotto nuovi Porporati, vede qui presenti, felicemente riuniti, numerosi nostri fratelli e insigni Pastori.

A tutti voi, che siete qui convenuti, e con la vostra stessa partecipazione conferite all’odierna assemblea un qualificato valore di rilevanza e di rappresentatività, io desidero esprimere un grazie cordiale che vuol essere, ed è, segno di stima, di considerazione, di comunione, di reciproco conforto nei rispettivi impegni culturali, ecclesiali e sociali. Sia che il vostro lavoro si svolga qui a Roma, presso la Sede di Pietro, sia che esso abbia luogo in regioni vicine o remote, a tutti e a ciascuno di voi mi è caro rivolgere ora un reverente, affettuoso saluto, nella consapevolezza che a Roma, non solo come madre del diritto, ma anche e soprattutto come centro della Chiesa, edificata su Pietro (cf. Mt 16, 18), nessuno è mai estraneo e lontano, ma tutti - dico tutti - sono come “a casa loro”, quasi all’interno di un amato focolare spirituale. “Roma patria communis”!

2. Il diritto nella Chiesa: già sottoscrivendo il 25 gennaio scorso la costituzione apostolica “Sacrae disciplinae leges”, ho avuto modo di riprendere e di approfondire una riflessione a me consueta intorno a un’espressione, semplice solo in apparenza, nella quale è riassunta la funzione che la legge, in quanto tale, anche nella sua esterna formulazione, ha nella vita della “societas sui generis”, fondata da Cristo Signore per continuare nel mondo intero, lungo il corso dei secoli, la sua opera salvifica: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole . . . insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).

Che cos’è - ci si chiede - il diritto nella Chiesa? Risponde esso alla perenne e universale missione, che queste parole supreme del Vangelo assegnano, nella persona degli Apostoli, proprio alla Chiesa? Si adegua esso alla sua natura genuina di Popolo di Dio in cammino? E perché il diritto nella Chiesa? A che serve?

3. Una prima risposta, al riguardo, può venire dalla considerazione della storia. Ciò dicendo, non mi riferisco soltanto alla storia ormai bimillenaria della Chiesa, durante la quale, in tanti secoli di indefesso lavoro e di ribadita fedeltà a Cristo, si scopre in essa, tra altri elementi di spicco, l’esistenza di un’ininterrotta tradizione canonica di prestigioso valore dottrinale e culturale, la quale va dalle prime origini dell’era cristiana fino ai nostri giorni, a cui il Codice, testé promulgato, costituisce un nuovo, importante e sapiente capitolo. No: non solo a questo io guardo; ma, risalendo indietro nel tempo, mi riferisco alla storia dei Popolo di Dio nell’Antico Testamento, allorché il patto d’alleanza del Dio d’Israele si configurò in precise disposizioni culturali e legislative, e l’uomo cui fu affidato il ruolo di mediatore e profeta tra Dio e il suo popolo, cioè Mosè, ne divenne simultaneamente il legislatore. È proprio da allora, cioè dall’alleanza del Sinai, che appare, per assumere via via progrediente rilievo, il nesso tra “foedus” e “lex”.

Notate: già secondo l’antico Israele (e questo varrà ancor più per san Paolo) la grazia di Dio precede la legge e sussiste anche senza di essa (cf. Es 20, 2; Dt 7, 7-9; Gal 3, 15-29; Rm 3, 28-4, 22), tanto da manifestarsi continuamente come perdono delle trasgressioni (cf. Dt 4, 31; Is 1, 18; 54, 8). In ogni caso, però, permane tra il Signore e Israele il vincolo d’amore, sanzionato dal reciproco impegno di Dio che promette, e del popolo che s’impegna alla fedeltà. Si tratta di un vincolo, che deve trovare espressione nella testimonianza della vita quotidiana, mediante l’osservanza dei comandamenti (cf. Es 24, 3), da Dio stesso affidati a Mosè perché li trasmettesse al popolo. Da tutto ciò scaturì un tipico modo di vita giuridicamente e liturgicamente ordinata, che diede unità e coesione a quel popolo nella sua comunione con Dio.

Leggi e comandamenti erano considerati munifico dono di Dio, e la loro osservanza vera sapienza (cf. Sir 24); e pur se a tale elevata impostazione corrispose - com’è noto - una serie di infedeltà e tradimenti, non per questo il Signore venne mai meno al suo patto d’amore e per mezzo dei profeti non mancò di richiamare il suo popolo al rispetto del medesimo patto e all’osservanza delle leggi (cf. Os 4, 1-6; Ger 2). Ma c’è di più: egli fece anche intravedere la possibilità, anzi l’opportunità e l’urgenza di un’osservanza interiorizzata, annunciando di iscrivere la sua legge nel cuore (cf. Ger 31, 31-34; Ez 36, 26-27).

In questo rapporto tra “foedus” e “lex” e, segnatamente, nell’accennata accentuazione della “religione del cuore” era già un’anticipazione dei tempi nuovi, anche questi preannunciati ed ormai maturi secondo il disegno divino.

4. Viene Gesù, il novello Mosè, il mediatore e legislatore supremo (cf. 1 Tm 2, 5), ed ecco che l’atmosfera d’improvviso si innalza e purifica. E se proclama nel discorso programmatico della Montagna di “non esser venuto per abolire, ma per dare compimento” all’antica Legge (Mt 5, 17), egli, però, dà subito un’impostazione nuova, o, meglio, infonde uno spirito nuovo ai precetti di essa: “È stato detto agli antichi . . ., ma io vi dico” (cf. Mt 5, 21-48). Rivendicando per sé una pienezza di potestà, valida in cielo e in terra (cf. Mt 28, 18), egli la trasmette ai suoi Apostoli. Potestà - si badi - universale e reale, che è in funzione di una legislazione che, come comandamento generale, ha l’amore (cf. Gv 13, 34), del quale egli stesso offre per primo l’esempio nella massima sua dimensione del dare la vita per i fratelli (cf. Gv 15, 13). Ai suoi Apostoli e discepoli chiede l’amore, anzi la permanenza nell’amore, dicendo loro che una tale “permanenza” è condizionata all’osservanza dei suoi precetti (cf. Gv 15, 10). Dopo la sua Ascensione, egli invia loro lo Spirito Santo, e per questo dono la legge - proprio come aveva predetto l’antico profeta (cf. Gl 3, 1-5) - trova il suo sigillo e vigore nel cuore dell’uomo.

Una tale prospettiva vale tuttora per tutti i credenti: mossi dallo Spirito, essi sono in grado di instaurare in se stessi questo nuovo ordine, che Paolo chiama la legge di Cristo (cf. Gal 6, 2): Cristo, cioè, vive nel cuore dei fedeli in una comunione, per la quale ciascuno instaura in se stesso il mistero della carità e dell’obbedienza del Figlio. Riappare così il nesso tra “foedus” e “lex”, e i fedeli, congiunti a Cristo nello Spirito, hanno non solo la forza, ma anche la facilità e la gioia di ubbidire ai precetti.

Di tutto ciò troviamo conferma nelle prime Comunità cristiane, costituite in Oriente e in Occidente dagli Apostoli e dai loro immediati discepoli. Ecco, ad esempio, san Paolo che, con l’autorità ricevuta dal Signore, imparte ordini e disposizioni, perché nelle singole Chiese locali tutto avvenga con la necessaria disciplina (cf. 1 Cor 11, 2; 14, 40; Col 2, 5).

5. Costruita sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti (cf. Ef 2, 20), la Chiesa di Cristo - la Chiesa della Pasqua e della Pentecoste - iniziò presto il suo pellegrinaggio nel mondo; ed è ben naturale che, nel corso dei secoli, esigenze emergenti, necessità pratiche ed esperienze via via maturate nell’esercizio congiunto dell’autorità e dell’obbedienza, in un variare assai differenziato di circostanze, venissero a creare in seno ad essa, come realtà storica e vivente, un complesso di leggi e di norme, che già nel primo Medioevo divenne ampia ed articolata legislazione canonica. A questo riguardo mi sia consentito, fra le tante figure di canonisti e giuristi, meritatamente famosi, nominare almeno il monaco Graziano, l’autore del “Decretum” (“Concordia discordantium canonum”), che Dante colloca nel quarto suo cielo, tra gli spiriti sapienti, in compagnia di sant’Alberto Magno, di san Tommaso d’Aquino e di Pietro Lombardo, esaltandolo perché “l’uno e l’altro foro / aiutò sì che piace in paradiso” (Dante Alighieri, La Divina Commedia, “Paradiso” X, 104-105).

6. Ma, omettendo le posteriori vicende fino alla codificazione del 1917, converrà ora passare dalla prospettiva storica a quella propriamente teologica ed ecclesiologica, per ritrovare - sulla scorta di quel che ci ha insegnato il Concilio Vaticano II - le motivazioni più profonde e più vere della legislazione ecclesiastica: al variare delle disposizioni particolari, infatti, fa riscontro l’esigenza, alla Chiesa connaturale, di avere le sue leggi. Ieri come oggi. Perché? Nella Chiesa di Cristo - ci ha ripetuto il recente Concilio - accanto all’aspetto spirituale e interno c’è quello visibile ed esterno; in essa c’è unità, se è vero com’è vero che è questa una delle fondamentali sue note, ma tale unità lungi dall’escludere si compone e si intreccia con la “diversità delle membra e degli uffici” (cf. Lumen Gentium, 7-8).

In effetti, essa, Popolo di Dio e Corpo di Cristo, non è stata indistintamente fondata soltanto come comunità messianica ed escatologica “soggetta al suo Capo” (Ivi, 7), ma “come compagine visibile” e “costituita e organizzata quale società” (Ivi, 8), è stata edificata sopra la pietra (cf. Mt 16, 18), e dal Signore stesso è stata divinamente arricchita di “doni gerarchici” (cf. Lumen Gentium, 4) e di vari istituti, che sono da considerare effettivamente suoi elementi costitutivi. La Chiesa, insomma, nella sua viva unità è anche struttura visibile con precise funzioni e poteri (“sacra potestas”).

Pertanto, benché tutti i fedeli vivano in modo che “comune è la dignità delle membra per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la chiamata alla perfezione, una la salvezza, una la speranza e indivisa la carità” (Lumen Gentium, 32), tuttavia questa generale e mistica “eguaglianza” (Ivi) implica la già menzionata “diversità delle membra e degli uffici”, sicché “grazie ai mezzi appropriati di unione visibile e sociale” (Ivi, 8) vengono a manifestarsi la divina costituzione e l’organica “diseguaglianza” della Chiesa. Bisogna dire, dunque, che “il Popolo di Dio non soltanto si raccoglie da popoli diversi, ma che al suo interno, altresì, si compone di vari ordini. Difatti, tra le sue membra esiste una diversità a seconda sia degli uffici . . . sia della condizione e della forma di vita” (Ivi, 13).

7. È senz’altro di diritto divino questa “diversità delle membra”, e “in effetti la distinzione che il Signore ha posto tra i sacri ministri e il resto del Popolo di Dio” (Ivi, 32), comporta nella Chiesa un duplice e pubblico modo di vivere.

Di qui consegue anche l’altra “diversità”: quella “degli uffici” o funzioni sociali, perché “tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio” (Col 2, 19): “ché le membra non svolgono tutte la medesima funzione” (Rm 12, 4).

Benché, dunque, tutti i fedeli cristiani partecipino dell’ufficio regale, profetico e sacerdotale del Capo, tuttavia i chierici e i laici ricevono distinte funzioni in ordine alla loro sociale attività, funzioni regolate e tutelate per volontà di Cristo dal “sacro diritto” (“ius sacrum”), in modo che si provveda al bene comune di tutta quanta la Chiesa.

Di qui - dico della realtà intima della Chiesa -, secondo quella diversità delle membra e degli uffici, scaturiscono i diritti e i doveri, corrispondenti alle singole persone o agli stessi gruppi, che la Chiesa, peraltro, salvo il diritto divino e nativo, ha avuto cura di regolare emanando leggi e precetti a seconda delle circostanze, cioè secondo la necessità o esigenze dei tempi e del luoghi.

Sappiamo, appunto, che il corpo visibile della Chiesa, soggetto a Cristo suo capo, nel corso dei secoli si è sviluppato dilatandosi in visibili parti integranti, cioè - secondo il linguaggio conciliare - in “più raggruppamenti organicamente collegati, che, senza pregiudizio dell’unica fede e dell’unica divina costituzione della Chiesa” (Lumen Gentium, 23), sono a buon diritto chiamati “Chiese particolari”, in ciascuna delle quali “realmente è presente e opera l’una, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo” (Christus Dominus, 11).

8. Ecco, fratelli carissimi, è da questa mirabile realtà ecclesiale, invisibile e visibile, una e insieme molteplice, che dobbiamo riguardare il “ius sacrum”, che vige e opera all’interno della Chiesa: è prospettiva che, evidentemente, trascende quella meramente storico-umana, anche se la conferma e avvalora.

Se la Chiesa-Corpo di Cristo è compagine organizzata, se comprende in sé detta diversità di membra e di funzioni, se “si riproduce” nella molteplicità delle Chiese particolari, allora tanto fitta è in essa la trama delle relazioni che il diritto c’è già, non può non esserci. Parlo del diritto inteso nella sua globalità ed essenzialità, prima ancora delle specificazioni, derivazioni o applicazioni di ordine propriamente canonico. Il diritto, pertanto, non va concepito come un corpo estraneo, né come una superstruttura ormai inutile, né come un residuo di presunte pretese temporalistiche. Connaturale è il diritto alla vita della Chiesa, cui anche di fatto è assai utile: esso è un mezzo, è un ausilio, è anche - in delicate questioni di giustizia - un presidio.

A spiegare il nuovo Libro, che oggi viene presentato, non c’è, dunque, la semplice e, in definitiva, contingente considerazione che son passati ormai tanti anni dal lontano 1917, quando il mio predecessore Benedetto XV di venerabile memoria promulgò il Codice Canonico, rimasto in vigore fino ai nostri giorni. C’è piuttosto e preliminarmente, la ragione che il diritto ha un suo posto nella Chiesa, ha in essa diritto di cittadinanza.

Naturalmente - come negarlo? - resta valida anche l’accennata ragione che da quell’anno tutto un mondo, sia per l’apporto conciliare, sia per il progresso degli studi e anche psicologicamente, è cambiato tanto all’interno quanto al di fuori della Chiesa. C’è stato - giova rilevare - soprattutto il Concilio Vaticano II, che ha introdotto accentuazioni e impostazioni, talora nuove ed innovatrici, in non pochi settori: né solo - come ho detto finora - in quello dell’ecclesiologia, ma anche nel campo della pastorale, nell’ecumenismo e nel ribadito impegno missionario. Chi non sa, ad esempio, che l’attività pastorale viene oggi giustamente concepita secondo una più vasta e incisiva visione che, come è aperta al contributo dei laici, vivamente sollecitato con rigorose motivazioni teologiche, così si avvale di specifici strumenti, quali la psicologia e la sociologia, ed è più saldamente collegata alla liturgia e alla catechesi? E in riferimento all’attività delle Missioni Cattoliche non si è avvertita, forse, quasi un’impressione di felice riscoperta, quando il Concilio ha perentoriamente stabilito: “La Chiesa è per sua natura missionaria” (Ad Gentes, 2)?

Per mancanza di tempo, debbo purtroppo limitarmi a fare solo degli accenni; ma certo è che i postulati conciliari, come le direttive pratiche tracciate al ministero della Chiesa, trovano nel nuovo Codice esatti e puntuali riscontri, a volte perfino verbali. Vorrei solo invitarvi, a titolo di saggio, a mettere in parallelo il capitolo II della Lumen Gentium e il libro II del Codex: comune ad entrambi, anzi identico ne è il titolo: “De Populo Dei”. Sarà - credetemi - un confronto assai utile, e illuminante risulterà, a chi voglia fare un esame più accurato, la collazione esegetica e critica dei rispettivi paragrafi e canoni.

Per tutte queste ragioni si comprende agevolmente come l’espressione-quesito, da me posto all’inizio, possa ricevere risposta e risposta ampiamente positiva. Il legittimo posto, spettando al diritto nella Chiesa, si conferma e giustifica nella misura in cui esso si adegua e rispecchia la nuova temperie spirituale e pastorale: nel servire la causa della giustizia, il diritto dovrà sempre più e sempre meglio ispirarsi alla legge-comandamento della carità, in esso vivificandosi e vitalizzandosi. Animato dalla carità e ordinato alla giustizia, il diritto vive!

9. Questo è il senso vero della riforma canonica, fratelli, e così va giudicato il nuovo testo, che l’ha attuata. Si è concluso in questi giorni un iter letteralmente generazionale; essendo trascorsi ventiquattro anni esatti dal primo annuncio che l’indimenticabile Papa Giovanni diede della riforma del Codice, unitamente a quello dell’indizione del Concilio.

Quanti ringraziamenti dovrei ora rivolgere? L’ho già fatto nel menzionato Documento di promulgazione; ma mi piace rinnovare pubblicamente questo sentimento, elevando innanzitutto un memore pensiero ai venerati Cardinali Pietro Ciriaci, che iniziò l’opera, e Pericle Felici, che ne curò lo svolgimento fino all’anno scorso. Ricordo, poi, i Segretari della Pontificia Commissione, Monsignor Giacomo Violardo, poi Cardinale, e il Padre Raimondo Bigador, della Compagnia di Gesù; ricordo ancora e ringrazio il Pro-Presidente della Commissione, Monsignor Rosalio Castillo Lara e Monsignor Willy Onclin insieme con tutti gli altri componenti della Commissione stessa, Cardinali, Vescovi, officiali, nonché i consultori e gli esperti, che tutti in varia misura, con esemplare “spirito collegiale”, hanno tra loro cooperato nel non facile lavoro redazionale fino alla stesura definitiva.

Oggi questo Libro contenente il nuovo Codice, frutto di approfonditi studi, arricchito da tanta vastità di consultazioni e di collaborazioni, io lo presento a voi e, nella vostra persona, lo consegno ufficialmente a tutta quanta la Chiesa, ripetendo a ciascuno l’agostiniano “Tolle, Lege” (S. Agostino, Confessiones, VIII, 12, 29; PL 32, 762). Questo nuovo Codice io consegno ai Pastori e ai Fedeli, ai Giudici e agli Officiali dei Tribunali Ecclesiastici, ai Religiosi e alle Religiose, ai Missionari e alle Missionarie, come anche agli studiosi e ai cultori di diritto canonico. Io l’offro con fiducia e speranza alla Chiesa, che si avvia ormai al suo terzo millennio: accanto al Libro contenente gli Atti del Concilio c’è ora il nuovo Codice Canonico, e questo mi sembra un abbinamento ben valido e significativo. Ma sopra, ma prima di questi due Libri è da porre, quale vertice di trascendente eminenza, il Libro eterno della Parola di Dio, di cui centro e cuore è il Vangelo.

Concludendo, vorrei disegnare dinanzi a voi, a indicazione e ricordo, come un ideale triangolo: in alto, c’è la Sacra Scrittura; da un lato, gli Atti del Vaticano II e, dall’altro, il nuovo Codice Canonico. E per risalire ordinatamente, coerentemente da questi due Libri, elaborati dalla Chiesa del secolo XX, fino a quel supremo e indeclinabile vertice, bisognerà passare lungo i lati di un tale triangolo, senza negligenze ed omissioni, rispettando i necessari raccordi: tutto il Magistero - intendo dire - del precedenti Concili Ecumenici e anche (omesse, naturalmente, le norme caduche ed abrogate) quel patrimonio di sapienza giuridica, che alla Chiesa appartiene.

Possa così il Popolo di Dio, aiutato da questi essenziali parametri, procedere sicuro nel suo cammino, testimoniando con la fiducia animosa dei primi Apostoli (cf. At 2, 29; 28, 31; 2 Cor 3, 12) Gesù Cristo il Signore e l’eterno messaggio del suo Regno “di giustizia, di amore e di pace” (Praefatio in sollemnitate D. N. I. C. Universorum Regis).

A tutti la mia benedizione.

CALENDARIO

3 SÁBADO. Hasta la Hora Nona:
SAN GREGORIO MAGNO, papa y doctor de la Iglesia, memoria obligatoria

Misa
de la memoria (blanco).
MISAL: ants. y oracs. props., Pf. común o de la memoria.
LECC.: vol. III-par.
- 1 Cor 4, 6b-15.
Pasamos hambre y sed y falta de ropa.
- Sal 144. R. Cerca está el Señor de los que lo invocan.
- Lc 6, 1-5. ¿Por qué hacéis en sábado lo que no está permitido? 
o bien: cf. vol. IV.

Liturgia de las Horas: oficio de la memoria.

Martirologio: elogs. del 4 de septiembre, pág. 533.
CALENDARIOS: Tortosa-ciudad: Nuestra Señora de la Cinta (S). Tortosa-diócesis: (MO).
Benedictinos: San Gregorio Magno, papa y doctor de la Iglesia (F).
Familia Paulina: Santa María, Madre del Buen Pastor (MO).
Toledo: Beato Gabriel de la Magdalena, religioso y mártir (ML).
Valencia: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Arturo Pablo Ros Murgadas, obispo auxiliar (2016).

3 SÁBADO. Después de la Hora Nona:
VIGESIMOTERCERA SEMANA DEL TIEMPO ORDINARIO
Tercera semana del Salterio
Misa
vespertina del XXIII Domingo del tiempo ordinario (verde).
Liturgia de las Horas: I Vísp. del oficio dominical. Comp. Dom. I.

TEXTOS MISA

3 de septiembre
San Gregorio Magno, papa y doctor de la Iglesia
Memoria

Antífona de entrada
El bienaventurado Gregorio Magno, elevado a la cátedra de Pedro, buscaba siempre el rostro del Señor, y vivía en la contemplación de su amor.
Beátus Gregórius, in cáthedra Petri sublimátus, semper spéciem Dómini quaerébat, atque in sollemnitáte illíus amóris habitábat.

Monición de entrada
Celebramos hoy la memoria de san Gregorio Magno, papa y doctor de la Iglesia, que nació en Roma hacia el año 540. Siendo monje ejerció ya de legado pontificio en Constantinopla y después fue elegido romano pontífice. Ha pasado a la historia con el apelativo de «Magno» por sus escritos teológicos y espirituales de notoria influencia en la vida de la Iglesia; por su celo en la reforma de la sagrada liturgia, a la que enriqueció con nuevas plegarias; por su actividad misionera al promover la evangelización de los pueblos bárbaros, recién asentados en las Galias (Francia) e Inglaterra. Sacando de la fuente de la Sagrada Escritura, Gregorio hizo llegar al pueblo las aguas del Evangelio. Murió el año 604.

Oración colecta
Oh, Dios, que cuidas a tu pueblo con misericordia y lo diriges con amor, por intercesión del papa san Gregorio Magno concede el espíritu de sabiduría a quienes confiaste la misión de gobernar, para que el progreso de los fieles sea el gozo eterno de los pastores. Por nuestro Señor Jesucristo.
Deus, qui pópulis tuis indulgéntia cónsulis et amóre domináris, da spíritum sapiéntiae, intercedénte beáto Gregório papa, quibus dedísti régimen disciplínae, ut de proféctu sanctárum óvium fiant gáudia aetérna pastórum. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del Sábado de la XXII semana del Tiempo Ordinario, año par (Lec. III-par).

PRIMERA LECTURA 1 Cor 4, 6b-15
Pasamos hambre y sed y falta de ropa

Lectura de la primera carta del apóstol san Pablo a los Corintios

Hermanos:
Aprended de Apolo y de mí a jugar limpio y no os engriáis el uno contra el otro. A ver, ¿quién te hace tan importante? ¿Tienes algo que no hayas recibido? Y, si lo has recibido, ¿a qué tanto orgullo, como si nadie te lo hubiera dado?
Ya tenéis todo lo que ansiabais, ya sois ricos, habéis conseguido un reino sin nosotros. ¿Qué más quisiera yo? Así reinaríamos juntos. Por lo que veo, a nosotros, los apóstoles, Dios nos coloca los últimos; como condenados a muerte, dados en espectáculo público para ángeles y hombres. Nosotros unos locos por Cristo, vosotros, sensatos en Cristo; nosotros débiles, vosotros fuertes; vosotros célebres, nosotros despreciados; hasta ahora pasamos hambre y sed y falta de ropa; recibimos bofetadas, no tenemos domicilio, nos agotamos trabajando con nuestras propias manos; nos insultan y les deseamos bendiciones; nos persiguen y aguantamos; nos calumnian y respondemos con buenos modos; nos tratan como a la basura del mundo, el desecho de la humanidad; y así hasta el día de hoy.
No os escribo esto para avergonzaros, sino para amonestaros. Porque os quiero como a hijos; ahora que estáis en Cristo tendréis mil tutores, pero padres no tenéis muchos; por medio del Evangelio soy yo quien os ha engendrado para Cristo Jesús.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 144, 17-18. 19-20. 21 (R.: 18a)
R. 
Cerca está el Señor de los que lo invocan.
Prope est Dóminus invocántibus eum.

V. El Señor es justo en todos sus caminos,
es bondadoso en todas sus acciones.
Cerca está el Señor de los que lo invocan,
de los que lo invocan sinceramente.
R. Cerca está el Señor de los que lo invocan.
Prope est Dóminus invocántibus eum.

V. Satisface los deseos de los que lo temen,
escucha sus gritos, y los salva.
El Señor guarda a los que lo aman,
pero destruye a los malvados.
R. Cerca está el Señor de los que lo invocan.
Prope est Dóminus invocántibus eum.

V. Pronuncie mi boca la alabanza del Señor,
todo viviente bendiga su santo nombre
por siempre jamás.
R. Cerca está el Señor de los que lo invocan.
Prope est Dóminus invocántibus eum.

Aleluya Jn 14, 6bc
R. 
Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Yo soy el camino y la verdad y la vida -dice el Señor-; nadie va al Padre sino por mí. R.
Ego sum via, véritas et vita, dicit Dóminus, nemo venit ad Patrem, nisi per me.

EVANGELIO Lc 6, 1-5
¿Por qué hacéis en sábado lo que no está permitido?
╬ 
Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

Un sábado, iba Jesús caminando por medio de un sembrado y sus discípulos arrancaban y comían espigas, frotándolas con las manos.
Unos fariseos dijeron:
«¿Por qué hacéis en sábado lo que no está permitido?».
Respondiendo Jesús, les dijo:
«¿No habéis leído lo que hizo David, cuando él y sus compañeros sintieron hambre?
Entró en la casa de Dios, y tomando los panes de la proposición, que solo está permitido comer a los sacerdotes, comió él y dio a los que estaban con él».
Y les decía:
«El Hijo del hombre es señor del sábado».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Benedicto XVI, Jesús de Nazaret I
"El Hijo del hombre es el señor del sábado": se aprecia aquí toda la grandeza de la reivindicación de Jesús, que interpreta la Ley con plena autoridad porque Él mismo es la Palabra originaria de Dios. Y se aprecia en consecuencia qué tipo de nueva libertad le corresponde al hombre en general: una libertad que nada tiene que ver con la simple arbitrariedad. En las palabras sobre el sábado es importante el enlace entre "hombre" e "Hijo del hombre"; vemos cómo esta palabra, de por sí genérica, se convierte en expresión de la dignidad especial de Jesús.

Oración de los fieles
Ferias del Tiempo Ordinario XXXI

Dios nos da, gratuitamente, el don de su amor. Por ello presentamos ahora nuestra oración por la Iglesia, por todos los hombres y por nosotros.
- Por nuestra Iglesia, para que Dios todopoderoso perdone sus debilidades, ponga fin a sus divisiones, aumente su valentía, refuerce su fe y expanda su testimonio por toda la tierra. Roguemos al Señor.
- Por la paz en todo el mundo, para que las ambiciones no opriman y el amor crezca en el corazón de todos los hombres. Roguemos al Señor.
- Por el progreso en nuestro país, para que a nadie le falte el pan, la casa, el trabajo o la escuela, el descanso y todo lo necesario para llevar una vida digna. Roguemos al Señor.
- Por los enfermos, ancianos, marginados, para que en sus dificultades sientan la fuerza del Señor y encuentren nuestra ayuda y nuestra comprensión. Roguemos al Señor.
- Por los que nos hemos reunido aquí, por nuestros parientes y amigos, y por los que esperan que nos acordemos de ellos en la oración, para que en todos crezca siempre la fe, la esperanza y el amor. Roguemos al Señor.
Dios y Padre todopoderoso, escucha las oraciones de tu Iglesia y concédenos los dones de tu bondad. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Señor, en la fiesta de san Gregorio Magno te pedimos que nos sirva de provecho esta ofrenda con cuya inmolación concediste que se perdonasen los pecados del mundo entero. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Annue nobis, quaesumus, Dómine, ut, in celebratióne beáti Gregórii, haec nobis prosit oblátio, quam immolándo totíus mundi tribuísti relaxári delícta. Per Christum.

PREFACIO DE LOS SANTOS PASTORES
LA PRESENCIA DE LOS SANTOS PASTORES EN LA IGLESIA
En verdad es justo y necesario, es nuestro deber y salvación darte gracias siempre y en todo lugar, Señor, Padre santo, Dios todopoderoso y eterno, por Cristo, Señor nuestro.
Porque nos concedes la alegría de celebrar hoy la fiesta de san N., fortaleciendo a tu Iglesia con el ejemplo de su vida santa, instruyéndola con su palabra y protegiéndola con su intercesión.
Por eso, con los ángeles y la multitud de los santos, te cantamos el himno de alabanza diciendo sin cesar:

Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: per Christum Dóminum nostrum.
Quia sic tríbuis Ecclésiam tuam sancti N. festivitáte gaudére, ut eam exémplo piae conversatiónis corróbores, verbo praedicatiónis erúdias, gratáque tibi supplicatióne tueáris.
Et ídeo, cum Angelórum atque Sanctórum turba, hymnum laudis tibi cánimus, sine fine dicéntes:

Santo, Santo, Santo...

PLEGARIA EUCARÍSTICA III

Antífona de la comunión
Este es el siervo fiel y prudente a quien el Señor puso al frente de su servidumbre para que reparta la ración de alimento a sus horas.
Fidélis servus et prudens, quem constítuit Dóminus super famíliam suam, ut det illis in témpore trítici mensuram.

Oración después de la comunión
A cuantos alimentas con Cristo, Pan de vida, instrúyelos, Señor, con la enseñanza de Cristo Maestro, para que, en la fiesta de san Gregorio Magno, conozcan tu verdad y la realicen en el amor. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Quos Christo réficis pane vivo, eósdem édoce, Dómine, Christo magístro, ut in festivitáte beáti Gregórii tuam discant veritátem, et eam in caritáte operéntur. Per Christum.

MARTIROLOGIO

Elogios del día 4 de septiembre
1. Memoria de san Moisés, profeta, a quien Dios eligió para liberar al pueblo oprimido en Egipto y conducirlo a la tierra de promisión. También se le reveló en el monte Sinaí, diciéndole: «Yo soy el que soy», y le propuso la ley para regir la vida del pueblo elegido. Murió lleno de días en el monte Nebo, en tierra de Moab, a las puertas de la tierra de promisión.
2. En Chalons-sur-Saone, en la Galia Lugdunense, hoy Francia, san Marcelo, mártir. (s. III-IV)
3. En Roma, en el cementerio de Máximo, en vía Salaria Nueva, sepultura de san Bonifacio I, papa, que trabajó para solucionar muchas controversias sobre disciplina eclesiástica. (422)
4*. En Chartres, de Neustria, Francia actualmente, san Caletrico, obispo. (ante 573)
5*. En Herzfeld, Lugar de Sajonia, actual Alemania, santa Ida, viuda del duque Ecberto, insigne por su asidua oración y caridad para con los pobres. (825)
6*. En Mende, en Aquitania, hoy Francia, san Fredaldo, obispo y mártir. (c. s. IX)
7*. En Colonia, en Lotaringia, actualmente Alemania, santa Irmgarda, condesa de Süchteln, que utilizó sus bienes en la construcción de iglesias. (c. 1089)
8. En Palermo, en la región italiana de Sicilia, santa Rosalía, virgen, de quien se dice que practicó la vida solitaria en el monte Pellegrino. (s. XII)
9*. En Carmagna, en el Piamonte, región también de Italia, beata Catalina Mattei, virgen, religiosa de las Hermanas de Penitencia de Santo Domingo, que, viviendo con una salud muy precaria, soportó con admirable caridad y abundancia de virtudes las calumnias humanas y todo tipo de tentaciones. (1547)
10*. En el mar frente a Rochefort, en el litoral norte de Francia, beato Escipión Jerónimo Brigéat de Lambert, presbítero y mártir, que, siendo canónigo de la diócesis de Avranches, durante la Revolución Francesa fue encerrado, por su condición de sacerdote, en una nave anclada, donde murió de inanición. (1794)
11*. En Sillery, en la provincia de Quebec, en Canadá, beata María de Santa Cecilia Romana (Dina) Bellanger, virgen de la Congregación de Religiosas de Jesús-María, que, entregada y confiando sólo en el Señor, durante no pocos años soportó una grave enfermedad. (1929)
12*. En Oropesa, en la provincia valenciana de Castellón, en España, beato José Pascual Carda Saporta, presbítero de la Hermandad de Sacerdotes Operarios Diocesanos, que sufrió gloriosamente el martirio durante la contienda española, en la cruel persecución contra la Iglesia. (1936)
13*. En Teulada, en la provincia de Alicante, también en España, beato Francisco Sendra Ivars, presbítero, martirizado por la fe en la misma persecución religiosa. (1936)
14*. Cerca de la localidad de Genovés, en la región de Valencia, igualmente en España, beato Bernardo (José) Leda Grau, religioso de la Orden de la Orden de los Hermanos Menores Capuchinos y mártir glorioso por Cristo en la misma contienda española. (1936)
- Beato Giuseppe Toniolo (1845- Pisa, Italia 1918). Laico, casado y padre de siete hijos, profesor universitario, educador de jóvenes, economista y sociólogo, con una gran fidelidad a la Iglesia.
- Beato Nicolò Rusca (1563- Thusis, Suiza 1618). Sacerdote diocesano y arcipreste de Sondrio, mártir, a quien los enemigos de la fe lo torturaron hasta la muerte.