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domingo, 25 de septiembre de 2022

Domingo 30 octubre 2022, XXXI Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

VISITA PASTORALE A MATERA PER LA CONCLUSIONE DEL 27° CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Stadio comunale XXI Settembre (Matera). Domenica, 25 settembre 2022

Ci raduna attorno alla sua mensa il Signore, facendosi pane per noi: «È il pane della festa sulla tavola dei figli, […] crea condivisione, rafforza i legami, ha gusto di comunione» (Inno XVII Congresso Eucaristico Nazionale, Matera 2022). Eppure, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci dice che non sempre sulla tavola del mondo il pane è condiviso: questo è vero; non sempre emana il profumo della comunione; non sempre è spezzato nella giustizia.

Ci fa bene fermarci davanti alla scena drammatica descritta da Gesù in questa parabola che abbiamo ascoltato: da una parte un ricco vestito di porpora e di bisso, che sfoggia la sua opulenza e banchetta lautamente; dall’altra parte, un povero, coperto di piaghe, che giace sulla porta sperando che da quella mensa cada qualche mollica di cui sfamarsi. E davanti a questa contraddizione – che vediamo tutti i giorni – davanti a questa contraddizione ci chiediamo: a che cosa ci invita il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita del cristiano?

Anzitutto, l’Eucaristia ci ricorda il primato di Dio. Il ricco della parabola non è aperto alla relazione con Dio: pensa solo al proprio benessere, a soddisfare i suoi bisogni, a godersi la vita. E con questo ha perso anche il nome. Il Vangelo non dice come si chiamava: lo nomina con l’aggettivo “un ricco”, invece del povero dice il nome: Lazzaro. Le ricchezze ti portano a questo, ti spogliano anche del nome. Soddisfatto di sé, ubriacato dal denaro, stordito dalla fiera delle vanità, nella sua vita non c’è posto per Dio perché egli adora solo sé stesso. Non a caso, di lui non si dice il nome: lo chiamiamo “ricco”, lo definiamo solo con un aggettivo perché ormai ha perduto il suo nome, ha perduto la sua identità che è data solo dai beni che possiede. Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre. A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa “Dio aiuta”. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita.

Ecco allora la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita: adorare Dio e non sé stessi, non noi stessi. Mettere Lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto. Quando invece adoriamo il Signore Gesù presente nell’Eucaristia, riceviamo uno sguardo nuovo anche sulla nostra vita: io non sono le cose che possiedo o i successi che riesco a ottenere; il valore della mia vita non dipende da quanto riesco a esibire né diminuisce quando vado incontro ai fallimenti e agli insuccessi. Io sono un figlio amato, ognuno di noi è un figlio amato; io sono benedetto da Dio; Lui mi ha voluto rivestire di bellezza e mi vuole libero, mi vuole libera da ogni schiavitù. Ricordiamoci questo: chi adora Dio non diventa schiavo di nessuno: è libero. Riscopriamo la preghiera di adorazione, una preghiera che si dimentica con frequenza. Adorare, la preghiera di adorazione, riscopriamola: essa ci libera e ci restituisce alla nostra dignità di figli, non di schiavi.

Oltre al primato di Dio, l’Eucaristia ci chiama all’amore dei fratelli. Questo Pane è per eccellenza il Sacramento dell’amore. È Cristo che si offre e si spezza per noi e ci chiede di fare altrettanto, perché la nostra vita sia frumento macinato e diventi pane che sfama i fratelli. Il ricco del Vangelo viene meno a questo compito; vive nell’opulenza, banchetta abbondantemente senza neanche accorgersi del grido silenzioso del povero Lazzaro, che giace stremato alla sua porta. Solo alla fine della vita, quando il Signore rovescia le sorti, finalmente si accorge di Lazzaro, ma Abramo gli dice: «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26). Ma l’hai fissato tu: tu stesso. Siamo noi, quando nell’egoismo fissiamo degli abissi. Era stato il ricco a scavare un abisso tra lui e Lazzaro durante la vita terrena e adesso, nella vita eterna, quell’abisso rimane. Perché il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle –, ci “scaviamo la fossa” per il dopo; se alziamo adesso dei muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo.

Cari fratelli e sorelle, è doloroso vedere che questa parabola è ancora storia dei nostri giorni: le ingiustizie, le disparità, le risorse della terra distribuite in modo iniquo, i soprusi dei potenti nei confronti dei deboli, l’indifferenza verso il grido dei poveri, l’abisso che ogni giorno scaviamo generando emarginazione, non possono – tutte queste cose – lasciarci indifferenti. E allora oggi, insieme, riconosciamo che l’Eucaristia è profezia di un mondo nuovo, è la presenza di Gesù che ci chiede di impegnarci perché accada un’effettiva conversione: conversione dall’indifferenza alla compassione, conversione dallo spreco alla condivisione, conversione dall’egoismo all’amore, conversione dall’individualismo alla fraternità.

Fratelli e sorelle, sogniamo. Sogniamo una Chiesa così: una Chiesa eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione e tenerezza dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti. Perché non c’è un vero culto eucaristico senza compassione per i tanti “Lazzaro” che anche oggi ci camminano accanto. Tanti!

Fratelli, sorelle, da questa città di Matera, “città del pane”, vorrei dirvi: ritorniamo a Gesù, ritorniamo all’Eucaristia. Torniamo al gusto del pane, perché mentre siamo affamati di amore e di speranza, o siamo spezzati dai travagli e dalle sofferenze della vita, Gesù si fa cibo che ci sfama e ci guarisce. Torniamo al gusto del pane, perché mentre nel mondo continuano a consumarsi ingiustizie e discriminazioni verso i poveri, Gesù ci dona il Pane della condivisione e ci manda ogni giorno come apostoli di fraternità, apostoli di giustizia, apostoli di pace. Torniamo al gusto del pane per essere Chiesa eucaristica, che mette Gesù al centro e si fa pane di tenerezza, pane di misericordia per tutti. Torniamo al gusto del pane per ricordare che, mentre questa nostra esistenza terrena va consumandosi, l’Eucaristia ci anticipa la promessa della risurrezione e ci guida verso la vita nuova che vince la morte.

Pensiamo oggi sul serio al ricco e a Lazzaro. Succede ogni giorno, questo. E tante volte anche – vergogniamoci – succede in noi, questa lotta, fra noi, nella comunità. E quando la speranza si spegne e sentiamo in noi la solitudine del cuore, la stanchezza interiore, il tormento del peccato, la paura di non farcela, torniamo ancora al gusto del pane. Tutti siamo peccatori: ognuno di noi porta i propri peccati. Ma, peccatori, torniamo al gusto dell’Eucaristia, al gusto del pane. Torniamo a Gesù, adoriamo Gesù, accogliamo Gesù. Perché Lui è l’unico che vince la morte e sempre rinnova la nostra vita.

CALENDARIO

30 + XXXI DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa
del Domingo (verde).
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical.
LECC.: vol. I (C).
- Sab 11, 22 — 12, 2.
Te compadeces de todos, porque amas a todos los seres.
- Sal 144. R. Bendeciré tu nombre por siempre, Dios mío, mi rey.
- 2 Tes 1, 11 — 2, 2. El nombre de Cristo será glorificado en vosotros y vosotros en él.
- Lc 19, 1-10. El Hijo del hombre ha venido a buscar y a salvar lo que estaba perdido.

El Señor es clemente y misericordioso, lento a la cólera y rico en piedad (cf. sal. resp.). La misericordia del Señor es tema fundamental de la liturgia de hoy. Esa misericordia es fruto del amor que Dios tiene a todos los seres. Corrige poco a poco a los que pecan y les recuerda su pecado para que se conviertan y crean en Él. El Ev. es un ejemplo concreto que demuestra que el Hijo del Hombre ha venido a buscar y salvar lo que estaba perdido. De Jesús parte la iniciativa de hospedarse en casa de Zaqueo, jefe de publicanos y rico, que a raíz de eso se convirtió. Así nosotros, como testigos de la misericordia, no podemos despreciar a nadie por sus pecados, ni estar encerrados en las sacristías, sino que tenemos que salir a acercarnos a los alejados para que se conviertan al Señor.

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial.

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II.

Martirologio: elogs. del 31 de octubre, pág. 640.
CALENDARIOS: Familia Franciscana: Dedicación de la iglesia propia (S).
Familia Paulina: Nuestro Señor Jesucristo, Divino Maestro (S).
Paúles: Dedicación de las iglesias en que se ignora su día (S).

TEXTOS MISA

XXXI DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Antífona de entrada Sal 37, 22-23
No me abandones, Señor, Dios mío, no te quedes lejos; ven aprisa a socorrerme, Señor mío, mi salvación.
Ne derelínquas me, Dómine Deus meus, ne discédas a me; inténde in adiutórium meum, Dómine, virtus salútis meae.

Monición de entrada
Año C
Nos hemos reunido para celebrar la eucaristía en el domingo, el día de la nueva creación. En esta celebración reconocemos el inmenso amor de Dios por todo lo que él ha creado, quien, de manera especial, ha puesto su amor en el hombre. El nos llama a cada uno de nosotros por nuestro nombre para alojarse en la casa de nuestra vida y transformarnos. Abramos nuestro corazón a este encuentro con él.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula pueden usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Tú, que no has venido a llamar a los justos, sino a los pecadores: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Tú, que acogías a los pecadores y comías con ellos: Cristo, ten piedad.
R. Cristo, ten piedad.
- Tú, que fuiste acusado de pecador: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición y de la aspersión del agua bendita.

Se dice
 Gloria.

Oración colecta
Dios de poder y misericordia, de quien procede el que tus fieles te sirvan digna y meritoriamente, concédenos avanzar sin obstáculos hacia los bienes que nos prometes. Por nuestro Señor Jesucristo.
Omnípotens et miséricors Deus, de cuius múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur, tríbue, quaesumus, nobis, ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XXXI Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

PRIMERA LECTURA Sab 11, 22-12, 2
Te compadeces de todos, porque amas a todos los seres

Lectura del libro de la Sabiduría.

Señor, el mundo entero es ante ti como un grano en la balanza,
como gota de rocío mañanero sobre la tierra.
Pero te compadeces de todos, porque todo lo puedes
y pasas por alto los pecados de los hombres para que se arrepientan.
Amas a todos los seres
y no aborreces nada de lo que hiciste;
pues, si odiaras algo, no lo habrías creado.
¿Cómo subsistiría algo, si tú no lo quisieras?,
o ¿cómo se conservaría, si tú no lo hubieras llamado?
Pero tú eres indulgente con todas las cosas,
porque son tuyas, Señor, amigo de la vida.
Pues tu soplo incorruptible está en todas ellas.
Por eso corriges poco a poco a los que caen,
los reprendes y les recuerdas su pecado,
para que, apartándose del mal, crean en ti, Señor.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 144, 1bc-2. 8-9. 10-11. 13cd-14 (R.: cf. 1bc)
R. Bendeciré tu nombre por siempre, Dios mío, mi rey.
Benedícam nómini tuo in sæculum, Deus meus rex.

V. Te ensalzaré, Dios mío, mi rey;
bendeciré tu nombre por siempre jamás.
Día tras día, te bendeciré
y alabaré tu nombre por siempre jamás.
R. Bendeciré tu nombre por siempre, Dios mío, mi rey.
Benedícam nómini tuo in sæculum, Deus meus rex.

V. El Señor es clemente y misericordioso,
lento a la cólera y rico en piedad;
el Señor es bueno con todos,
es cariñoso con todas sus criaturas.
R. Bendeciré tu nombre por siempre, Dios mío, mi rey.
Benedícam nómini tuo in sæculum, Deus meus rex.

V. Que todas tus criaturas te den gracias, Señor,
que te bendigan tus fieles;
que proclamen la gloria de tu reinado,
que hablen de tus hazañas.
R. Bendeciré tu nombre por siempre, Dios mío, mi rey.
Benedícam nómini tuo in sæculum, Deus meus rex.

V. El Señor es fiel a sus palabras,
bondadoso en todas sus acciones.
El Señor sostiene a los que van a caer,
endereza a los que ya se doblan.
R. Bendeciré tu nombre por siempre, Dios mío, mi rey.
Benedícam nómini tuo in sæculum, Deus meus rex.

SEGUNDA LECTURA 2 Tes 1, 11-2, 2
Que Cristo sea glorificado en vosotros, y vosotros en él

Lectura de la segunda carta del apóstol san Pablo a los Tesalonicenses.

Hermanos:
Oramos continuamente por vosotros, para que nuestro Dios os haga dignos de la vocación y con su poder lleve a término todo propósito de hacer el bien y la tarea de la fe. De este modo, el nombre de nuestro Señor Jesús será glorificado en vosotros y vosotros en él, según la gracia de nuestro Dios y del Señor Jesucristo.
A propósito de la venida de nuestro Señor Jesucristo y de nuestra reunión con él, os rogamos, hermanos, que no perdáis fácilmente la cabeza ni os alarméis por alguna revelación, rumor o supuesta carta nuestra, como si el día del Señor estuviera encima.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya Jn 3, 16
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Tanto amó Dios al mundo que entregó a su Hijo único. Todo el que cree en él tiene vida eternaR.
Sic Deus diléxi mundum, ut Fílium suum unigénitum daret; omnis qui credit in eum habet vitam ætérnam.

EVANGELIO Lc 19, 1–10
El Hijo del hombre ha venido a buscar y a salvar lo que estaba perdido
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, Jesús entró en Jericó e iba atravesando la ciudad.
En esto, un hombre llamado Zaqueo, jefe de publicanos y rico, trataba de ver quién era Jesús, pero no lo lograba a causa del gentío, porque era pequeño de estatura. Corriendo más adelante, se subió a un sicomoro para verlo, porque tenía que pasar por allí.
Jesús, al llegar a aquel sitio, levantó los ojos y le dijo:
«Zaqueo, date prisa y baja, porque es necesario que hoy me quede en tu casa».
Él se dio prisa en bajar y lo recibió muy contento.
Al ver esto, todos murmuraban diciendo:
«Ha entrado a hospedarse en casa de un pecador».
Pero Zaqueo, de pie, dijo al Señor:
«Mira, Señor, la mitad de mis bienes se la doy a los pobres;
y si he defraudado a alguno, le restituyo cuatro veces más».
Jesús le dijo:
«Hoy ha sido la salvación de esta casa, pues también este es hijo de Abrahán.
Porque el Hijo del hombre ha venido a buscar y a salvar lo que estaba perdido».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Francisco
ÁNGELUS. Domingo, 3 de noviembre de 2019.
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
El Evangelio de hoy (cf. Lc 19, 1-10) nos sitúa en el camino de Jesús que, dirigiéndose a Jerusalén, se detuvo en Jericó. Había una gran multitud para darle la bienvenida, incluyendo a un hombre llamado Zaqueo, jefe de los "publicanos"; es decir, de los judíos que recaudaban impuestos en nombre del Imperio Romano. Era rico no por sus ganancias honestas, sino porque exigía un "soborno", lo que aumentaba el desprecio hacia él. Zaqueo «quería ver quién era Jesús» (Lc 19, 3); no quería conocerlo, pero tenía curiosidad: quería ver aquel personaje del que había oído decir cosas extraordinarias. Tenía curiosidad. Y, siendo de baja estatura, «para poder verlo» (Lc 19, 4) sube a un árbol. Cuando Jesús se acerca, alza la mirada y lo ve (cf. Lc 19, 5).
Y esto es importante: la primera mirada no es la de Zaqueo, sino la de Jesús, que entre los muchos rostros que lo rodeaban –la multitud– busca precisamente el de Zaqueo. La mirada misericordiosa del Señor nos alcanza antes de que nosotros mismos nos demos cuenta de que necesitamos que Él nos salve. Y con esta mirada del divino Maestro comienza el milagro de la conversión del pecador. De hecho, Jesús lo llama, y lo llama por su nombre: «Zaqueo, baja pronto, porque hoy tengo que alojarme en tu casa» (Lc 19, 5). No lo reprocha, no le echa un "sermón"; le dice que tiene que alojarse en su casa: "tiene que", porque es la voluntad del Padre. A pesar de los murmullos de la gente, Jesús eligió quedarse en la casa de ese hombre pecador.
También nosotros nos habríamos escandalizado por este comportamiento de Jesús. Pero el desprecio y el rechazo hacia el pecador sólo lo aíslan y lo endurecen en el mal que está haciendo contra sí mismo y contra la comunidad. En cambio, Dios condena el pecado, pero trata de salvar al pecador, va en busca de él para traerlo de vuelta al camino correcto. Aquellos que nunca se han sentido buscados por la misericordia de Dios tienen dificultades para comprender la extraordinaria grandeza de los gestos y de las palabras con las que Jesús se acerca a Zaqueo.
La acogida y la atención de Jesús hacia él lo condujo a un claro cambio de mentalidad: en un momento se dio cuenta de lo mezquina que es una vida esclava del dinero, a costa de robar a los demás y recibir su desprecio. Tener al Señor allí, en su casa, le hace ver todo con otros ojos, incluso con un poco de la ternura con la que Jesús lo miraba. Y su manera de ver y de usar el dinero también cambia: el gesto de arrebatar es reemplazado por el de dar. De hecho, decide dar la mitad de lo que posee a los pobres y devolver el cuádruple a los que ha robado (cf. Lc 19, 8). Zaqueo descubre de Jesús que es posible amar gratuitamente: hasta entonces era tacaño, y ahora se vuelve generoso; le gustaba acopiar, y ahora se regocija en el compartir. Encontrándose con el Amor, descubriendo que es amado a pesar de sus pecados, se vuelve capaz de amar a los demás, haciendo del dinero un signo de solidaridad y de comunión.
Que la Virgen María nos conceda la gracia de sentir siempre la mirada misericordiosa de Jesús sobre nosotros, para que podamos encontrarnos con la misericordia de los que se han equivocado, para que ellos también puedan acoger a Jesús, quien «vino a buscar y a salvar lo que estaba perdido» (Lc 19, 10).
ÁNGELUS, Domingo 30 de octubre de 2016
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
El Evangelio de hoy nos presenta un hecho acaecido en Jericó, cuando Jesús, al llegar a la ciudad, fue acogido por la multitud (cf. Lc 19, 1-10). En Jericó vivía Zaqueo, el jefe de los «publicanos», es decir de los recaudadores de impuestos. Zaqueo era un rico colaborador de los odiados ocupantes romanos, un explotador de su pueblo. También él, por curiosidad, quería ver a Jesús, pero su condición de pecador público no le permitía acercase al Maestro. Incluso más, era pequeño de estatura, y por ello sube a un árbol de sicómoro, a lo largo de la calle donde tenía que pasar Jesús.
Cuando llegó cerca de ese árbol, Jesús levantando la vista le dijo: «Zaqueo, date prisa y baja, porque es necesario que hoy me quede en tu casa» (v. 5). Podemos imaginar el asombro de Zaqueo. Pero, ¿por qué Jesús dice «es necesario que hoy me quede en tu casa»? ¿De qué tipo de necesidad se trata? Sabemos que su deber supremo es realizar el designio del Padre para toda la humanidad, que se cumple en Jerusalén con su condena a muerte, la crucifixión y, al tercer día, la resurrección. Es el plan de salvación de la misericordia del Padre. Y en este designio está también la salvación de Zaqueo, un hombre deshonesto y despreciado por todos, y por ello con necesidad de convertirse. En efecto, el Evangelio dice que, cuando Jesús lo llamó, «todos murmuraban diciendo: "Ha entrado a hospedarse en casa de un pecador"» (v. 7). El pueblo ve en él a un despreciable, que se ha enriquecido a costa de los demás. Y si Jesús hubiese dicho: «Baja, tú, explotador, traidor del pueblo. Ven a hablar conmigo para arreglar las cuentas». Seguramente el pueblo le hubiese aplaudido. En cambio, comenzaron a murmurar: «Jesús va a la casa de él, del pecador, del explotador».
Pero Jesús, guiado por la misericordia, lo buscaba precisamente a él. Y cuando entra en la casa de Zaqueo dice: «Hoy ha sido la salvación de esta casa, pues también este es hijo de Abrahán. Porque el Hijo del hombre ha venido a buscar y a salvar lo que estaba perdido» (vv. 9-10). La mirada de Jesús va más allá de los pecados y los prejuicios. ¡Y esto es importante! Debemos aprenderlo. La mirada de Jesús va más allá de los pecados y los prejuicios; mira a la persona con los ojos de Dios, que no se queda en el mal pasado, sino que vislumbra el bien futuro. Jesús no se resigna ante las cerrazones, sino que abre siempre, siempre abre nuevos espacios de vida; no se queda en las apariencias, sino que mira el corazón. Y aquí miró el corazón herido de este hombre: herido por el pecado de la codicia, de muchas cosas malas que había hecho este Zaqueo. Mira el corazón herido y va allí.
A veces nosotros buscamos corregir o convertir a un pecador riñendo, reprochando sus errores y su comportamiento injusto. La actitud de Jesús con Zaqueo nos indica otro camino: el de mostrar a quien se equivoca su valor, ese valor que Dios sigue viendo a pesar de todo, a pesar de todos sus errores. Esto puede provocar una sorpresa positiva, que causa ternura en el corazón e impulsa a la persona a sacar hacia fuera todo lo bueno que tiene en sí mismo. El gesto de dar confianza a las personas es lo que las hace crecer y cambiar. Así se comporta Dios con todos nosotros: no lo detiene nuestro pecado, sino que lo supera con el amor y nos hace sentir la nostalgia del bien. Todos hemos sentido esta nostalgia del bien después de haber cometido un error. Y así lo hace nuestro Padre Dios, así lo hace Jesús. No existe una persona que no tenga algo bueno. Y esto es lo que mira Dios para sacarla del mal.
Que la Virgen María nos ayude a ver lo bueno que hay en las personas que encontramos cada día, a fin de que todos sean alentados en hacer emerger la imagen de Dios grabada en su corazón. Y así podemos alegrarnos por las sorpresas de la misericordia de Dios. Nuestro Dios, que es el Dios de las sorpresas.
Homilia, XXXI JMJ. Campus Misericordiae – Cracovia, Domingo 31 de julio de 2016.
Queridos jóvenes: habéis venido a Cracovia para encontraros con Jesús. Y el Evangelio de hoy nos habla precisamente del encuentro entre Jesús y un hombre, Zaqueo, en Jericó (cf. Lc 19, 1-10). Allí Jesús no se limita a predicar, o a saludar a alguien, sino que quiere –nos dice el Evangelista– cruzar la ciudad (cf. Lc 19, 1). Con otras palabras, Jesús desea acercarse a la vida de cada uno, recorrer nuestro camino hasta el final, para que su vida y la nuestra se encuentren realmente.
Tiene lugar así el encuentro más sorprendente, el encuentro con Zaqueo, jefe de los «publicanos», es decir, de los recaudadores de impuestos. Así que Zaqueo era un rico colaborador de los odiados ocupantes romanos; era un explotador de su pueblo, uno que debido a su mala fama no podía ni siquiera acercarse al Maestro. Sin embargo, el encuentro con Jesús cambió su vida, como sucedió, y cada día puede suceder con cada uno de nosotros. Pero Zaqueo tuvo que superar algunos obstáculos para encontrarse con Jesús. No fue fácil para él, tuvo que superar algunos obstáculos, al menos tres, que también pueden enseñarnos algo a nosotros.
El primero es la baja estatura: Zaqueo no conseguía ver al Maestro, porque era bajo. También nosotros podemos hoy caer en el peligro de quedarnos lejos de Jesús porque no nos sentimos a la altura, porque tenemos una baja consideración de nosotros mismos. Esta es una gran tentación, que no sólo tiene que ver con la autoestima, sino que afecta también la fe. Porque la fe nos dice que somos «hijos de Dios, pues ¡lo somos!» (1Jn 3, 1): hemos sido creados a su imagen; Jesús hizo suya nuestra humanidad y su corazón nunca se separará de nosotros; el Espíritu Santo quiere habitar en nosotros; estamos llamados a la alegría eterna con Dios. Esta es nuestra «estatura», esta es nuestra identidad espiritual: somos los hijos amados de Dios, siempre. Entendéis entonces que no aceptarse, vivir descontentos y pensar en negativo significa no reconocer nuestra identidad más auténtica: es como darse la vuelta cuando Dios quiere fijar sus ojos en mí; significa querer impedir que se cumpla su sueño en mí. Dios nos ama tal como somos, y no hay pecado, defecto o error que lo haga cambiar de idea. Para Jesús –nos lo muestra el Evangelio–, nadie es inferior y distante, nadie es insignificante, sino que todos somos predilectos e importantes: ¡Tú eres importante! Y Dios cuenta contigo por lo que eres, no por lo que tienes: ante él, nada vale la ropa que llevas o el teléfono móvil que utilizas; no le importa si vas a la moda, le importas tú, tal como eres. A sus ojos, vales, y lo que vales no tiene precio.
Cuando en la vida sucede que apuntamos bajo en vez de a lo alto, nos puede ser de ayuda esta gran verdad: Dios es fiel en su amor, y hasta obstinado. Nos ayudará pensar que nos ama más de lo que nosotros nos amamos, que cree en nosotros más que nosotros mismos, que está siempre de nuestra parte, como el más acérrimo de los «hinchas». Siempre nos espera con esperanza, incluso cuando nos encerramos en nuestras tristezas, rumiando continuamente los males sufridos y el pasado. Pero complacerse en la tristeza no es digno de nuestra estatura espiritual. Es más, es un virus que infecta y paraliza todo, que cierra cualquier puerta, que impide enderezar la vida, que recomience. Dios, sin embargo, es obstinadamente esperanzado: siempre cree que podemos levantarnos y no se resigna a vernos apagados y sin alegría. Es triste ver a un joven sin alegría. Porque somos siempre sus hijos amados. Recordemos esto al comienzo de cada día. Nos hará bien decir todas las mañanas en la oración: «Señor, te doy gracias porque me amas; estoy seguro de que me amas; haz que me enamore de mi vida». No de mis defectos, que hay que corregir, sino de la vida, que es un gran regalo: es el tiempo para amar y ser amado.
Zaqueo tenía un segundo obstáculo en el camino del encuentro con Jesús: la vergüenza paralizante. Sobre esto hemos dicho algo ayer por la tarde. Podemos imaginar lo que sucedió en el corazón de Zaqueo antes de subir a aquella higuera, habrá tenido una lucha afanosa: por un lado, la curiosidad buena de conocer a Jesús; por otro, el riesgo de hacer una figura bochornosa. Zaqueo era un personaje público; sabía que, al intentar subir al árbol, haría el ridículo delante de todos, él, un jefe, un hombre de poder, pero muy odiado. Pero superó la vergüenza, porque la atracción de Jesús era más fuerte. Habréis experimentado lo que sucede cuando una persona se siente tan atraída por otra que se enamora: entonces sucede que se hacen de buena gana cosas que nunca se habrían hecho. Algo similar ocurrió en el corazón de Zaqueo, cuando sintió que Jesús era de tal manera importante que habría hecho cualquier cosa por él, porque él era el único que podía sacarlo de las arenas movedizas del pecado y de la infelicidad. Y así, la vergüenza paralizante no triunfó: Zaqueo –nos dice el Evangelio– «corrió más adelante», «subió» y luego, cuando Jesús lo llamó, «se dio prisa en bajar» (Lc 19, 4.6.). Se arriesgó y actuó. Esto es también para nosotros el secreto de la alegría: no apagar la buena curiosidad, sino participar, porque la vida no hay que encerrarla en un cajón. Ante Jesús no podemos quedarnos sentados esperando con los brazos cruzados; a él, que nos da la vida, no podemos responderle con un pensamiento o un simple «mensajito».
Queridos jóvenes, no os avergoncéis de llevarle todo, especialmente las debilidades, las dificultades y los pecados, en la confesión: Él sabrá sorprenderos con su perdón y su paz. No tengáis miedo de decirle «sí» con toda la fuerza del corazón, de responder con generosidad, de seguirlo. No os dejéis anestesiar el alma, sino aspirad a la meta del amor hermoso, que exige también renuncia, y un «no» fuerte al doping del éxito a cualquier precio y a la droga de pensar sólo en sí mismo y en la propia comodidad.
Después de la baja estatura y después de la vergüenza paralizante, hay un tercer obstáculo que Zaqueo tuvo que enfrentar, ya no en su interior sino a su alrededor. Es la multitud que murmura, que primero lo bloqueó y luego lo criticó: Jesús no tenía que entrar en su casa, en la casa de un pecador. ¿Qué difícil es acoger realmente a Jesús, qué duro es aceptar a un «Dios, rico en misericordia» (Ef 2, 4). Puede que os bloqueen, tratando de haceros creer que Dios es distante, rígido y poco sensible, bueno con los buenos y malo con los malos. En cambio, nuestro Padre «hace salir su sol sobre malos y buenos» (Mt 5, 45), y nos invita al valor verdadero: ser más fuertes que el mal amando a todos, incluso a los enemigos. Puede que se rían de vosotros, porque creéis en la fuerza mansa y humilde de la misericordia. No tengáis miedo, pensad en cambio en las palabras de estos días: «Bienaventurados los misericordiosos, porque ellos alcanzarán misericordia» (Mt 5, 7). Puede que os juzguen como unos soñadores, porque creéis en una nueva humanidad, que no acepta el odio entre los pueblos, ni ve las fronteras de los países como una barrera y custodia las propias tradiciones sin egoísmo y resentimiento. No os desaniméis: con vuestra sonrisa y vuestros brazos abiertos predicáis la esperanza y sois una bendición para la única familia humana, tan bien representada por vosotros aquí.
Aquel día, la multitud juzgó a Zaqueo, lo miró con desprecio; Jesús, en cambio, hizo lo contrario: levantó los ojos hacia él (Lc 19, 5). La mirada de Jesús va más allá de los defectos para ver a la persona; no se detiene en el mal del pasado, sino que divisa el bien en el futuro; no se resigna frente a la cerrazón, sino que busca el camino de la unidad y de la comunión; en medio de todos, no se detiene en las apariencias, sino que mira al corazón. Jesús mira nuestro corazón, el tuyo, el mío. Con esta mirada de Jesús, podéis hacer surgir una humanidad diferente, sin esperar a que os digan «qué buenos sois», sino buscando el bien por sí mismo, felices de conservar el corazón limpio y de luchar pacíficamente por la honestidad y la justicia. No os detengáis en la superficie de las cosas y desconfiad de las liturgias mundanas de la apariencia, del maquillaje del alma para aparentar mejores. Por el contrario, instalad bien la conexión más estable, la de un corazón que ve y transmite incansablemente el bien. Y esa alegría que habéis recibido gratis de Dios, por favor, dadla gratis (cf. Mt 10, 8), porque son muchos los que la esperan. Y la esperan de vosotros.
Escuchemos por último las palabras de Jesús a Zaqueo, que parecen dichas a propósito para nosotros, para cada uno de nosotros: «Date prisa y baja, porque es necesario que hoy me quede en tu casa» (Lc 19, 5). «Baja inmediatamente, porque hoy debo quedarme contigo. Ábreme la puerta de tu corazón». Jesús te dirige la misma invitación: «Hoy tengo que alojarme en tu casa». La Jornada Mundial de la Juventud, podríamos decir, comienza hoy y continúa mañana, en casa, porque es allí donde Jesús quiere encontrarnos a partir de ahora. El Señor no quiere quedarse solamente en esta hermosa ciudad o en los recuerdos entrañables, sino que quiere venir a tu casa, vivir tu vida cotidiana: el estudio y los primeros años de trabajo, las amistades y los afectos, los proyectos y los sueños. Cómo le gusta que todo esto se lo llevemos en la oración. Él espera que, entre tantos contactos y chats de cada día, el primer puesto lo ocupe el hilo de oro de la oración. Cuánto desea que su Palabra hable a cada una de tus jornadas, que su Evangelio sea tuyo, y se convierta en tu «navegador» en el camino de la vida.
Jesús, a la vez que te pide entrar en tu casa, como hizo con Zaqueo, te llama por tu nombre. Jesús nos llama a todos por nuestro nombre. Tu nombre es precioso para él. El nombre de Zaqueo evocaba, en la lengua de la época, el recuerdo de Dios. Fiaros del recuerdo de Dios: su memoria no es un «disco duro» que registra y almacena todos nuestros datos, su memoria es un corazón tierno de compasión, que se regocija eliminando definitivamente cualquier vestigio del mal. Procuremos también nosotros ahora imitar la memoria fiel de Dios y custodiar el bien que hemos recibido en estos días. En silencio hagamos memoria de este encuentro, custodiemos el recuerdo de la presencia de Dios y de su Palabra, avivemos en nosotros la voz de Jesús que nos llama por nuestro nombre. Así pues, recemos en silencio, haciendo memoria, dando gracias al Señor que nos ha traído aquí y ha querido encontrarnos.
ÁNGELUS, Domingo 3 de noviembre de 2013
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
La página del Evangelio de san Lucas de este domingo nos presenta a Jesús que, en su camino hacia Jerusalén, entra en la ciudad de Jericó. Es la última etapa de un viaje que resume en sí el sentido de toda la vida de Jesús, dedicada a buscar y salvar a las ovejas perdidas de la casa de Israel. Pero cuanto más se acerca el camino a la meta, tanto más se va formando en torno a Jesús un círculo de hostilidad.
Sin embargo, en Jericó tiene lugar uno de los acontecimientos más gozosos narrados por san Lucas: la conversión de Zaqueo. Este hombre es una oveja perdida, es despreciado y es un "excomulgado", porque es un publicano, es más, es el jefe de los publicanos de la ciudad, amigo de los odiados ocupantes romanos, es un ladrón y un explotador.
Impedido de acercarse a Jesús, probablemente por motivo de su mala fama, y siendo pequeño de estatura, Zaqueo se trepa a un árbol, para poder ver al Maestro que pasa. Este gesto exterior, un poco ridículo, expresa sin embargo el acto interior del hombre que busca pasar sobre la multitud para tener un contacto con Jesús. Zaqueo mismo no conoce el sentido profundo de su gesto, no sabe por qué hace esto, pero lo hace; ni siquiera se atreve a esperar que se supere la distancia que le separa del Señor; se resigna a verlo sólo de paso. Pero Jesús, cuando se acerca a ese árbol, le llama por su nombre: "Zaqueo, date prisa y baja, porque es necesario que hoy me quede en tu casa" (Lc 19, 5). Ese hombre pequeño de estatura, rechazado por todos y distante de Jesús, está como perdido en el anonimato; pero Jesús le llama, y ese nombre "Zaqueo", en la lengua de ese tiempo, tiene un hermoso significado lleno de alusiones: "Zaqueo", en efecto, quiere decir "Dios recuerda".
Y Jesús va a la casa de Zaqueo, suscitando las críticas de toda la gente de Jericó (porque también en ese tiempo se murmuraba mucho), que decía: ¿Cómo? Con todas las buenas personas que hay en la ciudad, ¿va a estar precisamente con ese publicano? Sí, porque él estaba perdido; y Jesús dice: "Hoy ha sido la salvación de esta casa, pues también éste es hijo de Abrahán" (Lc 19, 9). En la casa de Zaqueo, desde ese día, entró la alegría, entró la paz, entró la salvación, entró Jesús.
No existe profesión o condición social, no existe pecado o crimen de algún tipo que pueda borrar de la memoria y del corazón de Dios a uno solo de sus hijos. "Dios recuerda", siempre, no olvida a ninguno de aquellos que ha creado. Él es Padre, siempre en espera vigilante y amorosa de ver renacer en el corazón del hijo el deseo del regreso a casa. Y cuando reconoce ese deseo, incluso simplemente insinuado, y muchas veces casi inconsciente, inmediatamente está a su lado, y con su perdón le hace más suave el camino de la conversión y del regreso. Miremos hoy a Zaqueo en el árbol: su gesto es un gesto ridículo, pero es un gesto de salvación. Y yo te digo a ti: si tienes un peso en tu conciencia, si tienes vergüenza por tantas cosas que has cometido, detente un poco, no te asustes. Piensa que alguien te espera porque nunca dejó de recordarte; y este alguien es tu Padre, es Dios quien te espera. Trépate, como hizo Zaqueo, sube al árbol del deseo de ser perdonado; yo te aseguro que no quedarás decepcionado. Jesús es misericordioso y jamás se cansa de perdonar. Recordadlo bien, así es Jesús.
Hermanos y hermanas, dejémonos también nosotros llamar por el nombre por Jesús. En lo profundo del corazón, escuchemos su voz que nos dice: "Es necesario que hoy me quede en tu casa", es decir, en tu corazón, en tu vida. Y acojámosle con alegría: Él puede cambiarnos, puede convertir nuestro corazón de piedra en corazón de carne, puede liberarnos del egoísmo y hacer de nuestra vida un don de amor. Jesús puede hacerlo; ¡déjate mirar por Jesús!

Papa Benedicto XVI
ÁNGELUS, Domingo 4 de noviembre de 2007
Queridos hermanos y hermanas:
Hoy la liturgia presenta a nuestra meditación el conocido episodio evangélico del encuentro de Jesús con Zaqueo en la ciudad de Jericó. ¿Quién era Zaqueo? Un hombre rico, que ejercía el oficio de "publicano", es decir, de recaudador de impuestos por cuenta de la autoridad romana, y precisamente por eso era considerado un pecador público. Al saber que Jesús pasaría por Jericó, aquel hombre sintió un gran deseo de verlo, pero, como era bajo de estatura, se subió a un árbol. Jesús se detuvo precisamente bajo ese árbol y se dirigió a él llamándolo por su nombre: "Zaqueo, baja en seguida, porque hoy debo alojarme en tu casa" (Lc 19, 5). ¡Qué mensaje en esta sencilla frase!
"Zaqueo": Jesús llama por su nombre a un hombre despreciado por todos. "Hoy": sí, precisamente ahora ha llegado para él el momento de la salvación. "Tengo que alojarme": ¿por qué "debo"? Porque el Padre, rico en misericordia, quiere que Jesús vaya a "buscar y a salvar lo que estaba perdido" (Lc 19, 10). La gracia de aquel encuentro imprevisible fue tal que cambió completamente la vida de Zaqueo: "Mira -le dijo a Jesús-, la mitad de mis bienes se la doy a los pobres; y si de alguno me he aprovechado, le restituiré cuatro veces más" (Lc 19, 8). Una vez más el Evangelio nos dice que el amor, partiendo del corazón de Dios y actuando a través del corazón del hombre, es la fuerza que renueva el mundo.
Esta verdad resplandece de modo singular en el testimonio del santo cuya memoria se celebra hoy: san Carlos Borromeo, arzobispo de Milán. Su figura destaca en el siglo XVI como modelo de pastor ejemplar por su caridad, por su doctrina, por su celo apostólico y, sobre todo, por su oración: "Las almas -decía- se conquistan de rodillas". Consagrado obispo con tan sólo 25 años, puso en práctica las indicaciones del concilio de Trento, que imponía a los pastores residir en sus respectivas diócesis, y se dedicó totalmente a la Iglesia ambrosiana: la visitó en su totalidad tres veces; convocó seis sínodos provinciales y once diocesanos; fundó seminarios para formar una nueva generación de sacerdotes; construyó hospitales y destinó las riquezas de su familia al servicio de los pobres; defendió los derechos de la Iglesia contra los poderosos; renovó la vida religiosa e instituyó una nueva congregación de sacerdotes seculares: los Oblatos. En 1576, cuando en Milán se propagó la peste, visitó, confortó y gastó todos sus bienes por los enfermos. Su lema consistía en una sola palabra: "Humilitas". La humildad lo impulsó, como al Señor Jesús, a renunciar a sí mismo para convertirse en servidor de todos.
Recordando a mi venerado predecesor Juan Pablo II, que llevaba con devoción su nombre -hoy es su onomástico-, encomendamos a la intercesión de san Carlos a todos los obispos del mundo, sobre los cuales invocamos como siempre la protección celestial de María santísima, Madre de la Iglesia.

DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica
Ciclo C. Trigésimo primer domingo del Tiempo Ordinario.
El universo ha sido creado para gloria de Dios
293 Es una verdad fundamental que la Escritura y la Tradición no cesan de enseñar y de celebrar: "El mundo ha sido creado para la gloria de Dios" (Cc. Vaticano I: DS 3025). Dios ha creado todas las cosas, explica S. Buenaventura, "non propter gloriam augendam, sed propter gloriam manifestandam et propter gloriam suam communicandam" ("no para aumentar su gloria, sino para manifestarla y comunicarla") (sent. 2, 1, 2, 2, 1). Porque Dios no tiene otra razón para crear que su amor y su bondad: "Aperta manu clave amoris creaturae prodierunt" ("Abierta su mano con la llave del amor surgieron las criaturas") (S. Tomás de A. sent. 2, prol.) Y el Concilio Vaticano primero explica:
En su bondad y por su fuerza todopoderosa, no para aumentar su bienaventuranza, ni para adquirir su perfección, sino para manifestarla por los bienes que otorga a sus criaturas, el solo verdadero Dios, en su libérrimo designio, en el comienzo del tiempo, creó de la nada a la vez una y otra criatura, la espiritual y la corporal (DS 3002).
294 La gloria de Dios consiste en que se realice esta manifestación y esta comunicación de su bondad para las cuales el mundo ha sido creado. Hacer de nosotros "hijos adoptivos por medio de Jesucristo, según el beneplácito de su voluntad, para alabanza de la gloria de su gracia" (Ef 1, 5-6): "Porque la gloria de Dios es el hombre vivo, y la vida del hombre es la visión de Dios: si ya la revelación de Dios por la creación procuró la vida a todos los seres que viven en la tierra, cuánto más la manifestación del Padre por el Verbo procurará la vida a los que ven a Dios" (S. Ireneo, haer. 4, 20, 7). El fin último de la creación es que Dios, "Creador de todos los seres, se hace por fin `todo en todas las cosas' (1Co 15, 28), procurando al mismo tiempo su gloria y nuestra felicidad" (AG 2).
Dios crea un mundo ordenado y bueno
299 Porque Dios crea con sabiduría, la creación está ordenada: "Tú todo lo dispusiste con medida, número y peso" (Sb 11, 20). Creada en y por el Verbo eterno, "imagen del Dios invisible" (Col 1, 15), la creación está destinada, dirigida al hombre, imagen de Dios (cf. Gn 1, 26), llamado a una relación personal con Dios. Nuestra inteligencia, participando en la luz del Entendimiento divino, puede entender lo que Dios nos dice por su creación (cf. Sal 19, 2-5), ciertamente no sin gran esfuerzo y en un espíritu de humildad y de respeto ante el Creador y su obra (cf. Jb 42, 3). Salida de la bondad divina, la creación participa en esa bondad ("Y vio Dios que era bueno… muy bueno": Gn 1, 4. 10. 12. 18. 21. 31). Porque la creación es querida por Dios como un don dirigido al hombre, como una herencia que le es destinada y confiada. La Iglesia ha debido, en repetidas ocasiones, defender la bondad de la creación, comprendida la del mundo material (cf. DS 286; 455 - 463; 800; 1333; 3002).
341 La belleza del universo: el orden y la armonía del mundo creado derivan de la diversidad de los seres y de las relaciones que entre ellos existen. El hombre las descubre progresivamente como leyes de la naturaleza que causan la admiración de los sabios. La belleza de la creación refleja la Infinita belleza del Creador. Debe inspirar el respeto y la sumisión de la inteligencia del hombre y de su voluntad.
353 Dios quiso la diversidad de sus criaturas y la bondad peculiar de cada una, su interdependencia y su orden. Destinó todas las criaturas materiales al bien del género humano. El hombre, y toda la creación a través de él, está destinado a la gloria de Dios.
La reparación
1459 Muchos pecados causan daño al prójimo. Es preciso hacer lo posible para repararlo (por ejemplo, restituir las cosas robadas, restablecer la reputación del que ha sido calumniado, compensar las heridas). La simple justicia exige esto. Pero además el pecado hiere y debilita al pecador mismo, así como sus relaciones con Dios y con el prójimo. La absolución quita el pecado, pero no remedia todos los desórdenes que el pecado causó (cf Cc. de Trento: DS 1712). Liberado del pecado, el pecador debe todavía recobrar la plena salud espiritual. Por tanto, debe hacer algo más para reparar sus pecados: debe "satisfacer" de manera apropiada o "expiar" sus pecados. Esta satisfacción se llama también "penitencia".
2412 En virtud de la justicia conmutativa, la reparación de la injusticia cometida exige la restitución del bien robado a su propietario:
Jesús bendijo a Zaqueo por su resolución: "si en algo defraudé a alguien, le devolveré el cuádruplo" (Lc 19, 8). Los que, de manera directa o indirecta, se han apoderado de un bien ajeno, están obligados a restituirlo o a devolver el equivalente en naturaleza o en especie si la cosa ha desaparecido, así como los frutos y beneficios que su propietario hubiera obtenido legítimamente. Están igualmente obligados a restituir, en proporción a su responsabilidad y al beneficio obtenido, todos los que han participado de alguna manera en el robo, o se han aprovechado de él a sabiendas; por ejemplo, quienes lo hayan ordenado o ayudado o encubierto.
2487 Toda falta cometida contra la justicia y la verdad entraña el deber de reparación aunque su autor haya sido perdonado. Cuando es imposible reparar un daño públicamente, es preciso hacerlo en secreto; si el que ha sufrido un perjuicio no pude ser indemnizado directamente, es preciso darle satisfacción moralmente, en nombre de la caridad. Este deber de reparación concierne también a las faltas cometidas contra la reputación del prójimo. Esta reparación, moral y a veces material, debe apreciarse según la medida del daño causado. Obliga en conciencia.

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Año C
Oremos a Dios Padre. Él es bueno con todos.
- Por la Iglesia, para que haga suyos los afanes, preocupaciones, éxi- tos y fracasos de todos los hombres, alentando con simpatía todo lo bueno, bello y justo que se promueva en el mundo entero. Roguemos al Señor.
- Por los dirigentes políticos, para que cumplan sus promesas en orden al bien común de los ciudadanos. Roguemos al Señor.
- Por los marginados de la sociedad, por cuantos sufren la pérdida de seres queridos, para que no pierdan la esperanza de vivir. Roguemos al Señor
- Por nosotros, aquí reunidos, para que aprendamos de Cristo a respetar, amar y acoger a todos, sin prejuicios ni discriminaciones, reconociendo lo bueno que hay en el otro. Roguemos al Señor.
Haz, Señor, que seamos dignos de nuestra vocación de cristianos
y cumple nuestros buenos deseos. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Que este sacrificio, Señor, sea para ti una ofrenda pura y, para nosotros, una efusión santa de tu misericordia. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Fiat hoc sacrifícium, Dómine, oblátio tibi munda, et nobis misericórdiae tuae sancta largítio. Per Christum.

PREFACIO III DOMINICAL DEL TIEMPO ORDINARIO
EL HOMBRE SALVADO POR UN HOMBRE
En verdad es justo y necesario, es nuestro deber y salvación darte gracias siempre y en todo lugar, Señor, Padre santo, Dios todopoderoso y eterno.
Porque reconocemos como obra de tu poder admirable no sólo socorrer a los mortales con tu divinidad, sino haber previsto el remedio en nuestra misma condición humana, y de lo que era nuestra ruina haber hecho nuestra salvación, por Cristo, Señor nuestro.
Por él, los coros de los ángeles adoran tu gloria eternamente, gozosos en tu presencia. Permítenos asociarnos a sus voces cantando con ellos tu alabanza:

Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus:
Ad cuius imménsam glóriam pertinére cognóscimus ut mortálibus tua deitáte succúrreres; sed et nobis providéres de ipsa mortalitáte nostra remédium, et pérditos quosque unde períerant, inde salváres, per Christum Dóminum nostrum.
Per quem maiestátem tuam adórat exércitus Angelórum, ante conspéctum tuum in aeternitáte laetántium. Cum quibus et nostras voces ut admítti iúbeas, deprecámur, sócia exsultatióne dicéntes:

Santo, Santo, Santo…

PLEGARIA EUCARÍSTICA III

Antífona de la comunión Cf. Sal 15, 11

Me enseñarás el sendero de la vida, me saciarás de gozo en tu presencia, Señor.
Notas mihi fecísti vias vitae, adimplébis me laetítia cum vultu tuo, Dómine.
O bien: Cf. Jn 6, 58
El Padre que vive me ha enviado, y yo vivo por el Padre; del mismo modo, el que me come vivirá por mí, dice el Señor.
Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem, et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me, dicit Dóminus.

Oración después de la comunión
Te pedimos, Señor, que aumente en nosotros la acción de tu poder, para que, alimentados con estos sacramentos del cielo, nos preparemos, por tu gracia, a recibir tus promesas. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Augeátur in nobis, quaesumus, Dómine, tuae virtútis operátio, ut, refécti caeléstibus sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda tuo múnere praeparémur. Per Christum.

MARTIROLOGIO

Elogios del 31 de octubre
1. En Alejandría de Egipto, san Epimáco de Pelusio, mártir, del cual cuenta la tradición que en tiempo de persecución bajo el emperador Decio, al ver como el prefecto obligaba a los cristianos a ofrecer sacrificios a los ídolos, intentó destruir el ara, a causa de lo cual, fue inmediatamente detenido, torturado y decapitado. (c. 250)
2. Cerca de Vermand, en la Galia Bélgica, actual Francia, san Quintín, mártir, del orden senatorial, que padeció por Cristo el tiempo del emperador Maximiano. (s. III)
3*. En Fosses, en el territorio de Brabante, en Austrasia, Bélgica en la actualidad, san Foilán, presbítero y abad, el cual, nacido en Hibernia y hermano y compañero de san Furseo, fue siempre fiel a la disciplina monástica de su patria, fundó monasterios dobles, de monjes y monjas en Fosse y en Nivelles, y en un viaje entre estos dos cayó en manos de malhechores, que lo asesinaron. (c. 655)
4. En Milán, en la región de Lombardía, en Italia, san Antonino, obispo, que trabajó esforzadamente para acabar con la herejía arriana de los lombardos. (c. 661)
5. En Ratisbona, en el territorio de Baviera, actual Alemania, san Wolfgango, obispo, que, después de ser maestro de escuela y haber profesado como monje, fue elevado a la sede episcopal, desde donde instauró la disciplina del clero, y mientras visitaba la región de Pupping descansó en el Señor. (994)
6*. En Cahors, lugar de Aquitania, Francia actualmente, beato Cristóbal de Romagna, presbítero de la Orden de los Hermanos Menores, que, enviado por san Francisco, después de muchos trabajos en favor de las almas murió ya centenario. (1272)
7*. En Rieti, en la Sabina, actual región italiana del Lacio, beato Tomás de Florencia Bellaci, religioso de la Orden de los Hermanos Menores, que, enviado a Tierra Santa y Etiopía, a causa de Cristo sufrió cautividad y pruebas de toda clase por parte de los infieles, y, habiendo vuelto a su patria, casi centenario descansó en paz. (1447)
8*. En Youghall, cerca de Cork, en Irlanda, beato Domingo Collins, religioso de la Orden de la Compañía de Jesús y mártir, el cual, después de estar encarcelado largo tiempo padeciendo interrogatorios y torturas, confesó constantemente su fe católica, y consumó su martirio al ser ahorcado. (1602)
9. En la ciudad de Palma, en la isla de Mallorca, en España, san Alonso Rodríguez, que al perder a su esposa e hijos entró como religioso en la Orden de la Compañía de Jesús y estuvo como portero del colegio de aquella ciudad durante largos años, mostrando una gran humildad, obediencia y constancia en una vida penitente. (1617)
10*. En la localidad de Piotrkow Kujawski, en Polonia, beato León Nowakowski, presbítero y mártir, que, durante la ocupación militar de Polonia, por su fe fue fusilado a manos de un régimen contrario a Dios. (1939)
- Santa María Purísima de la Cruz Salvat y Romero (1926- Sevilla, 1998). Fue Superiora general de la congregación de las hermanas de la Compañía de la Cruz.
- Beata Irene (Aurelia Mercedes) Stefani (1891- Ghekondi, Kenya 1930). Italiana, monja del Instituto de las Hermanas Misioneras de la Consolata. Murió de peste, cuidando a los enfermos.

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