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domingo, 28 de agosto de 2022

Domingo 2 octubre 2022, XXVII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

MESSA PER GLI ALLIEVI DEL PONTIFICIO SEMINARIO ROMANO MAGGIORE
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cappella Paolina - Martedì, 8 novembre 1983

Cari Superiori e cari alunni del Seminario romano Maggiore,

1. Sono lieto di questo incontro attorno all’altare del Signore, all’inizio per voi di un nuovo anno scolastico. Vi saluto cordialmente tutti in Cristo Gesù: sia i seminaristi romani, sia quelli provenienti da varie parti d’Italia. Uno speciale pensiero rivolgo al Cardinale Poletti, a Monsignor Rettore e a tutti gli altri Superiori che vi hanno accompagnato e che concelebrano con me questa Eucaristia, dalla quale volete attingere luce e forza per approfondire i motivi ideali della vostra identità e alimentare così nel vostro animo l’entusiasmo di una testimonianza sempre più intensa e l’impegno di prepararvi al sacerdozio con responsabilità e generosità. Siete infatti chiamati a servire il mistero salvifico della Redenzione e a donare la grazia divina agli uomini del nostro tempo.

2. Nel Vangelo di Marco si racconta che Cristo ad un giovane che gli chiedeva: “Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna?”, rispose: “Osserva i comandamenti”. Avendo ricevuto da lui risposta affermativa, Gesù “fissatolo, lo amò” e gli rivolse poi l’invito a seguirlo (cf. Mc 10, 17-22).

Anche voi, miei cari giovani, siete stati guardati con amore da Cristo, perché non avete soffocato nel vostro cuore il desiderio di perfezione, di pienezza, di verità che lo Spirito Santo vi ha suscitato. Gesù vi ha raggiunto con il dono di una speciale chiamata, a cui avete corrisposto; e la misteriosa azione del suo Spirito nel cuore di ciascuno di voi è continua, profonda, efficace (anche quando non appare, anche quando tutto sembrerebbe smentirla) per coinvolgervi in un compito, per indicarvi una strada. Attraverso la vocazione Gesù vi ha rivolto la precisa, individuale proposta di fare della vostra vita un dono a lui e al mondo intero: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi!” (Mc 10, 21).

Per poter dire il vostro “sì” generoso ad ogni svolta della vita e, in particolar modo, in questo periodo di formazione in seminario, dovete interrogarvi sul compito che Cristo vi affida. A volte le apparenze ingannano. Uno crede di vedere chiaro circa la propria strada, di aver risolto tutto, e invece il Signore ha forse ancora da manifestargli qualcosa. “Non alla pietra tocca fissare il suo posto, ma al Maestro dell’opera che l’ha scelta” (Paul Claudel, L’annuncio a Maria, p. 24). Il “posto” è quello del sacrificio generoso di sé, dell’assunzione totale del dramma dell’uomo. Sullo sfondo di ogni vocazione sacerdotale si staglia dunque il segno della croce. L’impegno verso cui Cristo vi orienta è l’amore. Ma nell’attuale condizione dell’uomo la croce è la prova dell’amore.

3. Nel brano evangelico che è stato letto, abbiamo sentito parole solenni, che devono costituire tutto un programma per la vostra vita: “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore . . . Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 10-13).

L’accogliere, l’accettare l’altro, il condividerne la sorte fino magari a morirne, fanno traboccare su di lui la gioia pura che viene dall’aver scoperto il significato della vita; in particolare lo liberano dall’opaca negatività del male, lo sottraggono all’assurdo di un dolore senza senso: lo redimono. Voi siete chiamati ad essere gli annunciatori e i ministri di questa Redenzione. Essa rimane aperta ad ogni creatura umana che fa l’esperienza del male nelle varie sue forme. Per mezzo della croce Cristo le offre la possibilità di trasformare ciò che era segno e conseguenza del peccato in strumento di salvezza e di santificazione.

Ecco il compito a cui è chiamato chi risponde alla vocazione sacerdotale: testimoniare e rendere in qualche modo sperimentabile la presenza salvatrice di Cristo, rendere evidente il suo amore per l’uomo. E questo è il mistero della Chiesa, corpo mistico di Cristo in continuo cammino sulle strade del mondo per la salvezza di tutti. Lo Spirito Santo è l’artefice di questa coralità misteriosa e operante, che voi volete servire con dedizione generosa nel ministero sacerdotale.

4. Preparatevi a questo servizio con preghiera assidua, con studio intenso, con obbedienza sincera, affinché possiate diventare sacerdoti santi che testimoniano nel mondo la carità di Dio, rivelatosi in Gesù Cristo Nostro Signore. La fecondità del vostro ministero pastorale di domani dipenderà in gran parte dall’intensità dell’impegno in questi anni tanto preziosi per la vostra formazione spirituale e culturale. Il mondo di oggi ha bisogno di sacerdoti che siano all’altezza del compito sublime a cui sono chiamati.

La Madonna, la Vergine santissima della Fiducia, che ha portato il Figlio di Dio sotto il suo cuore, vi aiuti a custodirlo nel vostro cuore. Sono sicuro che non mancherete di invocarla ogni giorno mediante la pia pratica del santo Rosario e la giaculatoria: “Mater mea, fiducia mea”.

Proseguendo ora la celebrazione della Santa Messa, con cui viene rinnovato il sacrificio dell’amore redentore di Cristo e viene portata a pienezza l’unità ecclesiale, chiediamo al Signore che la proposta vocazionale sia accolta da sempre più numerosi giovani, affinché non scarseggino gli operai disposti a lavorare senza riserve nella vigna di Dio.

CALENDARIO

2 + XXVII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa
del Domingo (verde).
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical.
LECC.: vol. I (C).
- Hab 1, 2-3; 2, 2-4.
El justo por su fe vivirá.
- Sal 94. R. Ojalá escuchéis hoy la voz del Señor: «No endurezcáis vuestro corazón».
- 2 Tim 1, 6-8. 13-14. No te avergüences del testimonio de nuestro Señor.
- Lc 17, 5-10. ¡Si tuvierais fe!

La fe es tema fundamental en este domingo. En la 1 lect. el profeta Habacuc se queja de las dificultades del mundo que le tocó vivir, que ponían a prueba su fe en Dios. Y el Señor le recuerda que el justo vivirá por su fe. No nos podemos acobardar ante las dificultades de nuestra época que dificultan la evangelización. Por el contrario, no nos avergoncemos del testimonio de nuestro Señor (cf. 2 lect.). Tenemos que pedirle al Señor que aumente nuestra fe, puesto que es un don de Dios (cf. Ev.). Una oración que en nosotros debe ser sencilla y frecuente. Además, tenemos que poner de nuestra parte para alimentarla –especialmente el domingo– en la escucha atenta de la Palabra de Dios. «Ojalá escuchéis hoy la voz del Señor: No endurezcáis vuestro corazón» (sal. resp.).

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial.

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II.

Martirologio: elogs. del 3 de octubre, pág. 591.
CALENDARIOS: Arzobispado Castrense-Cuerpo Nacional de Policía y Prelatura de la Santa Cruz y Opus Dei: Santos Ángeles Custodios (S).
Lleida-ciudad: Nuestra Señora de la Academia (S).
Osma-Soria, en la ciudad de Soria: San Saturio, penitente (S).

TEXTOS MISA

XXVII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO


Antífona de entrada Cf. Est 4, 17
A tu poder, Señor, está sometido el mundo entero; nadie puede oponerse a ti. Tú creaste el cielo y la tierra y las maravillas todas que existen bajo el cielo. Tú eres Señor del universo.
In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est qui possit resístere voluntáti tuae. Tu enim fecísti ómnia, caelum et terram, et univérsa quae caeli ámbitu continéntur; Dóminus universórum tu es.

Monición de entrada
Año C
Hemos sido convocados para alabar a Dios y para acoger la salvación que Dios nos regala por la participación en la eucaristía. Este es el gran sacramento de la fe que siempre pide de nosotros el crecimiento en la fe para descubrir a Dios en la celebración y para que esta fe sea la que mueva nuestras buenas obras y nuestra vida cotidiana. Con nosotros está el Señor, abramos nuestro corazón para encontrarnos con él.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula pueden usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Ayúdanos a superar nuestra incredulidad: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Queremos creer en ti: Cristo, ten piedad.
R. Cristo, ten piedad.
- Auméntanos la fe: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición y de la aspersión del agua bendita.

Se dice Gloria.

Oración colecta
Dios todopoderoso y eterno, que desbordas con la abundancia de tu amor los méritos y los deseos de los que te suplican, derrama sobre nosotros tu misericordia, para que perdones lo que pesa en la conciencia y nos concedas aun aquello que la oración no menciona. Por nuestro Señor Jesucristo.
Omnípotens sempitérne Deus, qui abundántia pietátis tuae et mérita súpplicum excédis et vota, effúnde super nos misericórdiam tuam, ut dimíttas quae consciéntia métuit, et adícias quod orátio non praesúmit. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XXVII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

PRIMERA LECTURA Hab 1, 2-3; 2, 2-4
El justo por su fe vivirá

Lectura de la profecía de Habacuc.

Hasta cuándo, Señor,
pediré auxilio sin que me oigas,
te gritaré: Violencia!,
sin que me salves?
¿Por qué me haces ver crímenes
y contemplar opresiones?
¿Por qué pones ante mí
destrucción y violencia,
y surgen disputas
y se alzan contiendas?
Me respondió el Señor:
Escribe la visión y grábala
en tablillas, que se lea de corrido;
pues la visión tiene un plazo,
pero llegará a su término sin defraudar.
Si se atrasa, espera en ella,
pues llegará y no tardará.
Mira, el altanero no triunfará;
pero el justo por su fe vivirá.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 94, 1-2. 6-7c. 7d-9 (R.: cf. 7d-8a)
R. Ojalá escuchéis hoy la voz del Señor: «No endurezcáis vuestro corazón».
Utinam hódie vocem Dómini audiátis: «Nolíte obduráre corda vestra».

V. Venid, aclamemos al Señor,
demos vítores a la Roca que nos salva;
entremos a su presencia dándole gracias,
aclamándolo con cantos.
R. Ojalá escuchéis hoy la voz del Señor: «No endurezcáis vuestro corazón».
Utinam hódie vocem Dómini audiátis: «Nolíte obduráre corda vestra».

V. Entrad, postrémonos por tierra,
bendiciendo al Señor, creador nuestro.
Porque él es nuestro Dios,
y nosotros su pueblo,
el rebaño que él guía.
R. Ojalá escuchéis hoy la voz del Señor: «No endurezcáis vuestro corazón».
Utinam hódie vocem Dómini audiátis: «Nolíte obduráre corda vestra».

V. Ojalá escuchéis hoy su voz:
«No endurezcáis el corazón como en Meribá,
como el día de Masa en el desierto;
cuando vuestros padres me pusieron a prueba y me tentaron,
aunque habían visto mis obras».
R. Ojalá escuchéis hoy la voz del Señor: «No endurezcáis vuestro corazón».
Utinam hódie vocem Dómini audiátis: «Nolíte obduráre corda vestra».

SEGUNDA LECTURA 2 Tim 1, 6-8. 13-14
No te avergüences del testimonio de nuestro Señor
Lectura de la segunda carta del apóstol san Pablo a Timoteo.

Querido hermano:
Te recuerdo que reavives el don de Dios que hay en ti por la imposición de mis manos, pues Dios no nos ha dado un espíritu de cobardía, sino de fortaleza, de amor y de templanza. Así pues, no te avergüences del testimonio de nuestro Señor ni de mí, su prisionero; antes bien, toma parte en los padecimientos por el Evangelio, según la fuerza de Dios.
Ten por modelo las palabras sanas que has oído de mí en la fe y el amor que tienen su fundamento en Cristo Jesús. Vela por el precioso depósito con la ayuda del Espíritu Santo que habita en nosotros.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya 1 Pe 1, 25
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. La palabra del Señor permanece para siempre; esta es la palabra del Evangelio que os ha sido anunciada. R.
Verbum Dómini manet in ætérnum; hoc est autem verbum quod evangelizátum est in vos.

EVANGELIO Lc 17, 5-10
¡Si tuvierais fe ... !
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, los apóstoles le dijeron al Señor:
«Auméntanos la fe».
El Señor dijo:
«Si tuvierais fe como un granito de mostaza, diríais a esa morera:
“Arráncate de raíz y plántate en el mar», y os obedecería.
¿Quién de vosotros, si tiene un criado labrando o pastoreando, le dice cuando vuelve del campo: “Enseguida, ven y ponte a la mesa”?
¿No le diréis más bien: “Prepárame de cenar, cíñete y sírveme mientras como y bebo, y después comerás y beberás tú”?
¿Acaso tenéis que estar agradecidos al criado porque ha hecho lo mandado? Lo mismo vosotros: cuando hayáis hecho todo lo que se os ha mandado, decid:
“Somos siervos inútiles, hemos hecho lo que teníamos que hacer”».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Francisco
ÁNGELUS. Domingo, 6 de octubre de 2019.
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
El Evangelio de hoy (cf. Lc 17, 5-10) presenta el tema de la fe, introducido con la demanda de los discípulos: «Auméntanos la fe» (Lc 17, 5). Una hermosa oración, que deberíamos rezar tanto durante el día: «¡Señor, auméntame la fe!». Jesús responde con dos imágenes: el grano de mostaza y el siervo disponible. «Si tuvierais fe como un grano de mostaza, habríais dicho a este sicómoro: "Arráncate y plántate en el mar", y os habría obedecido» (Lc 17, 6). La morera es un árbol fuerte, bien arraigado en la tierra y resistente a los vientos. Jesús, por tanto, quiere hacer comprender que la fe, aunque sea pequeña, puede tener la fuerza para arrancar incluso una morera; y luego trasplantarla al mar, lo cual es algo aún más improbable: pero nada es imposible para los que tienen fe, porque no se apoyan en sus propias fuerzas, sino en Dios, que lo puede todo.
La fe comparable al grano de mostaza es una fe que no es orgullosa ni segura de sí misma, ¡no pretende ser un gran creyente haciendo el ridículo en algunas ocasiones! Es una fe que en su humildad siente una gran necesidad de Dios y, en la pequeñez, se abandona con plena confianza a Él. Es la fe la que nos da la capacidad de mirar con esperanza los altibajos de la vida, la que nos ayuda a aceptar incluso las derrotas y los sufrimientos, sabiendo que el mal no tiene nunca, no tendrá nunca la última palabra.
¿Cómo podemos entender si realmente tenemos fe, es decir, si nuestra fe, aunque minúscula, es genuina, pura y directa? Jesús nos lo explica indicando cuál es la medida de la fe: el servicio. Y lo hace con una parábola que a primera vista es un poco desconcertante, porque presenta la figura de un amo dominante e indiferente. Pero ese mismo comportamiento del amo pone de relieve el verdadero centro de la parábola, es decir, la actitud de disponibilidad del siervo. Jesús quiere decir que así es un hombre de fe en su relación con Dios: se rinde completamente a su voluntad, sin cálculos ni pretensiones.
Esta actitud hacia Dios se refleja también en el modo en que nos comportamos en comunidad: se refleja en la alegría de estar al servicio de los demás, encontrando ya en esto nuestra propia recompensa y no en los premios y las ganancias que de ello se pueden derivar. Esto es lo que Jesús enseña al final de esta lectura: «Cuando hayáis hecho todo lo que os fue mandado, decid: "Somos siervos inútiles; hemos hecho lo que debíamos hacer"» (Lc 17, 10).
Siervos inútiles; es decir, sin reclamar agradecimientos, sin pretensiones. "Somos siervos inútiles" es una expresión de humildad y disponibilidad que hace mucho bien a la Iglesia y recuerda la actitud adecuada para trabajar en ella: el servicio humilde, cuyo ejemplo nos dio Jesús, lavando los pies a los discípulos (cf. Jn 13, 3-17).
Que la Virgen María, mujer de fe, nos ayude a andar por esta senda. Nos dirigimos a ella en la vigilia de la fiesta de Nuestra Señora del Rosario, en comunión con los fieles reunidos en Pompeya para la tradicional Súplica.
Homilía en santa Marta, Martes 8 noviembre de 2016
Somos siervos inútiles
Somos siervos inútiles (Lc 17, 7-10). ¿Qué significa esta expresión? En la oración colecta le hemos pedido tres gracias: Aleja, Señor, todo obstáculo en nuestro camino hacia ti, para que, con serenidad de cuerpo y espíritu, podamos dedicarnos libremente a tu servicio. ¿Y cuáles son esos obstáculos que nos impiden servir al Señor con libertad? ¡Hay tantos! Uno es las ganas de poder. Cuántas veces hemos visto, tal vez en casa: ¡aquí mando yo! Y cuántas veces, sin decirlo, hemos hecho sentir a los demás que aquí mando yo, ¿verdad? ¡Las ganas de poder! Pero Jesús nos enseña que el que manda sea como el que sirve. O, si uno quiere ser el primero, que sea el servidor de todos. Jesús da la vuelta a los valores de la mundanidad, del mundo. Y ese afán de poder no es el camino para ser un siervo del Señor: es más, es un obstáculo, uno de esos obstáculos que hemos pedido al Señor que aleje de nosotros.
El otro obstáculo, que sucede también en la vida de la Iglesia, es la deslealtad. Esto pasa cuando alguno quiere servir al Señor, pero también sirve otras cosas que no son el Señor. El Señor nos ha dicho que ningún siervo puede tener dos señores. O sirve a Dios o sirve al dinero. Jesús nos lo dijo. Y esto es un obstáculo: la deslealtad. Que no es lo mismo que ser pecador. Todos somos pecadores, y nos arrepentimos de eso. Pero ser desleales es hacer el doble juego. Jugar a derecha e izquierda, jugar a Dios y jugar también al mundo. Y eso es un obstáculo. El que tiene ansias de poder y el que es desleal, difícilmente puede servir, llegar a ser siervo libre del Señor.
Esos obstáculos quitan la paz y te llevan a esa desazón del corazón de no estar en paz, siempre ansioso. Y nos lleva a vivir en la tensión de la vanidad mundana, vivir para aparentar. Cuánta gente vive solo para la galería, para aparentar, para que digan: ¡Qué bueno que es!, por la fama. ¡Fama mundana! Así no se puede servir al Señor. Por eso, pidamos al Señor que nos quite los obstáculos para que con serenidad de cuerpo y espíritu podamos dedicarnos libremente a tu servicio. El servicio de Dios es libre: nosotros somos hijos, no esclavos. Y servir a Dios en paz, con serenidad, cuando Él mismo ha apartado los obstáculos que quitan la paz y la serenidad, es servirlo con libertad. Y cuando servimos al Señor con libertad, sentimos esa paz más profunda todavía de la voz del Señor: Ven, siervo bueno y fiel. Y todos queremos servir al Señor con bondad y fidelidad, pero necesitamos su gracia: solos no podemos. Por eso, pidamos siempre esa gracia, que sea Él quien quite los obstáculos, que sea Él quien nos dé la serenidad, la paz del corazón para servirle libremente, no como esclavos, sino como hijos.
La libertad en el servicio. Aunque nuestro servicio sea libre, debemos repetir que somos siervos inútiles, conscientes de que solos no podemos hacer nada. Solo tenemos que pedir y dejar sitio para que Él haga en nosotros y nos transforme en siervos libres, en hijos, no en esclavos. Que el Señor nos ayude a abrir el corazón y a dejar trabajar al Espíritu, para que quite de nosotros esos obstáculos, sobre todo las ganas de poder, que hacen tanto daño, y la deslealtad, la doble cara de querer servir a Dios y al mundo. Y así, que nos dé esa serenidad, esa paz para poderle servir como hijo libre que al final, con tanto amor, le dice: Padre, gracias, pero Tú lo sabes: soy un siervo inútil.
Homilía. Iglesia de la Inmaculada. Domingo 2 de octubre de 2016.
Viaje apostólico a Georgia y Azerbaiyán (30.IX-2.X.16)
La palabra de Dios nos presenta hoy dos aspectos esenciales de la vida cristiana: la fe y el servicio. A propósito de la fe, le hacen al Señor dos peticiones concretas.
La primera es del profeta Habacuc, que suplica a Dios para que intervenga y restablezca la justicia y la paz, que los hombres han destruido con la violencia, las disputas y las contiendas: «¿Hasta cuándo, Señor –dice–, pediré auxilio sin que tú me escuches?» (Ha 1, 2). Dios, en su respuesta, no interviene directamente, no resuelve la situación de modo brusco, no se hace presente con la fuerza. Al contrario, invita a esperar con paciencia, sin perder nunca la esperanza; sobre todo, subraya la importancia de la fe. Porque el hombre vivirá por su fe (cf. Ha 2, 4). Así actúa Dios también con nosotros: no favorece nuestros deseos de cambiar el mundo y a los demás de manera inmediata y continuamente, sino que busca ante todo curar el corazón, mi corazón, tu corazón, el corazón de cada uno; Dios cambia el mundo cambiando nuestros corazones, y esto no puede hacerlo sin nosotros. El Señor quiere que le abramos la puerta del corazón para poder entrar en nuestra vida. Esta apertura a él, esta confianza en él es precisamente lo que ha vencido al mundo: nuestra fe (cf. 1Jn 5, 4). Porque cuando Dios encuentra un corazón abierto y confiado, allí puede hacer sus maravillas.
Pero tener fe, una fe viva, no es fácil, y de ahí la segunda petición, esa que los Apóstoles dirigen al Señor en el Evangelio: «Auméntanos la fe» (Lc 17, 6). Es una hermosa súplica, una oración que también nosotros podríamos dirigir a Dios cada día. Pero la respuesta divina es sorprendente, y también en este caso da la vuelta a la petición: «Si tuvierais fe…». Es él quien nos pide a nosotros que tengamos fe. Porque la fe, que es un don de Dios y hay que pedirla siempre, también requiere que nosotros la cultivemos. No es una fuerza mágica que baja del cielo, no es una «dote» que se recibe de una vez para siempre, ni tampoco un superpoder que sirve para resolver los problemas de la vida. Porque una fe concebida para satisfacer nuestras necesidades sería una fe egoísta, totalmente centrada en nosotros mismos. No hay que confundir la fe con el estar bien o sentirse bien, con el ser consolados para que tengamos un poco de paz en el corazón. La fe es un hilo de oro que nos une al Señor, la alegría pura de estar con él, de estar unidos a él; es un don que vale la vida entera, pero que fructifica si nosotros ponemos nuestra parte.
Y, ¿cuál es nuestra parte? Jesús nos hace comprender que es el servicio. En el Evangelio, en efecto, el Señor pone las palabras sobre el servicio después de las referidas al poder de la fe. Fe y servicio no se pueden separar, es más, están estrechamente unidas, enlazadas entre ellas. Para explicarme, quisiera usar una imagen que os es familiar, la de una bonita alfombra: vuestras alfombras son verdaderas obras de arte y provienen de una antiquísima tradición. También la vida cristiana de cada uno viene de lejos, y es un don que hemos recibido en la Iglesia y que proviene del corazón de Dios, nuestro Padre, que desea hacer de cada uno de nosotros una obra maestra de la creación y de la historia. Cada alfombra, lo sabéis bien, se va tejiendo según la trama y la urdimbre; sólo gracias a esta estructura el conjunto resulta bien compuesto y armonioso. Así sucede en la vida cristiana: hay que tejerla cada día pacientemente, entrelazando una trama y una urdimbre bien definidas: la trama de la fe y la urdimbre del servicio. Cuando a la fe se enlaza el servicio, el corazón se mantiene abierto y joven, y se ensancha para hacer el bien. Entonces la fe, como dice Jesús en el Evangelio, se hace fuerte y realiza maravillas. Si avanza por este camino, entonces madura y se fortalece, a condición de que permanezca siempre unida al servicio.
Pero, ¿qué es el servicio? Es posible pensar que consista sólo en ser fieles a nuestros deberes o en hacer alguna obra buena. Pero para Jesús es mucho más. En el Evangelio de hoy, él nos pide, incluso con palabras muy fuertes, radicales, una disponibilidad total, una vida completamente entregada, sin cálculos y sin ganancias. ¿Por qué Jesús es tan exigente? Porque él nos ha amado de ese modo, haciéndose nuestro siervo «hasta el extremo» (Jn 13, 1), viniendo «para servir y dar su vida» (Mc 10, 45). Y esto sucede aún hoy cada vez que celebramos la Eucaristía: el Señor se presenta entre nosotros y, por más que nosotros nos propongamos servirlo y amarlo, es siempre él quien nos precede, sirviéndonos y amándonos más de cuanto podamos imaginar y merecer. Nos da su misma vida. Y nos invita a imitarlo, diciéndonos: «El que quiera servirme que me siga» (Jn 12, 26).
Por tanto, no estamos llamados a servir sólo para tener una recompensa, sino para imitar a Dios, que se hizo siervo por amor nuestro. Y no estamos llamados a servir de vez en cuando, sino a vivir sirviendo. El servicio es un estilo de vida, más aún, resume en sí todo el estilo de vida cristiana: servir a Dios en la adoración y la oración; estar abiertos y disponibles; amar concretamente al prójimo; trabajar con entusiasmo por el bien común.
También los creyentes sufren tentaciones que alejan del estilo de servicio y terminan por hacer la vida inservible. Donde no hay servicio, la vida es inservible. Aquí podemos destacar dos. Una es dejar que el corazón se vuelva tibio. Un corazón tibio se encierra en una vida perezosa y sofoca el fuego del amor. El que es tibio vive para satisfacer sus comodidades, que nunca son suficientes, y de ese modo nunca está contento; poco a poco termina por conformarse con una vida mediocre. El tibio reserva a Dios y a los demás algunos «porcentajes» de su tiempo y de su corazón, sin exagerar nunca, sino más bien buscando siempre recortar. Así su vida pierde sabor: es como un té que era muy bueno, pero que al enfriarse ya no se puede beber. Estoy convencido de que vosotros, viendo los ejemplos de quienes os han precedido en la fe, no dejaréis que vuestro corazón se vuelva tibio. Toda la Iglesia, que tiene una especial simpatía por vosotros, os mira y os anima: sois un pequeño rebaño pero de gran valor a los ojos de Dios.
Hay una segunda tentación en la que se puede caer, no por ser pasivos, sino por ser «demasiado activos»: es la de pensar como dueños, de trabajar sólo para ganar prestigio y llegar a ser alguien. Entonces, el servicio se convierte en un medio y no en un fin, porque el fin es ahora el prestigio, después vendrá el poder, el querer ser grandes. «Entre vosotros –nos recuerda Jesús a todos– no será así: el que quiera ser grande entre vosotros que sea vuestro servidor» (Mt 20, 26). Así se edifica y se embellece la Iglesia. Retomo la imagen de la alfombra, aplicándola a vuestra hermosa comunidad: cada uno de vosotros es como un espléndido hilo de seda, pero sólo si los distintos hilos están bien entrelazados crean una bella composición; solos, no sirven. Permaneced siempre unidos, viviendo humildemente en caridad y alegría; el Señor, que crea la armonía en la diferencia, os custodiará.
Que nos ayude la intercesión de la Virgen Inmaculada y de los santos, en particular santa Teresa de Calcuta, los frutos de cuya fe y servicio están entre vosotros. Acojamos algunas de sus espléndidas palabras, que resumen el mensaje de hoy: «El fruto de la fe es el amor; el fruto del amor es el servicio; y el fruto del servicio es la paz» (Camino de sencillez, Introducción).
ÁNGELUS, Domingo, 6 de octubre de 2013
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
Ante todo quiero dar gracias a Dios por la jornada que viví anteayer en Asís. Pensad que era la primera vez que visitaba Asís y ha sido un gran don realizar esta peregrinación precisamente en la fiesta de san Francisco. Agradezco al pueblo de Asís la cálida acogida: ¡muchas gracias!
Hoy, el pasaje del Evangelio comienza así: "Los apóstoles le dijeron al Señor: "Auméntanos la fe"" (Lc 17, 5). Me parece que todos nosotros podemos hacer nuestra esta invocación. También nosotros, como los Apóstoles, digamos al Señor Jesús: "Auméntanos la fe". Sí, Señor, nuestra fe es pequeña, nuestra fe es débil, frágil, pero te la ofrecemos así como es, para que Tú la hagas crecer. ¿Os parece bien repetir todos juntos esto: "¡Señor, auméntanos la fe!"? ¿Lo hacemos? Todos: Señor, auméntanos la fe. Señor, auméntanos la fe. Señor, auméntanos la fe. ¡Que la haga crecer!
Y, ¿qué nos responde el Señor? Responde: "Si tuvierais fe como un granito de mostaza, diríais a esa morera: "Arráncate de raíz y plántate en el mar", y os obedecería" (v. 6). La semilla de la mostaza es pequeñísima, pero Jesús dice que basta tener una fe así, pequeña, pero auténtica, sincera, para hacer cosas humanamente imposibles, impensables. ¡Y es verdad! Todos conocemos a personas sencillas, humildes, pero con una fe muy firme, que de verdad mueven montañas. Pensemos, por ejemplo, en algunas mamás y papás que afrontan situaciones muy difíciles; o en algunos enfermos, incluso gravísimos, que transmiten serenidad a quien va a visitarles. Estas personas, precisamente por su fe, no presumen de lo que hacen, es más, como pide Jesús en el Evangelio, dicen: "Somos siervos inútiles, hemos hecho lo que teníamos que hacer" (Lc 17, 10). Cuánta gente entre nosotros tiene esta fe fuerte, humilde, que hace tanto bien.
En este mes de octubre, dedicado en especial a las misiones, pensemos en los numerosos misioneros, hombres y mujeres, que para llevar el Evangelio han superado todo tipo de obstáculos, han entregado verdaderamente la vida; como dice san Pablo a Timoteo: "No te avergüences del testimonio de nuestro Señor ni de mí, su prisionero; antes bien, toma parte en los padecimientos por el Evangelio, según la fuerza de Dios" (2Tm 1, 8). Esto, sin embargo, nos atañe a todos: cada uno de nosotros, en la propia vida de cada día, puede dar testimonio de Cristo, con la fuerza de Dios, la fuerza de la fe. Con la pequeñísima fe que tenemos, pero que es fuerte. Con esta fuerza dar testimonio de Jesucristo, ser cristianos con la vida, con nuestro testimonio.
¿Cómo conseguimos esta fuerza? La tomamos de Dios en la oración. La oración es el respiro de la fe: en una relación de confianza, en una relación de amor, no puede faltar el diálogo, y la oración es el diálogo del alma con Dios. Octubre es también el mes del Rosario, y en este primer domingo es tradición recitar la Súplica a la Virgen de Pompeya, la Bienaventurada Virgen María del Santo Rosario. Nos unimos espiritualmente a este acto de confianza en nuestra Madre, y recibamos de sus manos el Rosario: el Rosario es una escuela de oración, el Rosario es una escuela de fe.

Del Papa Benedicto XVI, Homilía 3 de octubre de 2010
Queridos hermanos y hermanas, toda asamblea litúrgica es espacio de la presencia de Dios. Reunidos para la sagrada Eucaristía, los discípulos del Señor se sumergen en el sacrificio redentor de Cristo, proclaman que él ha resucitado, está vivo y es dador de la vida, y testimonian que su presencia es gracia, fuerza y alegría. Abramos el corazón a su palabra y acojamos el don de su presencia. Todos los textos de la liturgia de este domingo nos hablan de la fe, que es el fundamento de toda la vida cristiana. Jesús educó a sus discípulos a crecer en la fe, a creer y a confiar cada vez más en él, para construir su propia vida sobre roca. Por esto le piden: «Auméntanos la fe» (Lc 17, 6). Es una bella petición que dirigen al Señor, es la petición fundamental: los discípulos no piden bienes materiales, no piden privilegios; piden la gracia de la fe, que oriente e ilumine toda la vida; piden la gracia de reconocer a Dios y poder estar en relación íntima con él, recibiendo de él todos sus dones, incluso los de la valentía, el amor y la esperanza.
Sin responder directamente a su petición, Jesús recurre a una imagen paradójica para expresar la increíble vitalidad de la fe. Como una palanca mueve mucho más que su propio peso, así la fe, incluso una pizca de fe, es capaz de realizar cosas impensables, extraordinarias, como arrancar de raíz un árbol grande y transplantarlo en el mar (ib.). La fe —fiarse de Cristo, acogerlo, dejar que nos transforme, seguirlo sin reservas— hace posibles las cosas humanamente imposibles, en cualquier realidad. Nos da testimonio de esto el profeta Habacuc en la primera lectura. Implora al Señor a partir de una situación tremenda de violencia, de iniquidad y de opresión; y precisamente en esta situación difícil y de inseguridad, el profeta introduce una visión que ofrece una parte del proyecto que Dios está trazando y realizando en la historia: «El injusto tiene el alma hinchada, pero el justo vivirá por su fe» (Ha 2, 4). El impío, el que no actúa según la voluntad de Dios, confía en su propio poder, pero se apoya en una realidad frágil e inconsistente; por ello se doblará, está destinado a caer; el justo, en cambio, confía en una realidad oculta pero sólida; confía en Dios y por ello tendrá la vida.
(...) No hay que olvidar que vuestro sentido religioso siempre ha inspirado y orientado la vida familiar, alimentando valores, como la capacidad de entrega y de solidaridad con los demás, especialmente con los que sufren, y el innato respeto por la vida, que constituyen una preciosa herencia que se debe custodiar celosamente y se debe impulsar aún más en nuestros días. Queridos amigos, conservad este precioso tesoro de fe de vuestra Iglesia; que sean siempre los valores cristianos los que guíen vuestras decisiones y vuestras acciones.
La segunda parte del Evangelio de hoy presenta otra enseñanza, una enseñanza de humildad, pero que está estrechamente ligada a la fe. Jesús nos invita a ser humildes y pone el ejemplo de un siervo que ha trabajado en el campo. Cuando regresa a casa, el patrón le pide que trabaje más. Según la mentalidad del tiempo de Jesús, el patrón tenía pleno derecho a hacerlo. El siervo debía al patrón una disponibilidad completa, y el patrón no se sentía obligado hacia él por haber cumplido las órdenes recibidas. Jesús nos hace tomar conciencia de que, frente a Dios, nos encontramos en una situación semejante: somos siervos de Dios; no somos acreedores frente a él, sino que somos siempre deudores, porque a él le debemos todo, porque todo es un don suyo. Aceptar y hacer su voluntad es la actitud que debemos tener cada día, en cada momento de nuestra vida. Ante Dios no debemos presentarnos nunca como quien cree haber prestado un servicio y por ello merece una gran recompensa. Esta es una falsa concepción que puede nacer en todos, incluso en las personas que trabajan mucho al servicio del Señor, en la Iglesia. En cambio, debemos ser conscientes de que, en realidad, no hacemos nunca bastante por Dios. Debemos decir, como nos sugiere Jesús: «Somos siervos inútiles, hemos hecho lo que teníamos que hacer» (Lc 17, 10). Esta es una actitud de humildad que nos pone verdaderamente en nuestro sitio y permite al Señor ser muy generoso con nosotros. En efecto, en otra parte del Evangelio nos promete que «se ceñirá, nos pondrá a su mesa y nos servirá» (cf. Lc 12, 37). Queridos amigos, si hacemos cada día la voluntad de Dios, con humildad, sin pretender nada de él, será Jesús mismo quien nos sirva, quien nos ayude, quien nos anime, quien nos dé fuerza y serenidad.
También el apóstol san Pablo, en la segunda lectura de hoy, habla de la fe. Invita a Timoteo a tener fe y, por medio de ella, a practicar la caridad. Exhorta al discípulo a reavivar en la fe el don de Dios que está en él por la imposición de las manos de Pablo, es decir, el don de la ordenación, recibido para desempeñar el ministerio apostólico como colaborador de Pablo (cf. 2 Tm 1, 6). No debe dejar apagar este don; debe hacerlo cada vez más vivo por medio de la fe. Y el Apóstol añade: «Dios no nos ha dado un espíritu de timidez, sino de fortaleza, de amor y de templanza» (v. 7).
(...) A vosotros, fieles laicos, os repito: ¡no tengáis miedo de vivir y testimoniar la fe en los diversos ambientes de la sociedad, en las múltiples situaciones de la existencia humana, sobre todo en las difíciles! La fe os da la fuerza de Dios para tener siempre confianza y valentía, para seguir adelante con nueva decisión, para emprender las iniciativas necesarias a fin de dar un rostro cada vez más bello a vuestra tierra. Y cuando encontréis la oposición del mundo, escuchad las palabras del Apóstol: «No tengas miedo de dar la cara por nuestro Señor» (v. 8). Hay que avergonzarse del mal, de lo que ofende a Dios, de lo que ofende al hombre; hay que avergonzarse del mal que se produce a la comunidad civil y religiosa con acciones que se pretende que queden ocultas. La tentación del desánimo, de la resignación, afecta a quien es débil en la fe, a quien confunde el mal con el bien, a quien piensa que ante el mal, con frecuencia profundo, no hay nada que hacer. En cambio, quien está sólidamente fundado en la fe, quien tiene plena confianza en Dios y vive en la Iglesia, es capaz de llevar la fuerza extraordinaria del Evangelio.


DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica.
Ciclo C. Vigésimo séptimo domingo del Tiempo Ordinario.
La fe
La fe es una gracia
153 Cuando San Pedro confiesa que Jesús es el Cristo, el Hijo de Dios vivo, Jesús le declara que esta revelación no le ha venido "de la carne y de la sangre, sino de mi Padre que está en los cielos" (Mt 16, 17; cf. Ga 1, 15; Mt 11, 25). La fe es un don de Dios, una virtud sobrenatural infundida por él, "Para dar esta respuesta de la fe es necesaria la gracia de Dios, que se adelanta y nos ayuda, junto con el auxilio interior del Espíritu Santo, que mueve el corazón, lo dirige a Dios, abre los ojos del espíritu y concede `a todos gusto en aceptar y creer la verdad'" (DV 5).
La fe es un acto humano
154 Sólo es posible creer por la gracia y los auxilios interiores del Espíritu Santo. Pero no es menos cierto que creer es un acto auténticamente humano. No es contrario ni a la libertad ni a la inteligencia del hombre depositar la confianza en Dios y adherirse a las verdades por él reveladas. Ya en las relaciones humanas no es contrario a nuestra propia dignidad creer lo que otras personas nos dicen sobre ellas mismas y sobre sus intenciones, y prestar confianza a sus promesas (como, por ejemplo, cuando un hombre y una mujer se casan), para entrar así en comunión mutua. Por ello, es todavía menos contrario a nuestra dignidad "presentar por la fe la sumisión plena de nuestra inteligencia y de nuestra voluntad al Dios que revela" (Cc. Vaticano I: DS 3008) y entrar así en comunión íntima con El.
155 En la fe, la inteligencia y la voluntad humanas cooperan con la gracia divina: "Creer es un acto del entendimiento que asiente a la verdad divina por imperio de la voluntad movida por Dios mediante la gracia" (S. Tomás de A., s. th. 2-2, 2, 9; cf. Cc. Vaticano I: DS 3010).
La fe y la inteligencia
156 El motivo de creer no radica en el hecho de que las verdades reveladas aparezcan como verdaderas e inteligibles a la luz de nuestra razón natural. Creemos "a causa de la autoridad de Dios mismo que revela y que no puede engañarse ni engañarnos". "Sin embargo, para que el homenaje de nuestra fe fuese conforme a la razón, Dios ha querido que los auxilios interiores del Espíritu Santo vayan acompañados de las pruebas exteriores de su revelación" (ibid. , DS 3009). Los milagros de Cristo y de los santos (cf. Mc 16, 20; Hch 2, 4), las profecías, la propagación y la santidad de la Iglesia, su fecundidad y su estabilidad "son signos ciertos de la revelación, adaptados a la inteligencia de todos", "motivos de credibilidad que muestran que el asentimiento de la fe no es en modo alguno un movimiento ciego del espíritu" (Cc. Vaticano I: DS 3008-10).
157 La fe es cierta, más cierta que todo conocimiento humano, porque se funda en la Palabra misma de Dios, que no puede mentir. Ciertamente las verdades reveladas pueden parecer oscuras a la razón y a la experiencia humanas, pero "la certeza que da la luz divina es mayor que la que da la luz de la razón natural" (S. Tomás de Aquino, s. th. 2-2, 171, 5, obj. 3). "Diez mil dificultades no hacen una sola duda" (J. H. Newman, apol.).
158 "La fe trata de comprender" (S. Anselmo, prosl. proem.): es inherente a la fe que el creyente desee conocer mejor a aquel en quien ha puesto su fe, y comprender mejor lo que le ha sido revelado; un conocimiento más penetrante suscitará a su vez una fe mayor, cada vez más encendida de amor. La gracia de la fe abre "los ojos del corazón" (Ef 1, 18) para una inteligencia viva de los contenidos de la Revelación, es decir, del conjunto del designio de Dios y de los misterios de la fe, de su conexión entre sí y con Cristo, centro del Misterio revelado. Ahora bien, "para que la inteligencia de la Revelación sea más profunda, el mismo Espíritu Santo perfecciona constantemente la fe por medio de sus dones" (DV 5). Así, según el adagio de S. Agustín (serm. 43, 7, 9), "creo para comprender y comprendo para creer mejor".
159 Fe y ciencia. "A pesar de que la fe esté por encima de la razón, jamás puede haber desacuerdo entre ellas. Puesto que el mismo Dios que revela los misterios y comunica la fe ha hecho descender en el espíritu humano la luz de la razón, Dios no podría negarse a sí mismo ni lo verdadero contradecir jamás a lo verdadero" (Cc. Vaticano I: DS 3017). "Por eso, la investigación metódica en todas las disciplinas, si se procede de un modo realmente científico y según las normas morales, nuca estará realmente en oposición con la fe, porque las realidades profanas y las realidades de fe tienen su origen en el mismo Dios. Más aún, quien con espíritu humilde y ánimo constante se esfuerza por escrutar lo escondido de las cosas, aun sin saberlo, está como guiado por la mano de Dios, que, sosteniendo todas las cosas, hace que sean lo que son" (GS 36, 2).
La libertad de la fe
160 "El hombre, al creer, debe responder voluntariamente a Dios; nadie debe estar obligado contra su voluntad a abrazar la fe. En efecto, el acto de fe es voluntario por su propia naturaleza" (DH 10; cf. CIC, can. 748, 2). "Ciertamente, Dios llama a los hombres a servirle en espíritu y en verdad. Por ello, quedan vinculados por su conciencia, pero no coaccionados… Esto se hizo patente, sobre todo, en Cristo Jesús" (DH 11). En efecto, Cristo invitó a la fe y a la conversión, él no forzó jamás a nadie jamás. "Dio testimonio de la verdad, pero no quiso imponerla por la fuerza a los que le contradecían. Pues su reino… crece por el amor con que Cristo, exaltado en la cruz, atrae a los hombres hacia Él" (DH 11).
La necesidad de la fe
161 Creer en Cristo Jesús y en aquél que lo envió para salvarnos es necesario para obtener esa salvación (cf. Mc 16, 16; Jn 3, 36; Jn 6, 40 e. a.). "Puesto que `sin la fe… es imposible agradar a Dios' (Hb 11, 6) y llegar a participar en la condición de sus hijos, nadie es justificado sin ella y nadie, a no ser que `haya perseverado en ella hasta el fin' (Mt 10, 22; Mt 24, 13), obtendrá la vida eterna" (Cc. Vaticano I: DS 3012; cf. Cc. de Trento: DS 1532).
La perseverancia en la fe
162 La fe es un don gratuito que Dios hace al hombre. Este don inestimable podemos perderlo; S. Pablo advierte de ello a Timoteo: "Combate el buen combate, conservando la fe y la conciencia recta; algunos, por haberla rechazado, naufragaron en la fe" (1Tm 1, 18-19). Para vivir, crecer y perseverar hasta el fin en la fe debemos alimentarla con la Palabra de Dios; debemos pedir al Señor que la aumente (cf. Mc 9, 24; Lc 17, 5; Lc 22, 32); debe "actuar por la caridad" (Ga 5, 6; cf. St 2, 14-26), ser sostenida por la esperanza (cf. Rm 15, 13) y estar enraizada en la fe de la Iglesia.
La fe, comienzo de la vida eterna
163 La fe nos hace gustar de antemano el gozo y la luz de la visión beatífica, fin de nuestro caminar aquí abajo. Entonces veremos a Dios "cara a cara" (1Co 13, 12), "tal cual es" (1Jn 3, 2). La fe es pues ya el comienzo de la vida eterna:
Mientras que ahora contemplamos las bendiciones de la fe como el reflejo en un espejo, es como si poseyéramos ya las cosas maravillosas de que nuestra fe nos asegura que gozaremos un día ( S. Basilio, Spir. 15, 36; cf. S. Tomás de A., s. th. 2 - 2, 4, 1).
164 Ahora, sin embargo, "caminamos en la fe y no en la visión" (2Co 5, 7), y conocemos a Dios "como en un espejo, de una manera confusa, … imperfecta" (1Co 13, 12). Luminosa por aquel en quien cree, la fe es vivida con frecuencia en la oscuridad. La fe puede ser puesta a prueba. El mundo en que vivimos parece con frecuencia muy lejos de lo que la fe nos asegura; las experiencias del mal y del sufrimiento, de las injusticias y de la muerte parecen contradecir la buena nueva, pueden estremecer la fe y llegar a ser para ella una tentación.
165 Entonces es cuando debemos volvernos hacia los testigos de la fe: Abraham, que creyó, "esperando contra toda esperanza" (Rm 4, 18); la Virgen María que, en "la peregrinación de la fe" (LG 58), llegó hasta la "noche de la fe" (Juan Pablo II, R Mat 18) participando en el sufrimiento de su Hijo y en la noche de su sepulcro; y tantos otros testigos de la fe: "También nosotros, teniendo en torno nuestro tan gran nube de testigos, sacudamos todo lastre y el pecado que nos asedia, y corramos con fortaleza la prueba que se nos propone, fijos los ojos en Jesús, el que inicia y consuma la fe" (Hb 12, 1-2).
La fe
2087 Nuestra vida moral tiene su fuente en la fe en Dios que nos revela su amor. S. Pablo habla de la "obediencia de la fe" (Rm 1, 5; Rm 16, 26) como de la primera obligación. Hace ver en el "desconocimiento de Dios" el principio y la explicación de todas las desviaciones morales (cf Rm 1, 18-32). Nuestro deber para con Dios es creer en él y dar testimonio de él.
2088 El primer mandamiento nos pide que alimentemos y guardemos con prudencia y vigilancia nuestra fe y que rechacemos todo lo que se opone a ella. Hay diversas maneras de pecar contra la fe:
La duda voluntaria respecto a la fe descuida o rechaza tener por verdadero lo que Dios ha revelado y que la Iglesia propone creer. La duda involuntaria designa la vacilación en creer, la dificultad de superar las objeciones ligadas a la fe o también la ansiedad suscitada por la oscuridad de ésta. Si es cultivada deliberadamente, la duda puede conducir a la ceguera del espíritu.
2089 La incredulidad es la menosprecio de la verdad revelada o el rechazo voluntario de prestarle asentimiento. "Se llama herejía la negación pertinaz, después de recibido el bautismo, de una verdad que ha de creerse con fe divina y católica, o la duda pertinaz sobre la misma; apostasía es el rechazo total de la fe cristiana; cisma, el rechazo de la sujeción al Sumo Pontífice o de la comunión con los miembros de la Iglesia a él sometidos" (CIC, can. 751).
El depósito de la fe confiado a la Iglesia
84 El depósito de la fe confiado a la totalidad de la Iglesia
"El depósito sagrado" (cf. 1Tm 6, 20; 2Tm 1, 12-14) de la fe (depositum fidei), contenido en la Sagrada Tradición y en la Sagrada Escritura fue confiado por los apóstoles al conjunto de la Iglesia. "Fiel a dicho depósito, el pueblo cristiano entero, unido a sus pastores, persevera siempre en la doctrina apostólica y en la unión, en la eucaristía y la oración, y así se realiza una maravillosa concordia de pastores y fieles en conservar, practicar y profesar la fe recibida" (DV 10).
El sentido sobrenatural de la fe
91 Todos los fieles tienen parte en la comprensión y en la transmisión de la verdad revelada. Han recibido la unción del Espíritu Santo que los instruye (cf. 1Jn 2, 20. 27) y los conduce a la verdad completa (cf. Jn 16, 13).
92 "La totalidad de los fieles … no puede equivocarse en la fe. Se manifiesta esta propiedad suya, tan peculiar, en el sentido sobrenatural de la fe de todo el pueblo: cuando 'desde los obispos hasta el último de los laicos cristianos' muestran estar totalmente de acuerdo en cuestiones de fe y de moral" (LG 12).
93 "El Espíritu de la verdad suscita y sostiene este sentido de la fe. Con él, el Pueblo de Dios, bajo la dirección del magisterio… se adhiere indefectiblemente a la fe transmitida a los santos de una vez para siempre, la profundiza con un juicio recto y la aplica cada día más plenamente en la vida" (LG 12).

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Oremos al Señor, nuestro Dios. El es la roca que nos salva.
- Por la Iglesia, para que sepa dar respuesta a los grandes interrogantes que el hombre se plantea sobre su vida y su destino. Roguemos al Señor.
- Por todos los pueblos del mundo, para que disfruten de paz y aumenten los lazos de unión y concordia entre ellos. Roguemos al Señor.
- Por los pobres, los enfermos, los que carecen de trabajo, para que encuentren la ayuda y el amor que necesitan. Roguemos al Señor.
- Por nosotros, aquí reunidos, para que, siguiendo la exhortación del Apóstol-que hemos escuchado-, vivamos con fe y amor cristianos. Roguemos al Señor.
Escucha nuestras súplicas, Señor, y auméntanos la fe. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Acepta, Señor, el sacrificio establecido por ti y, por estos santos misterios que celebramos en razón de nuestro ministerio, perfecciona en nosotros como conviene la obra santificadora de tu redención. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Súscipe, quaesumus, Dómine, sacrifícia tuis institúta praecéptis, et sacris mystériis, quae débitae servitútis celebrámus offício, sanctificatiónem tuae nobis redemptiónis dignánter adímple. Per Christum.

PREFACIO VII DOMINICAL DEL TIEMPO ORDINARIO
LA SALVACIÓN, FRUTO DE LA OBEDIENCIA DE CRISTO
En verdad es justo y necesario, es nuestro deber y salvación darte gracias siempre y en todo lugar, Señor, Padre santo, Dios todopoderoso y eterno.
Porque tu amor al mundo fue tan misericordioso que nos enviaste como redentor a tu propio Hijo, Y en todo lo quisiste semejante a nosotros, menos en el pecado, para poder así amar en nosotros lo que amabas en él. Con su obediencia has restaurado aquellos dones que por nuestra desobediencia habíamos perdido.
Por eso, Señor, nosotros, llenos de alegría, te aclamamos con los ángeles y con todos los santos, diciendo:

Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus:
Quia sic mundum misericórditer dilexísti, ut ipsum nobis mítteres Redemptórem, quem absque peccáto in nostra voluísti similitúdine conversári, ut amáres in nobis quod diligébas in Fílio, cuius oboediéntia sumus ad tua dona reparáti, quae per inobodiéntiam amiserámus peccándo.
Unde et nos, Dómine, cum Angelis et Sanctis univérsis tibi confitémur, in exsultatióne dicéntes:

Santo, Santo, Santo…

PLEGARIA EUCARÍSTICA I o CANON ROMANO

Antífona de la comunión Cf. Lam 3, 25

El Señor es bueno para quienes esperan en él, para quien lo busca.
Bonus est Dóminus sperántibus in eum, ánimae quaerénti illum.
O bien: Cf. 1Cor 10, 17
Porque el pan es uno, nosotros, siendo muchos, formamos un solo cuerpo, pues todos comemos del mismo pan y participamos del mismo cáliz.
Unus panis et unum corpus multi sumus, omnes qui de uno pane et de uno cálice participámus.

Oración después de la comunión
Concédenos, Dios todopoderoso, que nos alimentemos y saciemos en los sacramentos recibidos, hasta que nos transformemos en lo que hemos tomado. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Concéde nobis, omnípotens Deus, ut de percéptis sacraméntis inebriémur atque pascámur, quátenus in id quod súmimus transeámus. Per Christum.

MARTIROLOGIO

Elogios del día 3 de octubre

San Francisco de Borja, presbítero, quien, muerta su muujer, con la que había tenido ocho hijos, ingresó en la Orden de la Compañía de Jesús, y pese haber abdicado de las dignidades del mundo y recusado las de la Iglesia, resultó elegido prepósito general, y fue memorable por su austeridad de vida y oración. Falleció en Roma. (1572)
2. Conmemoración de san Dionisio Areopagita, que se adhirió a Cristo al escuchar al apóstol san Pablo hablando ante el Areópago, y fue primer obispo de Atenas. (s. I)
3. En Roma, en el cementerio de Ponciano, en la vía Portuense, santa Cándida, mártir(s. inc.)
4. En Alejandría, en Egipto, conmemoración de los santos Fausto, Cayo, Pedro, Pablo, Eusebio, Querimón, Lucio y otros dos, todos los cuales, primero en tiempo del emperador Decio y después bajo Valeriano, por mandato del prefecto Emiliano sufrieron de muchas maneras, junto con el obispo Dionisio, y llegaro a ser confesores de la fe; entre ellos, Fausto alcanzó la palma del martirio bajo el emperador Diocleciano. (s. III/IV)
5. En Mayuma, en Palestina, conmemoración de san Hesiquio, monje, discípulo de san Hilarión y compañero suyo de peregrinación. (s. IV)
6. Conmemoración de san Maximiano, obispo de Bagai, en Numidia, actual Argelia, que, apaleado repetidas veces por los herejes, fue precipitado desde lo alto de una torre y lo dejaron por muerto, pero, recogido por unos transeúntes, se recuperó y no dejó de luchar por la fe católica. (c. 410)
7*. En Toulon, en la región de Provenza, en la Galia, hoy Francia, san Cipriano, obispo, discípulo de san Cesáreo de Arlés, que defendió en varios sínodos la fe ortodoxa sobre la gracia, enseñando que nadie puede llegar a lo divino sin antes haber sido llamado por la gracia de Dios. (c. 543)
8. Entre los sajones, dos santos mártires de nombre Ewaldo, uno llamado "Negro" y el otro "Blanco", ambos presbíteros y oriundos de Inglaterra, que, siguiendo el ejemplo de san Willibrordo y sus compañeros, pasaron a evangelizar Sajonia, donde, tras comenzar a predicar a Cristo, fueron apresados por los paganos y consumaron el martirio. (695)
9*. En el monasterio de Metten, en Baviera, actual Alemania, beato Uto u Otón, fundador y primer abad(802)
10. En la región de Namur, en Lotaringia, actualmente Bélgica san Gerardo, primer abad del monasterio de Brogne, que él mismo había fundado. Trabajó para instaurar la disciplina monástica en Flandes y Lotaringia, y ayudó a muchos monasterios a recuperar la observancia primitiva. (959)
11*. En Chur, en la región de Helvecia, hoy Suiza, beato Adelgoto, obispo, discípulo de san Bernardo en Clairvaux, que fue un buen ejemplo de disciplina monástica. (1160)
12*. Junto al río Uruaçu, cerca de Natal, en Brasil, beatos Ambrosio Francisco Ferro, presbítero, y compañeros*, mártires, que dieron la vida víctimas de la opresión que se desencadenó contra la fe católica (1645).
*Sus nombres son: beatos Antonio Baracho, Antonio Vilela Cid, Antonio Vilela hijo y su hija, Diego Pereira, Manuel Rodrigues Moura y su esposa, hija de Francisco Dias hijo, Francisco de Bastos, Francisco Mendes Pereira, Juan da Silveira, Juan Lostau Navarro, Juan Martins y siete jóvenes, José do Porto, Mateo Moreira, Simón Correia, Esteban Machado de Miranda y dos hijas suyas, y Vicente de Souza Pereira.
13*. En Madrid, capital de España, beato Crescencio García Pobo, presbítero de los Terciarios Capuchinos de Nuestra Señora de los Dolores y mártir, que derramó su sangre durante la persecución contra la fe. (1936)
- Beato Jesús Jaramillo Monsalve (1916- cerca de Fortul, Departamento de Arauca, Colombia 1989). Obispo de Arauca, sacerdote del Instituto para las Misiones Extranjeras de Yarumal,asesinado por odio a la fe por la guerrilla colombiana.

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