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Domingo 11 septiembre 2022, XXIV Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA (16-23 GIUGNO 1983)
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI SEMINARISTI NELL'ARCIVESCOVADO DI CRACOVIA

Cracovia (Polonia) - Giovedì, 23 giugno 1983

Voglio ringraziare di cuore per questo incontro all’altare, continuazione di numerosi altri incontri, avvenuti in vari periodi e momenti della nostra vita, quando risiedevo a Cracovia. Questi incontri si legavano alla mia vocazione di sacerdote, prima, di Vescovo poi; nonché alla vostra vocazione, che avete accolto e intrapreso seguendo Cristo, così come egli chiamava ognuno di voi. Lo ringrazio per quella che è stata la sua grazia nel nostro comune cammino e per tutto ciò che è e sarà ancora la sua grazia nelle vostre strade. Contemporaneamente presente a Cristo, mediante sua Madre, tutte le questioni che porta con sé la vita, spesso difficili, così come ho sempre fatto e ricordandovi ogni giorno nella mia preghiera. E ringrazio anche voi della stessa cosa. Passando dal mio ambiente ad altri, desidero ancora rivolgere qualche parola ai miei compagni di ginnasio, venuti per partecipare a questo Santissimo Sacrificio.

Quest’anno ricorre il 45° anniversario del nostro esame di maturità. Dunque, questo è anche un breve ma molto caloroso convegno di vecchi studenti, un incontro davanti all’altare. Miei cari amici, Dio benedica voi, le vostre famiglie e il vostro lavoro sulle strade della vostra vita. Voglio anche ricordare i miei amici sacerdoti, dei tempi di Cracovia, e soprattutto alcuni di loro (perché ce ne sono solo alcuni), quelli ordinati da me esattamente 25 anni fa. C’è tra di loro padre Stanislaw a voi ben noto. E, questo, per quanto riguarda la composizione dei piccoli gruppi delle persone presenti a questo incontro. Spero che Cristo sia sceso tra di noi con la grazia della sua Eucaristia, che ci abbia uniti di nuovo, che ci abbia conformati con lo spirito che somministra a coloro che lo cercano.

Voglio anche impartire la benedizione a tutti i presenti, ed estenderla contemporaneamente a tutti coloro che non hanno potuto partecipare a quest’incontro, pur essendo legati agli ambienti da me menzionati, partecipando con il cuore. Ringrazio molto i due Cardinali che hanno concelebrato insieme con me. Li prego di impartire con me la benedizione finale.

Permettetemi di rivolgere un’ultima parola ai nostri morti sia dell’ambiente, sia del gruppo dei miei compagni di ginnasio. Li affidiamo alla Divina Misericordia, fiduciosi che le loro anime nella vita eterna trovino Cristo.

Dopo la benedizione, si è incontrato con un gruppo di seminaristi:

Sono molto contento di questo invito. Mi presenterò al Rettore; ho saputo che adesso, in giugno, si fanno le domande d’ammissione. Non so se mi rifiuterà per via dell’età, ma ci proverò. In ogni caso vi ringrazio per la vostra indulgenza, perché capisco che dovrei essere io a venire da voi; da voi, cioè dove? A Podzamcze o in via del Manifesto. Mi dicono che siete molti e non so se tutti riuscite a trovar posto negli edifici che hanno sempre ospitato i seminaristi di Cracovia. Mi sa che dormite su letti a quattro piani. È così . . .

Miei cari, dovete ricordarvi di ciò che ho detto ai sacerdoti di Cracovia: che continuo a sentirmi il sacerdote dell’arcidiocesi di Cracovia, poiché questa è la verità. Sacerdote sono lì dove lo sono diventato: nell’arcidiocesi di Cracovia, nella Chiesa di Cracovia. Sono stato ordinato sacerdote nella Chiesa di Cracovia per il fatto che ho terminato il seminario a Cracovia, dunque appartengo a questo seminario e ho diritto su di voi e voi su di me, nel senso che il seminario di Cracovia mi ha preparato al sacerdozio. È una grande cosa preparare l’uomo al sacerdozio. Il periodo in cui ciò è avvenuto è stato particolare, eccezionale. Ho fatto un seminario molto strano, e se qualcuno mi chiedesse se ho fatto sei anni di seminario, dovrei riflettere molto: quali anni? Comunque, il seminario è la preparazione al sacerdozio e io sono stato preparato al sacerdozio del seminario di Cracovia a cui sono molto grato.

Vi auguro che questo seminario, che come tutta la chiesa di Cracovia ha antiche tradizioni, vi prepari bene al sacerdozio, affinché troviate la vostra strada, affinché in essa vi confermiate, ed entriate, perché il seminario è l’entrata in questa strada, è l’“entrata”, è già sacerdozio.

Desidero benedirvi di cuore e vi sarò sempre molto grato, se pregherete per me, e se capiterete a Roma, venite a trovarmi. Ve ne sarò molto grato.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CLERO E AI RELIGIOSI NELLA CATTEDRALE DI WROCLAW

Wroclaw (Polonia) - Martedì, 21 giugno 1983

Sono stato qui molte volte. Ma questa presenza ha un carattere particolare e perciò anche la mia commozione è particolare. Saluto tutti voi qui presenti, e in voi saluto la Chiesa che e in Breslavia: la Chiesa arcidiocesana e metropolitana. Saluto questa Chiesa soprattutto in voi, sacerdoti.

Voi siete l’espressione del sacerdozio del Popolo di Dio, in una dimensione gerarchica, cioè ministeriale. Grazie al vostro carattere legato al Sacramento del sacerdozio, questo Popolo riceve il servizio sacerdotale e trova l’espressione della sua unione sacerdotale con Cristo. Tramite voi, tramite il vostro Sacramento, il vostro carattere, tramite la vostra vita e il vostro servizio, vedo la Chiesa che è in Breslavia come una viva comunità del Popolo di Dio. E vedo tutte queste comunità locali, parrocchiali e anche le altre che si raccolgono attorno a voi e delle quali voi siete pastori, ad immagine di Gesù Cristo, per le quali voi siete sacerdoti. Saluto tutte queste comunità. In esse vive la Chiesa in Breslavia, sia nella Metropoli che nell’arcidiocesi. In esse vive la Chiesa universale. Trasmettete a tutte queste comunità il saluto del Vescovo di Roma.

Vedo anche questa Chiesa in voi, care sorelle e in tutte le persone che si trovano in questa cattedrale, consacrate a Dio tramite i voti religiosi. Siete voi l’espressione del radicalismo evangelico, di questa dedizione totale al Cristo stesso. La Chiesa è dedita al Cristo ed è dedita totalmente poiché essa è la sua Sposa. Bisogna che questa dedizione totale della Chiesa al Cristo trovi espressione nelle vocazioni particolari. La vostra è una vocazione sponsale. Siete voi a dire a tutti gli uomini che la Chiesa è la Sposa di Cristo. Siete voi a dare una testimonianza del Regno che non è di questo mondo.

Ringrazio per la testimonianza del Vangelo che date al Popolo di Dio nella Bassa Slesia, in questa arcidiocesi, in questa Metropoli. Siate sempre vicine alla Vergine Immacolata, poiché essa è il più pieno, il più perfetto modello di ciò che voi siete e che dovete essere nella Chiesa di Gesù Cristo.

Saluto tutti i presenti, ringrazio dell’invito in questa Cattedrale; di potermi incontrare qui con il tempo passato dei Piast e con quelli successivi; ringrazio di poter fermarmi e pregare davanti alla tomba del mio amico, il Cardinale Boleslaw Kominek, di santa memoria. Ringrazio anche di poter benedire le prime pietre delle nuove chiese in segno del servizio che mi è stato dato di compiere a Breslavia il 21 giugno 1983.

Carissimi fratelli e sorelle, affido alle vostre preghiere, alla vostra comunità di fratelli e di sorelle, i Vescovi - i vostri Vescovi di Breslavia, della Bassa Slesia, i Vescovi polacchi e tutti i Vescovi del mondo - affinché siano uno in Gesù Cristo, affinché noi, essendo uno in Gesù Cristo, possiamo salvare il mondo in Gesù Cristo, poiché soltanto in lui è la salvezza del mondo: ieri, oggi e per sempre.

Accogliete la mia benedizione.

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON IL CLERO NELLA CATTEDRALE DI POZNAM

Poznam (Polonia) - Lunedì, 20 giugno 1983

Ringrazio di cuore l’Arcivescovo Metropolita per avermi invitato a fare un breve discorso. Si suol dire che è più difficile fare un discorso breve che uno lungo. Perciò mi ha invitato anche a fare un discorso difficile.

Miei cari fratelli nel sacerdozio, dell’arcidiocesi di Poznan, delle famiglie religiose, nonché delle diocesi vicine, fratelli sacerdoti, religiosi e religiose! Mi riempie di gioia questo momento del nostro incontro. Questo momento ci deve bastare per confermare la nostra comunione con la Chiesa: comunione con il vostro Vescovo, paragonata da sant’Ignazio d’Antiochia alle corde di uno strumento musicale, e mediante il vostro Vescovo, comunione con il Vescovo di Roma, la quale dà al nostro sacerdozio una dimensione universale, come insegna il Concilio Vaticano II.

In nome della duplice comunione, quella con il vostro Vescovo e quella con il Vescovo di Roma, rendo omaggio al Cristo, Sacerdote Eterno, che vive in ognuno di voi. Ognuno di voi esiste nel suo nome, celebra il mistero della Redenzione, il mistero dell’Eucaristia.

Rendendo omaggio al Cristo, che vive e agisce in voi e per mezzo di voi, quindi, nello stesso tempo, rendo il più grande onore a ognuno di voi. Vi prego, siate sempre degni di questo onore che il Cristo stesso dà a noi sacerdoti; siategli sempre infinitamente grati per questo dono del sacerdozio e ricambiatelo con tutta la vostra vita. Che questa vita sia benedetta nello spirito delle beatitudini che sono la sintesi della vocazione cristiana, della vocazione evangelica. Che la vostra vita sia feconda di quella fecondità, alla quale siete chiamati, rinunciando alla vita familiare e personale per potervi dedicare maggiormente a tutti.

Vi affido al cuore della Madre dei sacerdoti.

Ricordo le generazioni dei grandi sacerdoti dell’arcidiocesi di Poznan uniti ai Vescovi e agli Arcivescovi di questa sede fin dal 968, e assieme al vostro Arcivescovo e ai Cardinali e Vescovi qui presenti vi benedico con tutto il cuore.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI SACERDOTI NEL 50° DELLA LORO ORDINAZIONE

Venerdì, 10 giugno 1983

Signori Cardinali e carissimi Sacerdoti!

1. Ben volentieri ho aderito al vostro desiderio di essere ricevuti in speciale udienza per ricordare, in comunione col successore di Pietro, la felice ricorrenza del 50° anniversario della vostra Ordinazione sacerdotale, avvenuta appunto nel 1933, nel corso dell’Anno Santo Straordinario indetto dal mio venerato predecessore Pio XI per commemorare i 1900 anni della Redenzione.

Sono lieto di poter ringraziare il Signore con voi, che ricordate i 50 anni di sacerdozio, insieme con i due Cardinali piacentini, Silvio Oddi e Opilio Rossi, i quali, festeggiando anch’essi la stessa data, si sono uniti a voi, rendendo più solenne la celebrazione giubilare.

2. Vi esprimo il mio sincero compiacimento e vivo ringraziamento per questa vostra visita, che dice la serietà con cui avete voluto ricordare questa data tanto significativa per voi e per la Chiesa: quella in cui vi siete consacrati a Gesù Cristo e gli avete fatto dono, in modo irrevocabile, di tutta la vostra esistenza per essere dispensatori dei suoi misteri (cf. 1 Cor 4, 1), i suoi intimi amici, i suoi più stretti collaboratori e i continuatori del suo ministero di redenzione nel mondo.

Mi auguro che questo incontro valga a farvi comprendere sempre più e sempre meglio il significato e il valore che hanno per la Chiesa e per le anime i 50 anni del vostro ministero sacerdotale. Sono stati anni, ne sono sicuro, pieni di fatiche, di ansie apostoliche, di abnegazione e di sacrifici innumerevoli; ma anche ricchi di tante grazie e di intime consolazioni, che il Signore Gesù non fa mancare a coloro che occupano un posto così privilegiato nel suo Cuore, essendo chiamati a perpetuare sulla terra i prodigi del suo amore, come testimoni della fede, missionari del Vangelo, profeti della speranza e operatori della salvezza.

3. Di qui sgorgano dai vostri cuori l’inno della riconoscenza al Signore per gli innumerevoli benefici ricevuti e il proposito di rimanere fino alla fine fedeli a questa missione salvifica del vostro sacerdozio, di sempre corrispondere a quanto la Chiesa si aspetta dal vostro zelo, dalla vostra esperienza pastorale e dal vostro consiglio saggio e illuminato. Continuate ad essere ministri generosi, lieti e pieni di dedizione per la salvezza delle anime e la maggior gloria di Dio. Siate sempre sacerdoti autentici, nei quali non si offuschi mai quella gran luce che un giorno - 50 anni or sono - vi permeò tutti mediante il carisma dell’Ordine sacro; e non rifiutate di portare in voi la mortificazione di Gesù (cf. 2 Cor 4, 10), perché le conquiste del Regno dei cieli non si realizzano senza la croce.

A voi, alle persone a voi care, e a tutte le anime che vi sono affidate imparto con grande affetto la propiziatrice benedizione apostolica, che estendo a tutti i cari sacerdoti della diocesi piacentina.

CALENDARIO

11 + XXIV DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa del Domingo (verde). 
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical. 
LECC.: vol. I (C). 
- Éx 32, 7-11. 13-14. Se arrepintió el Señor de la amenaza que había pronunciado. 
- Sal 50. R. Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre. 
- 1 Tim 1, 12-17. Cristo vino para salvar a los pecadores. 
- Lc 15, 1-32. Habrá más alegría en el cielo por un solo pecador que se convierta. 

La misericordia de Dios es el eje central de las lecturas de este domingo. Así, en la primera, por la intercesión de Moisés, el Señor se arrepintió de la amenaza que había pronunciado contra los israelitas que se habían puesto en el desierto a adorar un toro de metal. El sal. resp. –«Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre»– nos llama a la conversión. El Ev. nos presenta las tres parábolas de la misericordia: la oveja perdida, la moneda perdida y el hijo pródigo. Las tres terminan llamándonos a unirnos a la alegría que habrá en el cielo por un solo pecador que se convierta. Jesús vino al mundo a llamar a los pecadores (2 lect.). Con Él debemos salir a buscar a los que están perdidos para que vuelvan a la casa del Padre.

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial. 

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II. 

Martirologio: elogs. del 12 de septiembre, pág. 548. 
CALENDARIOS: Mondoñedo-Ferrol: Nuestra Señora de los Remedios (S). 
Zaragoza: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Manuel Ureña Pastor, arzobispo, emérito (1988).

TEXTOS MISA

XXIV DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Antífona de entrada Cf. Eclo 36, 15
Señor, da la paz a los que esperan en ti, y saca veraces a tus profetas, escucha la súplica de tus siervos y de tu pueblo Israel.
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétae tui fidéles inveniántur; exáudi preces servi tui, et plebis tuae Israel.

Monición de entrada
Año C
Cada domingo celebramos a Cristo resucitado, vencedor del pecado y de la muerte. Podemos acercarnos confiadamente a la mesa eucarística, pues su misericordia es eterna y llega a todos. El no solo trajo a la tierra el mensaje de la reconciliación con Dios, sino que nos reconcilió para siempre con la entrega de su vida en la cruz. Es lo que celebramos en la eucaristía. Abramos nuestro corazón al arrepentimiento de nuestros pecados y démosle gracias porque siempre sigue ofreciéndonos su misericordia.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula pueden usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Tú. que has venido a buscar y salvar lo que estaba perdido: Señor ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Tú que acogías a los pecadores y comías con ellos: Cristo, ten piedad
R. Cristo, ten piedad.
- Tú, que fuiste acusado de pecador: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición y de la aspersión del agua bendita.

Se dice
 Gloria.

Oración colecta
Míranos, oh, Dios, creador y guía de todas las cosas, y concédenos servirte de todo corazón, para que percibamos el fruto de tu misericordia. Por nuestro Señor Jesucristo.
Réspice nos, rerum ómnium Deus creátor et rector, et, ut tuae propitiatiónis sentiámus efféctum, toto nos tríbue tibi corde servíre. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XXIV Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C (Lec. I C).

PRIMERA LECTURA Éx 32, 7-11.13-14
El Señor se arrepintió de la amenaza que había pronunciado
Lectura del libro de Exodo.

En aquellos días, el Señor dijo a Moisés:
«Anda, baja de la montaña, que se ha pervertido tu pueblo, el que tú sacaste de Egipto. Pronto se han desviado del camino que yo les había señalado. Se han hecho un becerro de metal, se postran ante él, le ofrecen sacrificios y proclaman:
“Este es tu Dios, Israel, el que te sacó de Egipto”».
Y el Señor añadió a Moisés:
«Veo que este pueblo es un pueblo de dura cerviz. Por eso, déjame: mi ira se va a encender contra ellos hasta consumirlos. Y de ti haré un gran pueblo».
Entonces Moisés suplicó al Señor, su Dios:
«¿Por qué, Señor, se va a encender tu ira contra tu pueblo, que tú sacaste de Egipto, con gran poder y mano robusta? Acuérdate de tus siervos, Abrahán, Isaac e Israel, a quienes juraste por ti mismo:
“Multiplicaré vuestra descendencia como las estrellas del cielo, y toda esta tierra de que he hablado se la daré a vuestra descendencia para que la posea por siempre”».
Entonces se arrepintió el Señor de la amenaza que había pronunciado contra su pueblo.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo Responsorial Sal 50, 3-4. 12-13. 17 et 19 (: Lc 15, 18)
R. Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre.
Surgam et ibo ad patrem meum.

V. Misericordia, Dios mío, por tu bondad,
por tu inmensa compasión borra mi culpa;
lava del todo mi delito,
limpia mi pecado.
R. Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre.
Surgam et ibo ad patrem meum.

V. Oh, Dios, crea en mí un corazón puro, 
renuévame por dentro con espíritu firme.
No me arrojes lejos de tu rostro,
no me quites tu santo espíritu.
R. Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre.
Surgam et ibo ad patrem meum.

V. Señor, me abrirás los labios,
y mi boca proclamará tu alabanza.
El sacrificio agradable a Dios
es un espíritu quebrantado;
un corazón quebrantado y humillado,
tú, oh, Dios, tú no lo desprecias.
R. Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre.
Surgam et ibo ad patrem meum.

SEGUNDA LECTURA 1 Tim 1, 12-17
Cristo vino para salvar a los pecadores
Lectura de la primera carta del apóstol san Pablo a Timoteo.

Querido hermano:
Doy gracias a Cristo Jesús, Señor nuestro, que me hizo capaz, se fió de mí y me confió este ministerio, a mí, que antes era un blasfemo, un perseguidor y un insolente.
Pero Dios tuvo compasión de mí porque no sabía lo que hacía, pues estaba lejos de la fe; sin embargo, la gracia de nuestro Señor sobreabundó en mí junto con la fe y el amor que tienen su fundamento en Cristo Jesús.
Es palabra digna de crédito y merecedora de total aceptación que Cristo Jesús vino al mundo para salvar a los pecadores, y yo soy el primero; pero por esto precisamente se compadeció de mí: para que yo fuese el primero en el que Cristo Jesús mostrase toda su paciencia y para que me convirtiera en un modelo de los que han de creer en él y tener vida eterna.
Al Rey de los siglos, inmortal, invisible, único Dios, honor y gloria por los siglos de los siglos. Amén.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya 2 Cor 5, 19
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Dios estaba en Cristo reconciliando al mundo consigo, y ha puesto en nosotros el mensaje de la reconciliación. R.
Deus erat in Christo mundum reconcílians sibi, et pósuit in nobis verbum reconciliatiónis.

EVANGELIO (opción 1) Lc 15, 1-32
Habrá más alegría en el cielo por un solo pecador que se convierta
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, solían acercarse a Jesús todos los publicanos y los pecadores a escucharlo. Y los fariseos y los escribas murmuraban diciendo:
«Ese acoge a los pecadores y come con ellos».
Jesús les dijo esta parábola:
«¿Quién de vosotros que tiene cien ovejas y pierde una de ellas, no deja las noventa y nueve en el desierto y va tras la descarriada, hasta que la encuentra? Y, cuando la encuentra, se la carga sobre los hombros, muy contento; y, al llegar a casa, reúne a los amigos y a los vecinos, y les dice:
“¡Alegraos conmigo!, he encontrado la oveja que se me había perdido”.
Os digo que así también habrá más alegría en el cielo por un solo pecador que se convierta que por noventa y nueve justos que no necesitan convertirse.
O ¿qué mujer que tiene diez monedas, si se le pierde una, no enciende una lámpara y barre la casa y busca con cuidado, hasta que la encuentra? Y, cuando la encuentra, reúne a las amigas y a las vecinas y les dice:
“¡Alegraos conmigo!, he encontrado la moneda que se me había perdido”.
Os digo que la misma alegría tendrán los ángeles de Dios por un solo pecador que se convierta».
También les dijo:
«Un hombre tenía dos hijos; el menor de ellos dijo a su padre:
“Padre, dame la parte que me toca de la fortuna”.
El padre les repartió los bienes.
No muchos días después, el hijo menor, juntando todo lo suyo, se marchó a un país lejano, y allí derrochó su fortuna viviendo perdidamente.
Cuando lo había gastado todo, vino por aquella tierra un hambre terrible, y empezó él a pasar necesidad.
Fue entonces y se contrató con uno de los ciudadanos de aquel país que lo mandó a sus campos a apacentar cerdos. Deseaba saciarse de las algarrobas que comían los cerdos, pero nadie le daba nada.
Recapacitando entonces, se dijo:
«Cuántos jornaleros de mi padre tienen abundancia de pan, mientras yo aquí me muero de hambre. Me levantaré, me pondré en camino adonde está mi padre, y le diré: Padre, he pecado contra el cielo y contra ti; ya no merezco llamarme hijo tuyo: trátame como a uno de tus jornaleros”.
Se levantó y vino adonde estaba su padre; cuando todavía estaba lejos, su padre lo vio y se le conmovieron las entrañas; y, echando a correr, se le echó al cuello y lo cubrió de besos.
Su hijo le dijo:
“Padre, he pecado contra el cielo y contra ti; ya no merezco llamarme hijo tuyo”.
Pero el padre dijo a sus criados:
“Sacad enseguida la mejor túnica y vestídsela; ponedle un anillo en la mano y sandalias en los pies; traed el ternero cebado y sacrificadlo; comamos y celebremos un banquete, porque este hijo mío estaba muerto y ha revivido; estaba perdido y lo hemos encontrado”.
Y empezaron a celebrar el banquete.
Su hijo mayor estaba en el campo. Cuando al volver se acercaba a la casa, oyó la música y la danza, y llamando a uno de los criados, le preguntó qué era aquello.
Este le contestó:
“Ha vuelto tu hermano; y tu padre ha sacrificado el ternero cebado, porque lo ha recobrado con salud”.
Él se indignó y no quería entrar, pero su padre salió e intentaba persuadirlo.
Entonces él respondió a su padre:
“Mira: en tantos años como te sirvo, sin desobedecer nunca una orden tuya, a mí nunca me has dado un cabrito para tener un banquete con mis amigos; en cambio, cuando ha venido ese hijo tuyo que se ha comido tus bienes con malas mujeres, le matas el ternero cebado”.
El padre le dijo:
“Hijo, tú estás siempre conmigo, y todo lo mío es tuyo; pero era preciso celebrar un banquete y alegrarse, porque este hermano tuyo estaba muerto y ha revivido; estaba perdido y lo hemos encontrado”».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

EVANGELIO (opción 2) Lc 15, 1-10
Habrá más alegría en el cielo por un solo pecador que se convierta
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, solían acercarse a Jesús todos los publicanos y los pecadores a escucharlo. Y los fariseos y los escribas murmuraban diciendo:
«Ese acoge a los pecadores y come con ellos».
Jesús les dijo esta parábola:
«¿Quién de vosotros que tiene cien ovejas y pierde una de ellas, no deja las noventa y nueve en el desierto y va tras la descarriada, hasta que la encuentra? Y, cuando la encuentra, se la carga sobre los hombros, muy contento; y, al llegar a casa, reúne a los amigos y a los vecinos, y les dice:
“¡Alegraos conmigo!, he encontrado la oveja que se me había perdido”.
Os digo que así también habrá más alegría en el cielo por un solo pecador que se convierta que por noventa y nueve justos que no necesitan convertirse.
O ¿qué mujer que tiene diez monedas, si se le pierde una, no enciende una lámpara y barre la casa y busca con cuidado, hasta que la encuentra? Y, cuando la encuentra, reúne a las amigas y a las vecinas y les dice:
“¡Alegraos conmigo!, he encontrado la moneda que se me había perdido”.
Os digo que la misma alegría tendrán los ángeles de Dios por un solo pecador que se convierta».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Del Papa Francisco
ÁNGELUS. Domingo, 15 de septiembre de 2019.
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
El Evangelio de hoy (Lc 15, 1-32) comienza con algunos que critican a Jesús, lo ven en compañía de publicanos y pecadores, y dicen con indignación: « Este acoge a los pecadores y come con ellos» (Lc 15, 2). Esta frase se revela, en realidad, como un anuncio maravilloso. Jesús acoge a los pecadores y come con ellos. Esto es lo que nos sucede, en cada misa, en cada iglesia: Jesús se alegra de acogernos en su mesa, donde se ofrece por nosotros. Esta es la frase que podríamos escribir en las puertas de nuestras iglesias: "Aquí Jesús acoge a los pecadores y los invita a su mesa". Y el Señor, respondiendo a los que le criticaban, cuenta tres parábolas, tres parábolas maravillosas, que muestran su predilección por los que se sienten lejos de él. Hoy sería bueno que cada uno de vosotros tomara el Evangelio, el Evangelio de Lucas, capítulo 15, y leyera las tres parábolas. Son maravillosas.
En la primera parábola dice: «¿Quién de vosotros que tiene cien ovejas y pierde una de ellas, no deja las noventa y nueve en el desierto, y va a buscar la que se perdió? (Lc 15, 4) ¿Quién de vosotros? Una persona de sentido común no lo hace: hace un par de cálculos y sacrifica una para mantener las noventa y nueve. Dios, en cambio, no se resigna. Él se preocupa precisamente por ti que todavía no conoces la belleza de su amor, tú que todavía no has aceptado a Jesús en el centro de tu vida, tú que no puedes vencer tu pecado, tú que quizás no crees en el amor debido a las cosas malas que han sucedido en tu vida. En la segunda parábola, tú eres esa pequeña moneda que el Señor no se resigna a perder y busca sin cesar: quiere decirte que eres precioso a sus ojos, que eres único. Nadie puede reemplazarte en el corazón de Dios. Tú tienes un lugar, eres tú, y nadie puede reemplazarte; y yo también, nadie puede reemplazarme en el corazón de Dios. Y en la tercera parábola Dios es el padre que espera el regreso del hijo pródigo: Dios nos espera siempre, no se cansa, no se desanima. Porque somos nosotros, cada uno de nosotros, ese hijo que se vuelve a abrazar, esa moneda encontrada, esa oveja acariciada y puesta sobre sus hombros. Él espera cada día que nos demos cuenta de su amor. Y tú dices: "¡Pero he hecho mal tantas cosas, han sido demasiadas!". No tengas miedo: Dios te ama, te ama tal como eres y sabe que sólo su amor puede cambiar tu vida.
Pero este amor infinito de Dios por nosotros pecadores, que es el corazón del Evangelio, puede ser rechazado. Es lo que hace el hijo mayor de la parábola. No entiende el amor en ese momento y tiene en mente más a un amo que a un padre. Es un riesgo también para nosotros: creer en un dios que es más riguroso que misericordioso, un dios que derrota al mal con el poder en vez de con el perdón. No es así, Dios salva con amor, no con fuerza; se propone, no se impone. Pero el hijo mayor, que no acepta la misericordia de su padre, se cierra, comete un error peor: se cree justo, cree que ha sido traicionado y juzga todo sobre la base de su opinión de la justicia. Así que se enfada con su hermano y reprocha a su padre: «y ahora que ha venido ese hijo tuyo, has matado para él el novillo cebado» (Lc 15, 30). Ese hijo tuyo: no dice mi hermano, sino tu hijo. Se siente hijo único. También nosotros cometemos errores cuando creemos que tenemos razón, cuando pensamos que los malos son los otros. No nos creamos buenos, porque solos, sin la ayuda de Dios que es bueno, no sabemos cómo vencer al mal. Hoy no lo olvidéis, tomad el Evangelio y leed las tres parábolas de Lucas, capítulo 15. Os hará bien, será saludable para vosotros.
¿Cómo podemos derrotar el mal? Aceptando el perdón de Dios y el perdón de nuestros hermanos. Pasa cada vez que nos confesamos: allí recibimos el amor del Padre que vence nuestro pecado: desaparece, Dios se olvida de él. Dios, cuando perdona, pierde la memoria, olvida nuestros pecados, olvida. ¡Dios es tan bueno con nosotros! No como nosotros, que después de decir "no pasa nada", a la primera oportunidad recordamos con intereses el mal que nos han hecho. No, Dios borra el mal, nos renueva en nosotros y así renace en nosotros la alegría, no la tristeza, no la oscuridad en el corazón, no la sospecha, sino la alegría.
Hermanos y hermanas, ánimo, con Dios, ningún pecado tiene la última palabra. La Virgen, que desata los nudos de la vida, nos libera de la pretensión de creernos justos y nos hace sentir la necesidad de ir al Señor, que siempre nos espera para abrazarnos, para perdonarnos.

ÁNGELUS, Domingo 11 de septiembre de 2016.
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
La liturgia de hoy nos propone el capítulo 15 del Evangelio de Lucas, considerado el capítulo de la misericordia, que recoge tres parábolas con las cuales Jesús responde a las murmuraciones de los escribas y los fariseos. Los cuales critican su comportamiento y dicen: «Éste acoge a los pecadores y come con ellos» (Lc 15, 2). Con estas tres narraciones, Jesús quiere hacer entender que Dios Padre es el primero en tener una actitud acogedora y misericordiosa hacia los pecadores. Dios tiene esta actitud. En la primera parábola Dios es presentado como un pastor que deja las noventa y nueve ovejas para ir en busca de la que se ha perdido. En la segunda, es comparado con una mujer que ha perdido una moneda y la busca hasta que la encuentra. En la tercera parábola Dios es imaginado como un padre que acoge al hijo que se había alejado; la figura del padre desvela el corazón de Dios, de Dios misericordioso, manifestado en Jesús.
Un elemento común en estas parábolas es el expresado por los verbos que significan alegrarse juntos, celebrar. No se habla de estar de luto. El pastor llama a amigos y vecinos y les dice: «Alegraos conmigo, porque he hallado la oveja que se me había perdido» (Lc 15, 6); la mujer llama a las amigas y a las vecinas diciendo: «alegraos conmigo porque he hallado la dracma que había perdido» (Lc 15, 9); el padre dice al otro hijo: «convenía celebrar una fiesta y alegrarse, porque este hermano tuyo estaba muerto, y ha vuelto a la vida; estaba perdido, y ha sido hallado» (Lc 15, 32). En las dos primeras parábolas se pone el acento en la alegría tan incontenible como para tener que compartirla con «amigos y vecinos». En la tercera parábola se pone en la fiesta que nace del corazón del padre misericordioso y se expande a toda su casa. Esta fiesta de Dios para quienes vuelven a Él arrepentidos es más que nunca entonada en el Año jubilar que estamos viviendo, como dice el mismo término «Jubileo», es decir júbilo.
Con estas tres parábolas, Jesús nos presenta el verdadero rostro de Dios, un Padre con los brazos abiertos, que trata a los pecadores con ternura y compasión. La parábola que más conmueve –conmueve a todos–, porque manifiesta el infinito amor de Dios, es la del padre que estrecha, que abraza al hijo encontrado. Y lo que llama la atención no es tanto la triste historia de un joven que precipita en la degradación, sino sus palabras decisivas: «Me levantaré, iré a mi padre» (Lc 15, 18). El camino de vuelta a casa es el camino de la esperanza y de la vida nueva.
Dios espera siempre nuestro reanudar el viaje, nos espera con paciencia, nos ve cuando todavía estamos lejos, sale a nuestro encuentro, nos abraza, nos besa, nos perdona. ¡Así es Dios! ¡Así es nuestro Padre! Y su perdón borra el pasado y nos regenera en el amor. Olvida el pasado: ésta es la debilidad de Dios. Cuando nos abraza y nos perdona, pierde la memoria, ¡no tiene memoria! Olvida el pasado. Cuando nosotros pecadores nos convertimos y dejamos que nos encuentre Dios, no nos esperan reproches y asperezas, porque Dios salva, nos vuelve a acoger en casa con alegría y lo celebra. Jesús mismo en el Evangelio de hoy dice así: «habrá más alegría en el cielo por un solo pecador que se convierta que por noventa y nueve justos que no tengan necesidad de conversión» (Lc 15, 7). Y os hago una pregunta: ¿habéis pensado alguna vez que cada vez que nos acercamos a un confesionario hay alegría en el cielo? ¿Habéis pensado en esto? ¡Qué bonito!
Esto nos infunde una gran esperanza, porque no hay pecado en el cual hayamos caído y del cual, con la gracia de Dios, no podamos resurgir; no hay persona irrecuperable, ¡ninguno es irrecuperable! Porque Dios no deja nunca de querer nuestro bien, ¡incluso cuando pecamos!
Que la Virgen María, refugio de los pecadores, haga surgir en nuestros corazones la confianza que se encendió en el corazón del hijo pródigo: «Me levantaré, iré a mi padre y le diré: Padre, pequé contra el cielo y contra ti» (Lc 15, 18).
Por este camino, nosotros podemos dar alegría a Dios, y su alegría puede convertirse en su fiesta y la nuestra.
ÁNGELUS, Domingo, 15 de septiembre de 2013
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
En la liturgia de hoy se lee el capítulo 15 del Evangelio de Lucas, que contiene las tres parábolas de la misericordia: la de la oveja perdida (Lc 15, 4), la de la moneda extraviada (Lc 15, 8) y después la más larga de las parábolas, típica de san Lucas, la del padre y los dos hijos, el hijo "pródigo" y el hijo que se cree "justo", que se cree santo (Lc 15, 11). Estas tres parábolas hablan de la alegría de Dios. Dios es alegre. Interesante esto: ¡Dios es alegre! ¿Y cuál es la alegría de Dios? La alegría de Dios es perdonar, ¡la alegría de Dios es perdonar! Es la alegría de un pastor que reencuentra su oveja; la alegría de una mujer que halla su moneda; es la alegría de un padre que vuelve a acoger en casa al hijo que se había perdido, que estaba como muerto y ha vuelto a la vida, ha vuelto a casa. ¡Aquí está todo el Evangelio! ¡Aquí! ¡Aquí está todo el Evangelio, está todo el cristianismo! Pero mirad que no es sentimiento, no es "buenismo". Al contrario, la misericordia es la verdadera fuerza que puede salvar al hombre y al mundo del "cáncer" que es el pecado, el mal moral, el mal espiritual. Sólo el amor llena los vacíos, las vorágines negativas que el mal abre en el corazón y en la historia. Sólo el amor puede hacer esto, y ésta es la alegría de Dios.
Jesús es todo misericordia, Jesús es todo amor: es Dios hecho hombre. Cada uno de nosotros, cada uno de nosotros, es esa oveja perdida, esa moneda perdida; cada uno de nosotros es ese hijo que ha derrochado la propia libertad siguiendo ídolos falsos, espejismos de felicidad, y ha perdido todo. Pero Dios no nos olvida, el Padre no nos abandona nunca. Es un padre paciente, nos espera siempre. Respeta nuestra libertad, pero permanece siempre fiel. Y cuando volvemos a Él, nos acoge como a hijos, en su casa, porque jamás deja, ni siquiera por un momento, de esperarnos, con amor. Y su corazón está en fiesta por cada hijo que regresa. Está en fiesta porque es alegría. Dios tiene esta alegría, cuando uno de nosotros pecadores va a Él y pide su perdón.
¿El peligro cuál es? Es que presumamos de ser justos, y juzguemos a los demás. Juzguemos también a Dios, porque pensamos que debería castigar a los pecadores, condenarles a muerte, en lugar de perdonar. Entonces sí que nos arriesgamos a permanecer fuera de la casa del Padre. Como ese hermano mayor de la parábola, que en vez de estar contento porque su hermano ha vuelto, se enfada con el padre que le ha acogido y hace fiesta. Si en nuestro corazón no hay la misericordia, la alegría del perdón, no estamos en comunión con Dios, aunque observemos todos los preceptos, porque es el amor lo que salva, no la sola práctica de los preceptos. Es el amor a Dios y al prójimo lo que da cumplimiento a todos los mandamientos. Y éste es el amor de Dios, su alegría: perdonar. ¡Nos espera siempre! Tal vez alguno en su corazón tiene algo grave: "Pero he hecho esto, he hecho aquello...". ¡Él te espera! Él es padre: ¡siempre nos espera!
Si nosotros vivimos según la ley "ojo por ojo, diente por diente", nunca salimos de la espiral del mal. El Maligno es listo, y nos hace creer que con nuestra justicia humana podemos salvarnos y salvar el mundo. En realidad sólo la justicia de Dios nos puede salvar. Y la justicia de Dios se ha revelado en la Cruz: la Cruz es el juicio de Dios sobre todos nosotros y sobre este mundo. ¿Pero cómo nos juzga Dios? ¡Dando la vida por nosotros! He aquí el acto supremo de justicia que ha vencido de una vez por todas al Príncipe de este mundo; y este acto supremo de justicia es precisamente también el acto supremo de misericordia. Jesús nos llama a todos a seguir este camino: "Sed misericordiosos, como vuestro Padre es misericordioso" (Lc 6, 36). Os pido algo, ahora. En silencio, todos, pensemos... que cada uno piense en una persona con la que no estamos bien, con la que estamos enfadados, a la que no queremos. Pensemos en esa persona y en silencio, en este momento, oremos por esta persona y seamos misericordiosos con esta persona. [Silencio de oración]
Invoquemos ahora la intercesión de María, Madre de la Misericordia.
Homilía en santa Marta, Jueves 7 de noviembre de 2013
A Dios no le gusta perder
Dios es un padre "a quien no le gusta perder". Él busca con alegría y "con una debilidad de amor" a las personas descarriadas, suscitando a menudo "la música de la hipocresía murmuradora" de los biempensantes. Es la clave de lectura sugerida por el Papa Francisco en la homilía de la misa celebrada el jueves 7 de noviembre, al comentar el pasaje evangélico de Lucas (Lc 15, 1-10).
El Pontífice inició su meditación describiendo precisamente la actitud de los escribas y fariseos que estudiaban a Jesús "para entender lo que hacía", escandalizándose por las cosas que Él hacía. Y escandalizados murmuraban en su contra: ¡pero este hombre es un peligro!". Escribas y fariseos, explicó el Papa, creían que Jesús fuese un peligro. He aquí por qué el Viernes santo "pidieron la crucifixión". Y antes aún -recordó- llegaron a decir: "Es mejor que uno muera por el pueblo y que no vengan los romanos. ¡Este hombre es un peligro!".
Lo que más les escandalizaba, prosiguió el Papa Francisco, era ver a Jesús "que comía y cenaba con los publicanos y los pecadores, que hablaba con ellos". De aquí la reacción: "Este hombre ofende a Dios, desacraliza el ministerio del profeta que es un ministerio sagrado"; y lo "desacraliza para acercarse a esta gente".
"La música de esta murmuración -y Jesús lo dirá- es la música de la hipocresía", afirmó el Papa, evidenciando cómo en el pasaje evangélico Jesús responde a "esta hipocresía murmuradora con una parábola". Cuatro veces -precisó- en este breve pasaje aparece "la palabra gozo y alegría: tres veces, gozo; y una, alegría".
En la práctica, dijo el Obispo de Roma, es como si Jesús dijese: "Vosotros os escandalizáis pero mi Padre se alegra". Es precisamente éste "el mensaje más profundo: la alegría de Dios". Un Dios "a quien no le gusta perder. Y por ello, para no perder, sale de sí y va, busca". Es "un Dios que busca a todos aquellos que están lejos de Él". Precisamente "como el pastor" de la parábola relatada por san Lucas, "que va a buscar a la oveja perdida" y, aunque esté oscuro, deja a las demás ovejas "en un lugar seguro y va a buscar" la que falta, "va a buscarla".
Nuestro Dios, por lo tanto, es "un Dios que busca. Su trabajo -destacó el Pontífice- es buscar: ir a buscar para volver a invitar". En esencia, Dios "no tolera perder a uno de los suyos. Esta será también la oración de Jesús el Jueves santo: Padre, que no se pierda ninguno de los que me has dado".
Es, por tanto, "un Dios que camina para buscarte -reafirmó el Papa Francisco- y tiene una cierta debilidad de amor hacia aquellos que se han alejado más, que se han perdido. Va y les busca. Y, ¿cómo busca? Busca hasta el final. Como este pastor que va por la oscuridad buscando hasta que encuentra" a la oveja perdida; o "como la mujer cuando pierde la moneda: enciende la lámpara, barre la casa y busca delicadamente". Dios busca porque piensa: "A este hijo no lo pierdo, ¡es mío! ¡No quiero perderlo!". Él "es nuestro Padre. Nos busca siempre".
Pero el "trabajo" de Dios no es sólo buscar y encontrar. Porque, afirmó el Pontífice, "cuando nos encuentra, cuando encuentra a la oveja", no la deja a un lado ni pregunta: "¿Por qué te has perdido? ¿Por qué te has caído?". Más bien la vuelve a llevar al sitio justo. "Podemos decir forzando la palabra" -explicó- que Dios "reacomoda: acomoda otra vez" a la persona que ha buscado y encontrado; de forma que, cuando el pastor la vuelve a llevar en medio de las demás, la oveja perdida no tenga que escuchar "tú estás perdida", sino: "tú eres una de nosotras". Ella "tiene todo el derecho", así como la moneda que encontró la mujer está "en la billetera con las demás monedas. No hay diferencia". Porque "un Dios que busca es un Dios que reacomoda a todos aquellos que ha encontrado. Y cuando hace esto es un Dios que goza. La alegría de Dios no es la muerte del pecador sino su vida: es la alegría".
La parábola del Evangelio muestra, por lo tanto, "cuán lejos estaba del corazón de Dios esta gente que murmuraba contra Jesús. No lo conocían. Creían -dijo el Pontífice- que ser religiosos, ser personas buenas", fuese "marchar siempre bien, incluso educados y muchas veces aparentar ser educados. Esta es la hipocresía de la murmuración. En cambio, la alegría del Padre Dios es la del amor. Nos ama". Incluso si decimos: "Pero yo soy un pecador, hice esto, esto y esto...". Dios nos responde: "Yo te amo igualmente y voy a buscarte y te llevo a casa", concluyó el Papa.
Homilía en santa Marta, Jueves 6 de noviembre de 2014
Dios va siempre al límite
No puede haber cristianos, y menos aún pastores, que permanezcan tristemente inertes "a mitad de camino" por miedo a "ensuciarse las manos" o ser criticados o comprometer la propia carrera eclesiástica. Es Dios quien muestra el estilo de comportamiento justo, bajando personalmente "al campo de acción" y marchando "siempre adelante, hasta el final, siempre en salida" con un solo objetivo: "¡no perder a nadie!", sobre todo a los alejados, con ternura. Es esta la indicación práctica sugerida por el Papa durante la misa del jueves 6 de noviembre, en la Casa Santa Marta.
El Papa Francisco se centró en el pasaje evangélico de san Lucas (Lc 15, 1-10): "Se acercaron a Jesús -explicó- todos los publicanos y pecadores para escucharlo; y los fariseos y los escribas murmuraban, se escandalizaban: "Este acoge a los pecadores y come con ellos"". Por lo demás, destacó el Papa, el gesto de Jesús "era un auténtico escándalo en ese tiempo, para esa gente, ¿no?".
Sin embargo, dijo el Papa, "Jesús vino para buscar a los que se habían alejado del Señor". Y lo explica bien al relatar "dos parábolas: la del pastor -que Jesús retoma en el Evangelio de Juan-, para explicar que Él es el buen Pastor; y la de la mujer" que tenía diez monedas y perdió una. Analizando las parábolas narradas por san Lucas, el Pontífice destacó cómo las palabras "que más se repiten en este pasaje son "perder", "buscar", "encontrar", "alegría", "fiesta"".
Precisamente estos términos usados por Jesús, continuó el Papa, "nos hacen ver cómo es el corazón de Dios: Dios no se detiene, Dios no llega hasta un cierto punto" y basta. No, "Dios va hasta el final, al límite: siempre va hasta el límite; no se queda a mitad de camino de la salvación, como si dijera: "lo hice todo, el problema es de ellos"".
En realidad, dijo el Pontífice volviendo al pasaje del Evangelio, "Jesús es muy generoso porque casi compara con Dios a estos fariseos y escribas que criticaban". Lo hace iniciando la parábola con estas palabras: "¿Quién de vosotros no hace esto?". Tal vez, es verdad, todos lo hacían, quedándose, sin embargo, "a mitad de camino". En efecto, indicó el Papa, "a ellos les interesaba que el balance de las ganancias y las pérdidas fuera más o menos favorable" y con este modo de ver las cosas "se iban tranquilos".
Este, sin embargo, es un razonamiento que "no entra en la mente de Dios, ¡eh!", afirmó el Santo Padre. Porque "Dios no es un hombre de negocios: Dios es Padre y va a salvar hasta el final, hasta el límite, hasta las últimas consecuencias".
Esto hace Dios, "va al límite siempre: Dios es Padre y el amor de Dios es esto". Este estilo de Dios nos dice "a nosotros pastores, a nosotros cristianos" cómo comportarnos. Y es verdaderamente "triste el pastor" que se queda "a mitad de camino, es triste". Y tal vez hace algo, pero dice que no puede hacer más. En efecto, destacó el Papa, "es triste el pastor que abre la puerta de la Iglesia y permanece allí esperando". Como "es triste el cristiano que no siente dentro, en su corazón, la necesidad de ir a contar a los demás que el Señor es bueno".
Hay mucha "perversión -dijo el Pontífice- en el corazón de los que se creen justos, como estos escribas, estos fariseos" de los que hoy habla san Lucas. "Ellos no quieren ensuciarse las manos con los pecadores".
Así, pues, "ser un pastor a mitad de camino es una derrota". En efecto, "un pastor debe tener el corazón de Dios" para "ir hasta el límite". Debe tener "el corazón de Jesús, que había recibido del Padre esa palabra: no perder a ninguno".
He aquí, entonces, que "el verdadero pastor, el verdadero cristiano tiene este celo dentro: ¡que ninguno se pierda!". Y "por eso no tiene miedo a ensuciarse las manos: ¡no tiene miedo! Va donde debe ir, arriesga su vida, arriesga su fama, arriesga perder su comodidad, su estatus, incluso perder en la carrera eclesiástica. ¡Pero es buen pastor!".
Y "también los cristianos deben ser así". Porque "es muy fácil conde nar a los demás, como hacían los publicanos, pero no es cristiano, ¡eh! Por ello el Santo Padre dijo con fuerza: "pastores a mitad de camino, ¡jamás! Cristianos a mitad de camino, ¡jamás!".
Y en este pasaje evangélico, insistió también el Papa, "se dice que esta gente se acercaba a Jesús". Pero "muchas veces se lee en el Evangelio que es Él quien va a buscar a la gente". Porque "el buen pastor, el buen cristiano sale, está siempre en salida: está en salida de sí mismo, está en salida hacia Dios, en la oración, en la adoración". Y "está en salida hacia los demás para llevar el mensaje de salvación".
Así, pues, "el buen pastor y el buen cristiano encarnan la ternura". En efecto, "el cristiano y el pastor a mitad de camino tal vez conoce la diversión, la tranquilidad, una cierta paz". Pero "la alegría" es otra cosa, "la alegría que hay en el paraíso, la alegría que viene de Dios, la alegría que viene precisamente del corazón de padre que va a salvar". El Papa Francisco indicó expresamente la belleza de "no tener miedo de que se hable mal de nosotros" cuando vamos "al encuentro de hermanos y hermanas que están lejos del Señor". Y concluyó pidiendo al Señor "esta gracia para cada uno de nosotros y para nuestra Madre, la santa Iglesia".

Del Papa Benedicto XVI
ÁNGELUS, Domingo 16 de septiembre de 2007
Queridos hermanos y hermanas: 
Hoy la liturgia vuelve a proponer a nuestra meditación el capítulo XV del evangelio de san Lucas, una de las páginas más elevadas y conmovedoras de toda la sagrada Escritura. Es hermoso pensar que en todo el mundo, dondequiera que la comunidad cristiana se reúne para celebrar la Eucaristía dominical, resuena hoy esta buena nueva de verdad y de salvación: Dios es amor misericordioso. El evangelista san Lucas recogió en este capítulo tres parábolas sobre la misericordia divina: las dos más breves, que tiene en común con san Mateo y san Marcos, son las de la oveja perdida y la moneda perdida; la tercera, larga, articulada y sólo recogida por él, es la célebre parábola del Padre misericordioso, llamada habitualmente del "hijo pródigo". 
En esta página evangélica nos parece escuchar la voz de Jesús, que nos revela el rostro del Padre suyo y Padre nuestro. En el fondo, vino al mundo para hablarnos del Padre, para dárnoslo a conocer a nosotros, hijos perdidos, y para suscitar en nuestro corazón la alegría de pertenecerle, la esperanza de ser perdonados y de recuperar nuestra plena dignidad, y el deseo de habitar para siempre en su casa, que es también nuestra casa. 
Jesús narró las tres parábolas de la misericordia porque los fariseos y los escribas hablaban mal de él, al ver que permitía que los pecadores se le acercaran, e incluso comía con ellos (cf. Lc 15, 1-3). Entonces explicó, con su lenguaje típico, que Dios no quiere que se pierda ni siquiera uno de sus hijos y que su corazón rebosa de alegría cuando un pecador se convierte. 
La verdadera religión consiste, por tanto, en entrar en sintonía con este Corazón "rico en misericordia", que nos pide amar a todos, incluso a los lejanos y a los enemigos, imitando al Padre celestial, que respeta la libertad de cada uno y atrae a todos hacia sí con la fuerza invencible de su fidelidad. El camino que Jesús muestra a los que quieren ser sus discípulos es este: "No juzguéis..., no condenéis...; perdonad y seréis perdonados...; dad y se os dará; sed misericordiosos, como vuestro Padre es misericordioso" (Lc 6, 36-38). En estas palabras encontramos indicaciones muy concretas para nuestro comportamiento diario de creyentes. 
En nuestro tiempo, la humanidad necesita que se proclame y testimonie con vigor la misericordia de Dios. El amado Juan Pablo II, que fue un gran apóstol de la Misericordia divina, intuyó de modo profético esta urgencia pastoral. Dedicó al Padre misericordioso su segunda encíclica, y durante todo su pontificado se hizo misionero del amor de Dios a todos los pueblos. Después de los trágicos acontecimientos del 11 de septiembre de 2001, que oscurecieron el alba del tercer milenio, invitó a los cristianos y a los hombres de buena voluntad a creer que la misericordia de Dios es más fuerte que cualquier mal, y que sólo en la cruz de Cristo se encuentra la salvación del mundo. 
La Virgen María, Madre de la Misericordia, a quien ayer contemplamos como Virgen de los Dolores al pie de la cruz, nos obtenga el don de confiar siempre en el amor de Dios y nos ayude a ser misericordiosos como nuestro Padre que está en los cielos.
Jesús de Nazaret I, La parábola de los dos hermanos
(el hijo pródigo y el hijo que se quedó en casa) y del padre bueno (Lc 15, 11-32)
Esta parábola de Jesús, quizás la más bella, se conoce también como la "parábola del hijo pródigo". En ella, la figura del hijo pródigo está tan admirablemente descrita, y su desenlace -en lo bueno y en lo malo- nos toca de tal manera el corazón que aparece sin duda como el verdadero centro de la narración. Pero la parábola tiene en realidad tres protagonistas. Joachim Jeremías y otros autores han propuesto llamarla mejor la "parábola del padre bueno", ya que él sería el auténtico centro del texto.
Pierre Grelot, en cambio, destaca como elemento esencial la figura del segundo hijo y opina -a mi modo de ver con razón- que lo más acertado sería llamarla "parábola de los dos hermanos". Esto se desprende ante todo de la situación que ha dado lugar a la parábola y que Lucas presenta del siguiente modo (Lc 15, 1 s): "Se acercaban a Jesús los publicanos y pecadores a escucharle. Y los fariseos y los letrados murmuraban entre ellos: "Ese acoge a los pecadores y come con ellos"". Aquí encontramos dos grupos, dos "hermanos": los publicanos y los pecadores; los fariseos y los letrados. Jesús les responde con tres parábolas: la de la oveja descarriada y las noventa y nueve que se quedan en casa; después la de la dracma perdida; y, finalmente, comienza de nuevo y dice: "Un hombre tenía dos hijos" (Lc 15, 11). Así pues, se trata de los dos.
El Señor retoma así una tradición que viene de muy atrás: la temática de los dos hermanos recorre todo el Antiguo Testamento, comenzando por Caín y Abel, pasando por Ismael e Isaac, hasta llegar a Esaú y Jacob, y se refleja otra vez, de modo diferente, en el comportamiento de los once hijos de Jacob con José. En los casos de elección domina una sorprendente dialéctica entre los dos hermanos, que en el Antiguo Testamento queda como una cuestión abierta. Jesús retoma esta temática en un nuevo momento de la actuación histórica de Dios y le da una nueva orientación. En el Evangelio de Mateo aparece un texto sobre dos hermanos similar al de nuestra parábola: uno asegura querer cumplir la voluntad del padre, pero no lo hace; el segundo se niega a la petición del padre, pero luego se arrepiente y cumple su voluntad (cf. Mt 21, 28-32). También aquí se trata de la relación entre pecadores y fariseos; también aquí el texto se convierte en una llamada a dar un nuevo sí al Dios que nos llama.
Pero tratemos ahora de seguir la parábola paso a paso. Aparece ante todo la figura del hijo pródigo, pero ya inmediatamente, desde el principio, vemos también la magnanimidad del padre. Accede al deseo del hijo menor de recibir su parte de la herencia y reparte la heredad. Da libertad. Puede imaginarse lo que el hijo menor hará, pero le deja seguir su camino.
El hijo se marcha "a un país lejano". Los Padres han visto aquí sobre todo el alejamiento interior del mundo del padre -del mundo de Dios-, la ruptura interna de la relación, la magnitud de la separación de lo que es propio y de lo que es auténtico. El hijo derrocha su herencia. Sólo quiere disfrutar. Quiere aprovechar la vida al máximo, tener lo que considera una "vida en plenitud". No desea someterse ya a ningún precepto, a ninguna autoridad: busca la libertad radical; quiere vivir sólo para sí mismo, sin ninguna exigencia. Disfruta de la vida; se siente totalmente autónomo.
¿Acaso nos es difícil ver precisamente en eso el espíritu de la rebelión moderna contra Dios y contra la Ley de Dios? ¿El abandono de todo lo que hasta ahora era el fundamento básico, así como la búsqueda de una libertad sin límites? La palabra griega usada en la parábola para designar la herencia derrochada significa en el lenguaje de los filósofos griegos "sustancia", naturaleza. El hijo perdido desperdicia su "naturaleza", se desperdicia a sí mismo.
Al final ha gastado todo. El que era totalmente libre ahora se convierte realmente en siervo, en un cuidador de cerdos que sería feliz si pudiera llenar su estómago con lo que ellos comían. El hombre que entiende la libertad como puro arbitrio, el simple hacer lo que quiere e ir donde se le antoja, vive en la mentira, pues por su propia naturaleza forma parte de una reciprocidad, su libertad es una libertad que debe compartir con los otros; su misma esencia lleva consigo disciplina y normas; identificarse íntimamente con ellas, eso sería libertad. Así, una falsa autonomía conduce a la esclavitud: la historia, entretanto, nos lo ha demostrado de sobra. Para los judíos, el cerdo es un animal impuro; ser cuidador de cerdos es, por tanto, la expresión de la máxima alienación y el mayor empobrecimiento del hombre. El que era totalmente libre se convierte en un esclavo miserable.
Al llegar a este punto se produce la "vuelta atrás". El hijo pródigo se da cuenta de que está perdido. Comprende que en su casa era un hombre libre y que los esclavos de su padre son más libres que él, que había creído ser absolutamente libre. "Entonces recapacitó", dice el Evangelio (Lc 15, 17), y esta expresión, como ocurrió con la del país lejano, repropone la reflexión filosófica de los Padres: viviendo lejos de casa, de sus orígenes, dicen, este hombre se había alejado también de sí mismo, vivía alejado de la verdad de su existencia.
Su retorno, su "conversión", consiste en que reconoce todo esto, que se ve a sí mismo alienado; se da cuenta de que se ha ido realmente "a un país lejano" y que ahora vuelve hacia sí mismo. Pero en sí mismo encuentra la indicación del camino hacia el padre, hacia la verdadera libertad de "hijo". Las palabras que prepara para cuando llegue a casa nos permiten apreciar la dimensión de la peregrinación interior que ahora emprende. Son la expresión de una existencia en camino que ahora -a través de todos los desiertos- vuelve "a casa", a sí mismo y al padre. Camina hacia la verdad de su existencia y, por tanto, "a casa". Con esta interpretación "existencial" del regreso a casa, los Padres nos explican al mismo tiempo lo que es la "conversión", el sufrimiento y la purificación interna que implica, y podemos decir tranquilamente que, con ello, han entendido correctamente la esencia de la parábola y nos ayudan a reconocer su actualidad.
El padre ve al hijo "cuando todavía estaba lejos", sale a su encuentro. Escucha su confesión y reconoce en ella el camino interior que ha recorrido, ve que ha encontrado el camino hacia la verdadera libertad. Así, ni siquiera le deja terminar, lo abraza y lo besa, y manda preparar un gran banquete. Reina la alegría porque el hijo "que estaba muerto" cuando se marchó de la casa paterna con su fortuna, ahora ha vuelto a la vida, ha revivido; "estaba perdido y lo hemos encontrado" (Lc 15, 32).
Los Padres han puesto todo su amor en la interpretación de esta escena. El hijo perdido se convierte para ellos en la imagen del hombre, el "Adán" que todos somos, ese Adán al que Dios le sale al encuentro y le recibe de nuevo en su casa. En la parábola, el padre encarga a los criados que traigan enseguida "el mejor traje". Para los Padres, ese "mejor traje" es una alusión al vestido de la gracia, que tenía originalmente el hombre y que después perdió con el pecado. Ahora, este "mejor traje" se le da de nuevo, es el vestido del hijo. En la fiesta que se prepara, ellos ven una imagen de la fiesta de la fe, la Eucaristía festiva, en la que se anticipa el banquete eterno. En el texto griego se dice literalmente que el hermano mayor, al regresar a casa, oye "sinfonías y coros": para los Padres es una imagen de la sinfonía de la fe, que hace del ser cristiano una alegría y una fiesta.
Pero lo esencial del texto no está ciertamente en estos detalles; lo esencial es, sin duda, la figura del padre. ¿Resulta comprensible? ¿Puede y debe actuar así un padre? Pierre Grelot ha hecho notar que Jesús se expresa aquí tomando como punto de referencia el Antiguo Testamento: la imagen original de esta visión de Dios Padre se encuentra en Oseas (cf. Os 11, 1-9). Allí se habla de la elección de Israel y de su traición: "Cuanto más los llamaba, más se alejaban de mí; sacrificaban a los Baales, e incensaban a los ídolos" (Os 11, 2). Dios ve también cómo este pueblo es destruido, cómo la espada hace estragos en sus ciudades (cf. Os 11, 6). Y entonces el profeta describe bien lo que sucede en nuestra parábola: "¿Cómo te trataré, Efrain? ¿Acaso puedo abandonarte, Israel?... Se me revuelve el corazón, se me conmueven las entrañas. No cederé al ardor de mi cólera, no volveré a destruir a Efrain; que soy Dios y no hombre, santo en medio de ti..." (Os 11, 8 ss). Puesto que Dios es Dios, el Santo, actúa como ningún hombre podría actuar. Dios tiene un corazón, y ese corazón se revuelve, por así decirlo, contra sí mismo: aquí encontramos de nuevo, tanto en el profeta como en el Evangelio, la palabra sobre la "compasión" expresada con la imagen del seno materno. El corazón de Dios transforma la ira y cambia el castigo por el perdón.
Para el cristiano surge aquí la pregunta: ¿dónde está aquí el puesto de Jesucristo? En la parábola sólo aparece el Padre. ¿Falta quizás la cristología en esta parábola? Agustín ha intentado introducir la cristología, descubriéndola donde se dice que el padre abrazó al hijo (cf. Lc 15, 20). "El brazo del Padre es el Hijo", dice. Y habría podido remitirse a Ireneo, que describió al Hijo y al Espíritu como las dos manos del Padre. "El brazo del Padre es el Hijo": cuando pone su brazo sobre nuestro hombro, como "su yugo suave", no se trata de un peso que nos carga, sino del gesto de aceptación lleno de amor. El "yugo" de este brazo no es un peso que debamos soportar, sino el regalo del amor que nos sostiene y nos convierte en hijos. Se trata de una explicación muy sugestiva, pero es más bien una "alegoría" que va claramente más allá del texto.
Grelot ha encontrado una interpretación más conforme al texto y que va más a fondo. Hace notar que, con esta parábola, con la actitud del padre de la parábola, como con las anteriores, Jesús justifica su bondad para con los pecadores, su acogida de los pecadores. Con su actitud, Jesús "se convierte en revelación viviente de quien El llamaba su Padre". La consideración del contexto histórico de la parábola, pues, delinea de por sí una "cristología implícita". "Su pasión y su resurrección han acentuado aún más este aspecto: ¿cómo ha mostrado Dios su amor misericordioso por los pecadores? Haciendo morir a Cristo por nosotros "cuando todavía éramos pecadores" (Rm 5, 8). Jesús no puede entrar en el marco narrativo de su parábola porque vive identificándose con el Padre celestial, recalcando la actitud del Padre en la suya. Cristo resucitado está hoy, en este punto, en la misma situación que Jesús de Nazaret durante el tiempo de su ministerio en la tierra" (pp. 228 s). De hecho, Jesús justifica en esta parábola su comportamiento remitiéndolo al del Padre, identificándolo con El. Así, precisamente a través de la figura del Padre, Cristo aparece en el centro de esta parábola como la realización concreta del obrar paterno.
Y he aquí que aparece el hermano mayor. Regresa a casa tras el trabajo en el campo, oye la fiesta en la casa, se entera del motivo y se enoja. Simplemente, no considera justo que a ese haragán, que ha malgastado con prostitutas toda su fortuna -el patrimonio del padre-, se le obsequie con una fiesta espléndida sin pasar antes por una prueba, sin un tiempo de penitencia. Esto se contrapone a su idea de la justicia: una vida de trabajo como la suya parece insignificante frente al sucio pasado del otro. La amargura lo invade: "En tantos años como te sirvo, sin desobedecer nunca una orden tuya, a mí nunca me has dado un cabrito para tener un banquete con mis amigos" (Lc 15, 29). El padre trata también de complacerle y le habla con benevolencia. El hermano mayor no sabe de los avatares y andaduras más recónditos del otro, del camino que le llevó tan lejos, de su caída y de su reencuentro consigo mismo. Sólo ve la injusticia. Y ahí se demuestra que él, en silencio, también había soñado con una libertad sin límites, que había un rescoldo interior de amargura en su obediencia, y que no conoce la gracia que supone estar en casa, la auténtica libertad que tiene como hijo. "Hijo, tú estás siempre conmigo -le dice el padre-, y todo lo mío es tuyo" (Lc 15, 31). Con eso le explica la grandeza de ser hijo. Son las mismas palabras con las que Jesús describe su relación con el Padre en la oración sacerdotal: "Todo lo mío es tuyo, y todo lo tuyo es mío" (Jn 17, 10).
La parábola se interrumpe aquí; nada nos dice de la reacción del hermano mayor. Tampoco podría hacerlo, pues en este punto la parábola pasa directamente a la situación real que tiene ante sus ojos: con estas palabras del padre, Jesús habla al corazón de los fariseos y de los letrados que murmuraban y se indignaban de su bondad con los pecadores (cf. Lc 15, 2). Ahora se ve totalmente claro que Jesús identifica su bondad hacia los pecadores con la bondad del padre de la parábola, y que todas las palabras que se ponen en boca del padre las dice El mismo a las personas piadosas. La parábola no narra algo remoto, sino lo que ocurre aquí y ahora a través de El. Trata de conquistar el corazón de sus adversarios. Les pide entrar y participar en el júbilo de este momento de vuelta a casa y de reconciliación. Estas palabras permanecen en el Evangelio como una invitación implorante. Pablo recoge esta invitación cuando escribe: "En nombre de Cristo os pedimos que os reconciliéis con Dios" (2Co 5, 20).
Así, la parábola se sitúa, por un lado, de un modo muy realista en el punto histórico en que Jesús la relata; pero al mismo tiempo va más allá de ese momento histórico, pues la invitación suplicante de Dios continúa. Pero, ¿a quién se dirige ahora? Los Padres, muy en general, han vinculado el tema de los dos hermanos con la relación entre judíos y paganos. No les ha resultado muy difícil ver en el hijo disoluto, alejado de Dios y de sí mismo, un reflejo del mundo del paganismo, al que Jesús abre las puertas a la comunión de Dios en la gracia y para el que celebra ahora la fiesta de su amor. Así, tampoco resulta difícil reconocer en el hermano que se había quedado en casa al pueblo de Israel, que con razón podría decir: "En tantos años como te sirvo, sin desobedecer nunca una orden tuya". Precisamente en la fidelidad a la Torá se manifiesta la fidelidad de Israel y también su imagen de Dios.
Esta aplicación a los judíos no es injustificada si se la considera tal como la encontramos en el texto: como una delicada tentativa de Dios de persuadir a Israel, tentativa que está totalmente en las manos de Dios. Tengamos en cuenta que, ciertamente, el padre de la parábola no sólo no pone en duda la fidelidad del hijo mayor, sino que confirma expresamente su posición como hijo suyo: "Hijo, tú estás siempre conmigo, y todo lo mío es tuyo". Sería más bien una interpretación errónea si se quisiera transformar esto en una condena de los judíos, algo de lo no se habla para nada en el texto.
Si bien es lícito considerar la aplicación de la parábola de los dos hermanos a Israel y los paganos como una dimensión implícita en el texto, quedan todavía otras dimensiones. Las palabras de Jesús sobre el hermano mayor no aluden sólo a Israel (también los pecadores que se acercaban a El eran judíos), sino al peligro específico de los piadosos, de los que estaban limpios, "en regle" con Dios como lo expresa Grelot (p. 229). Grelot subraya así la breve frase: "Sin desobedecer nunca una orden tuya". Para ellos, Dios es sobre todo Ley; se ven en relación jurídica con Dios y, bajo este aspecto, a la par con Él. Pero Dios es algo más: han de convertirse del Dios-Ley al Dios más grande, al Dios del amor. Entonces no abandonarán su obediencia, pero ésta brotará de fuentes más profundas y será, por ello, mayor, más sincera y pura, pero sobre todo también más humilde.
Añadamos ahora otro punto de vista que ya hemos mencionado antes: en la amargura frente a la bondad de Dios se aprecia una amargura interior por la obediencia prestada que muestra los límites de esa sumisión: en su interior, también les habría gustado escapar hacia la gran libertad. Se aprecia una envidia solapada de lo que el otro se ha podido permitir. No han recorrido el camino que ha purificado al hermano menor y le ha hecho comprender lo que significa realmente la libertad, lo que significa ser hijo. Ven su libertad como una servidumbre y no están maduros para ser verdaderamente hijos. También ellos necesitan todavía un camino; pueden encontrarlo sencillamente si le dan la razón a Dios, si aceptan la fiesta de Dios como si fuera también la suya. Así, en la parábola, el Padre nos habla a través de Cristo a los que nos hemos quedado en casa, para que también nosotros nos convirtamos verdaderamente y estemos contentos de nuestra fe.

San Juan Pablo II, Audiencia General 8 de septiembre de 1999
"Creo en el perdón de los pecados"
1. Continuando la profundización en el sentido de la conversión, hoy trataremos de comprender también el significado del perdón de los pecados que nos ofrece Cristo a través de la mediación sacramental de la Iglesia.
Y en primer lugar queremos tomar conciencia del mensaje bíblico sobre el perdón de Dios: mensaje ampliamente desarrollado en el Antiguo Testamento y que encuentra su plenitud en el Nuevo. La Iglesia ha insertado este contenido de su fe en el Credo mismo, donde precisamente profesa el perdón de los pecados: "Credo in remissionem peccatorum".
2. El Antiguo Testamento nos habla, de diversas maneras, del perdón de los pecados. A este respecto, encontramos una terminología muy variada: el pecado es "perdonado", "borrado" (Ex 32, 32), "expiado" (Is 6, 7) "echado a la espalda" (Is 38, 17). Por ejemplo, el Salmo 103 dice: "Él perdona todas tus culpas, y cura todas tus enfermedades" (v. 3); "no nos trata como merecen nuestros pecados; ni nos paga según nuestras culpas" (v. 10); "como un padre siente ternura por sus hijos, siente el Señor ternura por sus fieles" (v. 13).
Esta disponibilidad de Dios al perdón no atenúa la responsabilidad del hombre ni la necesidad de su esfuerzo por convertirse. Pero, como subraya el profeta Ezequiel, si el malvado se aparta de su conducta perversa, su pecado ya no será recordado, y vivirá (cf. Ez 18, espec. vv. 1922).
3. En el Nuevo Testamento, el perdón de Dios se manifiesta a través de las palabras y los gestos de Jesús. Al perdonar los pecados, Jesús muestra el rostro de Dios Padre misericordioso. Tomando posición contra algunas tendencies religiosas caracterizadas por una hipócrita severidad con respecto a los pecadores, explica en varias ocasiones cuán grande y profunda es la misericordia del Padre para con todos sus hijos (cf. Catecismo de la Iglesia católica, n. 1443).
Culmen de esta revelación puede considerarse la sublime parábola normalmente llamada "del hijo pródigo", pero que debería denominarse "del padre misericordioso" (cf. Lc 15, 11-32). Aquí la actitud de Dios se presenta con rasgos realmente conmovedores frente a los criterios y las expectativas del hombre. Para comprender en toda su originalidad el comportamiento del padre en la parábola es preciso tener presente que, en el marco social del tiempo de Jesús, era normal que los hijos trabajaran en la casa paterna, como los dos hijos del dueño de la viña, de la que nos habla en otra parábola (cf. Mt 21, 28-31). Este régimen debía durar hasta la muerte del padre, y sólo entonces los hijos se repartían los bienes que les correspondían como herencia. En cambio, en nuestro caso, el padre accede a la petición del hijo menor, que quiere su parte de patrimonio, y reparte sus haberes entre él y su hijo mayor (cf. Lc 15, 12).
4. La decisión del hijo menor de emanciparse, dilapidando los bienes recibidos del padre y viviendo disolutamente (cf. Lc 15, 13), es una descarada renuncia a la comunión familiar. El hecho de alejarse de la casa paterna indica claramente el sentido del pecado, con su carácter de ingrata rebelión y sus consecuencias, incluso humanamente, penosas. Frente a la opción de este hijo, la racionalidad humana, expresada de alguna manera en la protesta del hermano mayor, hubiera aconsejado la severidad de un castigo adecuado, antes que una plena reintegración en la familia.
El padre por el contrario, al verlo llegar de lejos, le sale al encuentro, conmovido (o, mejor, "conmoviéndose en sus entrañas", como dice literalmente el texto griego: Lc 15, 20), lo abraza con amor y quiere que todos lo festejen.
La misericordia paterna resalta aún más cuando este padre, con un tierno reproche al hermano mayor, que reivindica sus propios derechos (cf.Lc 15, 29   ss), lo invita al banquete común de alegría. La pura legalidad queda superada por el generoso y gratuito amor paterno, que va más allá de la justicia humana e invita a ambos hermanos a sentarse una vez más a la mesa del padre.
El perdón no consiste sólo en recibir nuevamente en el hogar paterno al hijo que se había alejado, sino también en acogerlo en la alegría de una comunión restablecida, llevándolo de la muerte a la vida. Por eso, "convenía celebrar una fiesta y alegrarse" (Lc 15, 32).
El Padre misericordioso que abraza al hijo perdido es el icono definitivo del Dios revelado por Cristo. Dios es, ante todo y sobre todo, Padre. Es el Dios Padre que extiende sus brazos misericordiosos para bendecir, esperando siempre sin forzar nunca a ninguno de sus hijos. Sus manos sostienen, estrechan, dan fuerza y al mismo tiempo confortan, consuelan y acarician. Son manos de padre y madre a la vez.
El padre misericordioso de la parábola contiene en sí, trascendiéndolos, todos los rasgos de la paternidad y la maternidad. Al arrojarse al cuello de su hijo, muestra la actitud de una madre que acaricia al hijo y lo rodea con su calor. A la luz de esta revelación del rostro y del corazón de Dios Padre se comprenden las palabras de Jesús, desconcertantes para la lógica humana: "Habrá más alegria en el cielo por un solo pecador que se convierta que por noventa y nueve justos que no tienen necesidad de conversión" (Lc 15, 7). Así mismo: "Se produce alegría ante los ángeles de Dios por un solo pecador que se convierte" (Lc 15, 10).
5. El misterio de la "vuelta a casa" expresa admirablemente el encuentro entre el Padre y la humanidad, entre la misericordia y la miseria, en un círculo de amor que no atañe sólo al hijo perdido, sino que se extiende a todos.
La invitación al banquete, que el padre dirige al hijo mayor, implica la exhortación del Padre celestial a todos los miembros de la familia humana para que también ellos sean misericordiosos.
La experiencia de la paternidad de Dios conlleva la aceptación de la "fraternidad", precisamente porque Dios es Padre de todos, incluso del hermano que yerra.
Al narrar la parábola, Jesús no solamente habla del Padre; también deja vislumbrar sus propios sentimientos. Frente a los fariseos y escribas, que lo acusan de recibir a los pecadores y comer con ellos (cf.Lc 15, 2), demuestra que prefiere a los pecadores y publicanos que se acercan a él con confianza (cf. Lc 15, 1) y así revela que fue enviado a manifestar la misericordia del Padre. Es la misericordia que resplandece sobre todo en el Gólgota, en el sacrificio que Cristo ofrece para el perdón de los pecados (cf. Mt 26, 28).

DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica.
Ciclo C. Vigésimo cuarto domingo del Tiempo Ordinario.
Dios de la misericordia
210 Tras el pecado de Israel, que se apartó de Dios para adorar al becerro de oro (cf. Ex 32), Dios escucha la intercesión de Moisés y acepta marchar en medio de un pueblo infiel, manifestando así su amor (cf. Ex 33, 12-17). A Moisés, que pide ver su gloria, Dios le responde: "Yo haré pasar ante tu vista toda mi bondad (belleza) y pronunciaré delante de ti el nombre de YHWH" (Ex 33, 18-19). Y el Señor pasa delante de Moisés, y proclama: "YHWH, YHWH, Dios misericordioso y clemente, tardo a la cólera y rico en amor y fidelidad" (Ex 34, 5-6). Moisés confiesa entonces que el Señor es un Dios que perdona (cf. Ex 34, 9).
211 El Nombre Divino "Yo soy" o "El es" expresa la fidelidad de Dios que, a pesar de la infidelidad del pecado de los hombres y del castigo que merece, "mantiene su amor por mil generaciones" (Ex 34, 7). Dios revela que es "rico en misericordia" (Ef 2, 4) llegando hasta dar su propio Hijo. Jesús, dando su vida para librarnos del pecado, revelará que él mismo lleva el Nombre divino: "Cuando hayáis levantado al Hijo del hombre, entonces sabréis que Yo soy" (Jn 8, 28)
Dios tiene la iniciativa de la Redención
604 Al entregar a su Hijo por nuestros pecados, Dios manifiesta que su designio sobre nosotros es un designio de amor benevolente que precede a todo mérito por nuestra parte: "En esto consiste el amor: no en que nosotros hayamos amado a Dios, sino en que El nos amó y nos envió a su Hijo como propiciación por nuestros pecados" (1Jn 4, 10; cf. 1Jn 4, 19). "La prueba de que Dios nos ama es que Cristo, siendo nosotros todavía pecadores, murió por nosotros" (Rm 5, 8).
605 Jesús ha recordado al final de la parábola de la oveja perdida que este amor es sin excepción: "De la misma manera, no es voluntad de vuestro Padre celestial que se pierda uno de estos pequeños" (Mt 18, 14). Afirma "dar su vida en rescate por muchos" (Mt 20, 28); este último término no es restrictivo: opone el conjunto de la humanidad a la única persona del Redentor que se entrega para salvarla (cf. Rm 5, 18-19). La Iglesia, siguiendo a los Apóstoles (cf. 2 Co 5, 15; 1 Jn 2, 2), enseña que Cristo ha muerto por todos los hombres sin excepción: "no hay, ni hubo ni habrá hombre alguno por quien no haya padecido Cristo" (Cc Quiercy en el año 853: DS 624).
LA MISERICORDIA Y EL PECADO
1846 El Evangelio es la revelación, en Jesucristo, de la misericordia de Dios con los pecadores (cf Lc 15). El ángel anuncia a José: "Tú le pondrás por nombre Jesús, porque él salvará a su pueblo de sus pecados" (Mt 1, 21). Y en la institución de la Eucaristía, sacramento de la redención, Jesús dice: "Esta es mi sangre de la alianza, que va a ser derramada por muchos para remisión de los pecados" (Mt 26, 28).
1847 "Dios nos ha creado sin nosotros, pero no ha querido salvarnos sin nosotros" (S. Agustín, serm. 169, 11, 13). La acogida de su misericordia exige de nosotros la confesión de nuestras faltas. "Si decimos: `no tenemos pecado', nos engañamos y la verdad no está en nosotros. Si reconocemos nuestros pecados, fiel y justo es él para perdonarnos los pecados y purificarnos de toda injusticia" (1Jn 1, 8-9).
1848 Como afirma S. Pablo, "donde abundó el pecado, sobreabundó la gracia" (Rm 5, 20). Pero para hacer su obra, la gracia debe descubrir el pecado para convertir nuestro corazón y conferirnos "la justicia para vida eterna por Jesucristo nuestro Señor" (Rm 5, 20-21). Como un médico que descubre la herida antes de curarla, Dios, mediante su palabra y su espíritu, proyecta una luz viva sobre el pecado:
"La conversión exige la convicción del pecado, y éste, siendo una verificación de la acción del Espíritu de la verdad en la intimidad del hombre, llega a ser al mismo tiempo el nuevo comienzo de la dádiva de la gracia y del amor: "Recibid el Espíritu Santo". Así, pues, en este "convencer en lo referente al pecado" descubrimos una "doble dádiva": el don de la verdad de la conciencia y el don de la certeza de la redención. El Espíritu de la verdad es el Paráclito" (DeV 31).
El hijo pródigo, ejemplo de conversión
1439 El proceso de la conversión y de la penitencia fue descrito maravillosamente por Jesús en la parábola llamada "del hijo pródigo", cuyo centro es "el Padre misericordioso" (Lc 15, 11-24): la fascinación de una libertad ilusoria, el abandono de la casa paterna; la miseria extrema en que el hijo se encuentra tras haber dilapidado su fortuna; la humillación profunda de verse obligado a apacentar cerdos, y peor aún, la de desear alimentarse de las algarrobas que comían los cerdos; la reflexión sobre los bienes perdidos; el arrepentimiento y la decisión de declararse culpable ante su padre, el camino del retorno; la acogida generosa del padre; la alegría del padre: todos estos son rasgos propios del proceso de conversión. El mejor vestido, el anillo y el banquete de fiesta son símbolos de esta vida nueva, pura, digna, llena de alegría que es la vida del hombre que vuelve a Dios y al seno de su familia, que es la Iglesia. Sólo el corazón de Cristo que conoce las profundidades del amor de su Padre, pudo revelarnos el abismo de su misericordia de una manera tan llena de simplicidad y de belleza.
1700 La dignidad de la persona humana está enraizada en su creación a imagen y semejanza de Dios (artículo 1); se realiza en su vocación a la bienaventuranza divina (artículo 2). Corresponde al ser humano llegar libremente a esta realización (artículo 3). Por sus actos deliberados (artículo 4), la persona humana se conforma, o no se conforma, al bien prometido por Dios y atestiguado por la conciencia moral (artículo 5). Los seres humanos se edifican a sí mismos y crecen desde el interior: hacen de toda su vida sensible y espiritual un material de su crecimiento (artículo 6). Con la ayuda de la gracia crecen en la virtud (artículo 7), evitan el pecado y, si lo cometen, recurren como el hijo pródigo (cf. Lc 15, 11-31) a la misericordia de nuestro Padre del cielo (artículo 8). Así acceden a la perfección de la caridad.
Perdona nuestras ofensas
2839 Con una audaz confianza hemos empezado a orar a nuestro Padre. Suplicándole que su Nombre sea santificado, le hemos pedido que seamos cada vez más santificados. Pero, aun revestidos de la vestidura bautismal, no dejamos de pecar, de separarnos de Dios. Ahora, en esta nueva petición, nos volvemos a él, como el hijo pródigo (cf Lc 15, 11-32) y nos reconocemos pecadores ante él como el publicano (cf Lc 18, 13). Nuestra petición empieza con una "confesión" en la que afirmamos al mismo tiempo nuestra miseria y su Misericordia. Nuestra esperanza es firme porque, en su Hijo, "tenemos la redención, la remisión de nuestros pecados" (Col 1, 14; Ef 1, 7). El signo eficaz e indudable de su perdón lo encontramos en los sacramentos de su Iglesia (cf Mt 26, 28; Jn 20, 23).
El hijo pródigo y el Sacramento de la Penitencia
1465 Cuando celebra el sacramento de la Penitencia, el sacerdote ejerce el ministerio del Buen Pastor que busca la oveja perdida, el del Buen Samaritano que cura las heridas, del Padre que espera al Hijo pródigo y lo acoge a su vuelta, del justo Juez que no hace acepción de personas y cuyo juicio es a la vez justo y misericordioso. En una palabra, el sacerdote es el signo y el instrumento del amor misericordioso de Dios con el pecador.
1481 La liturgia bizantina posee expresiones diversas de absolución, en forma deprecativa, que expresan admirablemente el misterio del perdón: "Que el Dios que por el profeta Natán perdonó a David cuando confesó sus pecados, y a Pedro cuando lloró amargamente y a la pecadora cuando derramó lágrimas sobre sus pies, y al publicano, y al pródigo, que este mismo Dios, por medio de mí, pecador, os perdone en esta vida y en la otra y que os haga comparecer sin condenaros en su temible tribunal. El que es bendito por los siglos de los siglos. Amén."

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Año C
Oremos a Dios Padre, que en Cristo nos muestra todo su amor y paciencia.
Para que la Iglesia sea signo de la misericordia de Dios en medio del mundo, por su espíritu de perdón, de reconciliación. Roguemos al Señor.
Para que nuestra sociedad, que fomenta el pecado y se muestra intransigente con los culpables, reconozca sus culpas. Roguemos al Señor.
Para que los que están perdidos por el pecado experimenten la gracia de ser hallados por la misericordia de Dios. Roguemos al Señor.
Para que aprendamos que el amor de Dios es más fuerte que todas nuestras culpas. Roguemos al Señor.
Señor, Dios nuestro, escucha nuestras súplicas, ten compasión de nosotros, concédenos el gozo de tu perdón. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Sé propicio a nuestras súplicas, Señor, y recibe complacido estas ofrendas de tus siervos, para que la oblación que ofrece cada uno en honor de tu nombre sirva para la salvación de todos. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has oblatiónes famulórum tuórum benígnus assúme, ut, quod sínguli ad honórem tui nóminis obtulérunt, cunctis profíciat ad salútem. Per Christum.

PREFACIO IV DOMINICAL DEL TIEMPO ORDINARIO
LAS ETAPAS DE LA HISTORIA DE LA SALVACIÓN EN CRISTO
En verdad es justo y necesario, es nuestro deber y salvación darte gracias siempre y en todo lugar, Señor, Padre santo, Dios todopoderoso y eterno, por Cristo, Señor nuestro.
Porque él, con su nacimiento, renovó la vieja condición humana; con su pasión destruyó nuestro pecado; al resucitar de entre los muertos, nos aseguró el acceso a la vida eterna; y en su ascensión al Padre, abrió las puertas del cielo.
Por eso, con los ángeles y la multitud de los santos, te cantamos el himno de alabanza diciendo sin cesar:

Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: per Christum Dóminum nostrum.
Ipse enim nascéndo vetustátem hóminum renovávit, patiéndo delévit nostra peccáta, aetérnae vitae áditum praestitit a mórtuis resurgéndo, ad te Patrem ascendéndo caeléstes iánuas reserávit.
Et ídeo, cum Angelórum atque Sanctórum turba, hymnum laudis tibi cánimus, sine fine dicéntes:

Santo, Santo, Santo…

PLEGARIA EUCARÍSTICA I o CANON ROMANO

Antífona de la comunión Sal 35, 8

Qué inapreciable es tu misericordia, oh, Dios. Los humanos se acogen a la sombra de tus alas.
Quam pretiósa est misericórdia tua, Deus! Fílii hóminum sub umbra alárum tuárum confúgient.
O bien: Cf. 1 Cor 10, 16
El cáliz de la bendición que bendecimos es comunión de la Sangre de Cristo; el pan que partimos es participación en el Cuerpo del Señor.
Calix benedictiónis, cui benedícimus, communicátio Sánguinis Christi est; et panis, quem frángimus, participátio Córporis Dómini est.

Oración después de la comunión
Te pedimos, Señor, que el fruto del don del cielo penetre nuestros cuerpos y almas, para que sea su efecto, y no nuestro sentimiento, el que prevalezca siempre en nosotros. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Mentes nostras et córpora possídeat, quaesumus, Dómine, doni caeléstis operátio, ut non noster sensus in nobis, sed eius praevéniat semper efféctus. Per Christum.

MARTIROLOGIO

Elogios del 12 de septiembre
E
l dulcísimo Nombre de la Bienaventurada Virgen María
. En este día se recuerda el inefable amor de la Madre de Dios hacia su santísimo Hijo, y su figura de Madre del Redentor es propuesta a los fieles para su veneración.
2. En Bitinia, actual Turquía, san Autónomo, obispo y mártir. (c. s. III)
3. En Alejandría de Egipto, santos Crónidas, Leoncio y Serapión, mártires en tiempo del emperador Maximino, que fueron arrojados al mar, según se dice, por confesar a Cristo. (s. III)
4*. En Emly, en la provincia de Momonia, en Hibernia, hoy Irlanda, san Albeo, obispo, peregrino y predicador del Evangelio a muchas gentes. (c. 528)
5. En Anderlech, en la región de Brabante, actual Francia, cerca de Bruselas, san Guido o Guy, primer sacristán en la iglesia de Nuestra Señora de Laken, en Bélgica, que fue dadivoso con los pobres, peregrinó a los santos lugares por siete años y, vuelto a su tierra, murió piadosamente. (c. 1012)
6*. En Omura, en Japón, beatos Apolinar Franco, de la Orden de los Hermanos Menores, y Tomás Zumárraga, de la Orden de Predicadores, ambos presbíteros y mártires junto con cuatro compañeros*, todos los cuales primero fueron encarcelados por quienes odiaban su fe cristiana y luego quemados vivos. (1622)
*Sus nombres son: beatos Francisco de San Buenaventura y Pedro de Santa Clara, religiosos de la Orden de Hermanos Menores, Domingo Magoshichi y Mateo de Santo Tomás Chiwiato, religiosos de la Orden dominicana.
7*. En el litoral de Rochefort, en Francia, beato Pedro Sulpicio Cristóbal Faverge, hermano de las Escuelas Cristianas y mártir, que encarcelado durante la Revolución Francesa por ser religioso, prestó diligente ayuda a los compañeros de cautiverio hasta morir contagiado en su servicio. (1794)
8. En Seúl, en Corea, san Francisco Ch‘oe Kyong-hwam, mártir, que era catequista, y al no querer renegar de su fe cristiana ante el prefecto, padeció la cárcel, donde se dedicó a la oración y a la catequesis hasta consumar su vida con el martirio. (1839)
- Beata Maria Luisa Prosperi (1799- Trevi 1847). Religiosa y mística italiana, abadesa de las Benedictinas de Trevi desde 1837 hasta su muerte.

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