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Domingo 4 diciembre 2022, II Domingo de Adviento, ciclo A.

domingo, 26 de junio de 2022

Domingo 31 julio 2022, XVIII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

SANTA MESSA PER L'ORDINAZIONE DI 9 NUOVI VESCOVI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Solennità dell'Epifania. Basilica di San Pietro, 6 gennaio 1982

1. La Chiesa, che oggi celebra l’Epifania del Signore, invita voi, venerati e cari fratelli, a ricevere dalle mani del Vescovo di Roma la consacrazione episcopale.

Siete venuti per questo giorno da diversi paesi: dal Ciad, dalla Lituania, dalla Romania, dal Ghana, dagli Stati Uniti d’America, dal Brasile, da Malta e dalla Terra Santa. Voi rappresentate in qualche modo la Chiesa universale, ma siete anche l’espressione di alcune Chiese locali. Ebbene, la voce delle Chiese dalle quali provenite, afferma che voi siete degni dell’eredità del ministero apostolico.

Con gratitudine accogliamo questa voce. Prima di imporre su di voi le mani, trasmettendo a ciascuno di voi lo Spirito Santo, permettete che ancora brevemente io mediti sulla vostra nuova vocazione alla luce del mistero liturgico del giorno.

2. La prima Epifania di Dio è tutto il mondo creato, e l’uomo nel mondo. Dovete essere testimoni di questa epifania.

Fin dall’inizio, il mondo visibile parlava all’uomo del suo invisibile e incircoscritto Creatore. E ne parla anche oggi.

L’uomo contemporaneo sa incomparabilmente molto di più sul mondo che in qualsiasi tempo precedente. Ne ha approfondito incomparabilmente meglio i segreti, ed ha svelato le risorse che esso nasconde in sé.

Tuttavia, di pari passo con ciò, “le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni” (Is 60,2), come proclama Isaia nella prima Lettura della Liturgia odierna.

Il mondo che non è l’epifania di Dio – il mondo che non parla all’uomo su Dio – non cessa di essere gigantesco, potente, ricco, ma contemporaneamente diventa minaccioso.

L’uomo abbraccia questo mondo col proprio pensiero, penetra i suoi segreti, strappa le sue risorse e in pari tempo questo mondo conquistato dimostra all’uomo la sua propria caducità e distruttibilità: “Polvere tu sei e in polvere ritornerai” (Gen 3,19).

Voi, cari fratelli, ricevete oggi il sacramento dell’episcopato per diventare i testimoni dell’epifania di Dio nel mondo.

3. Ricevete lo Spirito Santo in questo sacramento, affinché, mediante il vostro ministero, l’uomo nel mondo riconosca in sé una particolare epifania di Dio.

Soprattutto, l’epifania divina viene proclamata dalla solennità odierna: “Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2).

Nella notte del Natale del Signore i pastori sui campi di Betlemme hanno visto la luce e sono venuti per adorarlo.

Oggi vengono i Magi dall’oriente. Li guida una stella. Vengono e adorano. Chi adorano? Il Bambino. L’uomo Neo-nato. L’uomo che è una particolare epifania di Dio.

Essi hanno compiuto un lungo viaggio per trovarsi in questo luogo, al quale li ha condotti la stella.

Nel Bambino nato a Betlemme hanno riconosciuto l’ultimo Dono che il Padre Eterno fa all’uomo.

In questo Dono, l’uomo, nel mondo appare come una particolare epifania di Dio.

Lo era dall’inizio, creato a immagine e somiglianza di Dio. Egli sapeva che nessuna delle creature che lo circondavano nel mondo era a misura di lui. Nessuna, in realtà, è simile a lui. Egli solo, l’uomo, ha avuto in sé, fin dall’inizio, quella particolare somiglianza con Dio. Fu la sua immagine.

Questa somiglianza egli ha offuscato in sé col peccato. Ha deformato l’immagine. Ma non l’ha distrutta.

Sulle orme di questa somiglianza l’uomo camminava verso il Messia. Ha seguito la stella dei suoi Divini destini, così come quei Magi venuti dall’oriente. E così si svolge ulteriormente la storia.

Cristo è venuto, affinché l’uomo possa riconoscere in sé una particolare epifania di Dio.

Il vostro ministero episcopale, cari fratelli, deve aiutare in ciò l’uomo dei nostri tempi, tutti gli uomini ai quali siete mandati.

4. I Magi d’oriente “prostratisi lo adorarono..., aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt 2,2).

I doni sono una risposta al Dono.

In Cristo, nato nella notte di Betlemme, i Magi d’oriente riconoscono quel definitivo Dono, che l’Eterno Padre fa all’uomo. È il dono del Figlio: dono dell’Eterno Figlio; “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito...” (Gv 3,16).

Attraverso questo Dono, l’uomo riscopre e porta in sé l’epifania del Dio Vivente. L’Eterno Figlio ha dato agli uomini il “potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Ha dato questo potere come Fratello ai fratelli. Ha rivelato e continuamente rivela il Padre in coloro che il Padre “gli ha dato in eredità” (cf. Gv 17,24).

L’uomo che porta in sé l’epifania del Dio Vivente, vive una nuova vita. Egli sa che deve produrre frutti. Sa che al Dono deve rispondere con un dono.

Porta quindi oro, incenso e mirra.

In questo dono dell’uomo, che è una risposta al Dono dall’alto, è racchiuso il pieno significato della vita umana, e nello stesso tempo il preannunzio della chiamata alla gloria. In questa l’uomo e il mondo si riconfermano come l’epifania di Dio, che si estende oltre i limiti della temporalità e della distruttibilità.

Cari fratelli, che oggi ricevete la consacrazione episcopale, fate tutto ciò di cui siete capaci, affinché gli uomini, ai quali siete mandati, credano che essi sono epifania del Dio Vivente.

Fate tutto ciò che potete, perché essi rispondano con un dono al Dono: che portino oro, incenso e mirra.

Fate di tutto, perché il preannunzio della chiamata alla gloria cresca e si rafforzi nei cuori umani.

5. Il Vescovo di Roma – successore di san Pietro Apostolo – che compie oggi nei vostri confronti il ministero della consacrazione episcopale, implora oggi lo Spirito Santo: Spirito di Verità e Spirito di Amore, e lo chiede per voi insieme con tutta la Chiesa.

CALENDARIO

31 + XVIII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa
del Domingo (verde).
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical.
LECC.: vol. I (C).
- Ecl 1, 2; 2, 21-23.
¿Qué saca el hombre de todos los trabajos?
- Sal 89. R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
- Col 3, 1-5. 9-11. Buscad los bienes de allá arriba, donde está Cristo.
- Lc 12, 13-21. ¿De quién será lo que has preparado?

¿En qué tenemos puesta nuestra seguridad? ¿Qué pensamos que es la fuente de nuestra felicidad?: ¿el dinero, las propiedades, los placeres de este mundo, la fama, el poder…? Las lecturas de hoy nos responden a estas preguntas. «¿Qué saca el hombre de todos los trabajos?… ¡Vanidad de vanidades; todo es vanidad!». El Evangelio nos llama a no atesorar bienes de este mundo sino a hacernos ricos ante Dios: «Mirad: guardaos de toda clase de codicia. Pues, aunque uno ande sobrado, su vida no depende de sus bienes». En la misma línea la 2 lect. nos recuerda que, habiendo resucitado con Cristo, debemos buscar los bienes de arriba, donde está Cristo. Nos haremos ricos ante Dios compartiendo lo que tengamos con nuestros hermanos más pobres y necesitados. Y solo en Cristo, pan de vida, saciaremos nuestra hambre y nuestra sed (cf. ant. de la comunión).

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial.

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II.

Martirologio: elogs. del 1 de agosto, pág. 460.
CALENDARIOS: Bilbao, San Sebastián y Jesuitas: San Ignacio de Loyola, presbítero (S).

TEXTOS MISA

XVIII DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Antífona de entrada Sal 69, 2. 6
Dios mío, ven en mi auxilio; Señor, date prisa en socorrerme. Que tú eres mi auxilio y mi liberación. Señor, no tardes.
Deus, in adiutórium meum inténde; Dómine, ad adiuvándum me festína. Adiútor meus et liberátor meus es tu; Dómine, ne moréris.

Monición de entrada
Año C
En el día del Señor Resucitado nos encontramos reunidos en la casa del Señor para celebrar la eucaristía. Cristo está en medio de nosotros y nos llama a poner siempre nuestro corazón en las cosas de Dios para que nuestra vida sea expresión y testimonio de la verdadera ríqueza y de la vida nueva que solo él puede dar. Dispongámonos a esta celebración para participar activa y piadosamente.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula pueden usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Jesús, rico en misericordia: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Jesús, hecho pobre para enriquecernos a todos: Cristo, ten piedad.
R. Cristo, ten piedad.
- Jesús, herencia de los elegidos: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición de la aspersión del agua bendita.
Se dice Gloria.

Oración colecta
Tiende, Señor, a tus siervos y derrama tu bondad imperecedera sobre los que te suplican, para que renueves lo que creaste y conserves lo renovado en estos que te alaban como autor y como guía. Por nuestro Señor Jesucristo.
Adésto, Dómine, fámulis tuis, et perpétuam benignitátem largíre poscéntibus, ut his, qui te auctórem et gubernatórem gloriántur habére, et creáta restáures, et restauráta consérves. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XVIII Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C (Lec. I C).

PRIMERA LECTURA Ecl 1, 2; 2, 21-23
¿Qué saca el hombre de todos los trabajos?
Lectura del libro del Eclesiastés.

¡Vanidad de vanidades!, —dice Qohélet—. ¡Vanidad de vanidades; todo es vanidad!
Hay quien trabaja con sabiduría, ciencia y acierto, y tiene que dejarle su porción a uno que no ha trabajado. También esto es vanidad y grave dolencia.
Entonces, ¿qué saca el hombre de todos los trabajos y preocupaciones que lo fatigan bajo el sol?
De día su tarea es sufrir y penar; de noche no descansa su mente. También esto es vanidad.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 89, 3-4. 5-6. 12-13. 14 y 17 (R.: 1bc)
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Tú reduces el hombre a polvo,
diciendo: «Retornad, hijos de Adán».
Mil años en tu presencia son un ayer que pasó;
una vela nocturna.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Si tú los retiras
son como un sueño,

como hierba que se renueva
que florece y se renueva por la mañana,
y por la tarde la siegan y se seca.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Enséñanos a calcular nuestros años,
para que adquiramos un corazón sensato.
Vuélvete, Señor, ¿hasta cuando?
Ten compasión de tus siervos.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

V. Por la mañana sácianos de tu misericordia,
y toda nuestra vida será alegría y júbilo.
Baje a nosotros la bondad del Señor
y haga prósperas las obras de nuestras manos.
Sí, haga prósperas las obras de nuestras manos.
R. Señor, tú has sido nuestro refugio de generación en generación.
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne in generatiónem.

SEGUNDA LECTURA Col 3, 1-5. 9-11
Buscad los bienes de allá arriba, donde está Cristo
Lectura de la carta del apóstol san Pablo a los Colosenses.

Hermanos:
Si habéis resucitado con Cristo, buscad los bienes de allá arriba, donde Cristo está sentado a la derecha de Dios; aspirad a los bienes de arriba, no a los de la tierra.
Porque habéis muerto; y vuestra vida está con Cristo escondida en Dios. Cuando aparezca Cristo, vida vuestra, entonces también vosotros apareceréis gloriosos, juntamente con él.
En consecuencia, dad muerte a todo lo terreno que hay en vosotros: la fornicación, la impureza, la pasión, la codicia y la avaricia, que es una idolatría.
¡No os mintáis unos a otros!: os habéis despojado del hombre viejo, con sus obras, y os habéis revestido de la nueva condición que, mediante el conocimiento, se va renovando a imagen de su Creador, donde no hay griego y judío, circunciso e incircunciso, bárbaro, escita, esclavo y libre, sino Cristo, que lo es todo, y en todos.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya Mt 5, 3
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Bienaventurados los pobres en el espíritu, porque de ellos es el reino de los cielos. R.
Beáti páuperes spíritu, quoniam ipsórum est regnum cælórum.

EVANGELIO Lc 12, 13-21
¿De quién será lo que has preparado?
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, dijo uno de entre la gente a Jesús:
«Maestro, dije a mi hermano que reparta conmigo la herencia».
Él le dijo:
«Hombre, ¿quién me ha constituido juez o árbitro entre vosotros?».
Y les dijo:
«Mirad: guardaos de toda clase de codicia. Pues, aunque uno ande sobrado, su vida no depende de sus bienes».
Y les propuso una parábola:
«Las tierras de un hombre rico produjeron una gran cosecha. Y empezó a echar cálculos, diciéndose:
“¿Qué haré? No tengo donde almacenar la cosecha”. Y se dijo:
“Haré lo siguiente: derribaré los graneros y construiré otros más grandes, y almacenaré allí todo el trigo y mis bienes. Y entonces me diré a mí mismo: alma mía, tienes bienes almacenados para muchos años; descansa, come, bebe, banquetea alegremente”.
Pero Dios le dijo:
“Necio, esta noche te van a reclamar el alma, y ¿de quién será lo que has preparado?”.
Así es el que atesora para SÍ y no es rico ante Dios».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Francisco
ÁNGELUS. Domingo, 4 de agosto de 2019
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
El Evangelio de hoy (cf. Lucas 12, 13-21) se abre con la escena de un hombre que se levanta en medio de la multitud y pide a Jesús que resuelva una cuestión jurídica sobre la herencia de la familia. Pero Él en su respuesta no aborda la pregunta, y nos exhorta a alejarnos de la codicia, es decir, de la avaricia de poseer. Para disuadir a sus oyentes de esta frenética búsqueda de riquezas, Jesús cuenta la parábola del rico necio, que cree que es feliz porque ha tenido la buena fortuna de un año excepcional y se siente seguro de los bienes que ha acumulado. Sería hermoso que lo leyerais hoy; está en el capítulo doce de San Lucas, versículo 13. Es una hermosa parábola que nos enseña mucho. La historia cobra vida cuando surge el contraste entre lo que el hombre rico planea para sí mismo y lo que Dios le plantea.
El rico pone ante su alma, es decir, ante sí mismo, tres consideraciones: los muchos bienes acumulados, los muchos años que estos bienes parecen asegurarle y, en tercer lugar, la tranquilidad y el bienestar desenfrenado (cf. v. 19). Pero la palabra que Dios le dirige anula estos proyectos. En lugar de los «muchos años», Dios indica la inmediatez de «esta noche; esta noche te reclamarán el alma»; en lugar de «disfrutar de la vida», le presenta la «restitución de la vida; tú darás la vida a Dios», con el consiguiente juicio. La realidad de los muchos bienes acumulados, en la que el rico tenía que basar todo, está cubierta por el sarcasmo de la pregunta: «Las cosas que preparaste, ¿para quién serán?» (v.20). Pensemos en las luchas por la herencia; muchas luchas familiares. Y mucha gente, todos conocemos algunas historias, que en la hora de la muerte comienzan a llegar: sobrinos, los nietos vienen a ver: «Pero, ¿qué me toca a mí? Y se lo llevan todo. Es en esta contraposición donde se justifica el apelativo de «necio» —porque piensa en cosas que cree concretas pero que son una fantasía— con el que Dios se dirige a este hombre. Es necio porque en la práctica ha negado a Dios, no ha contado con Él.
La conclusión de la parábola, formulada por el evangelista, es de una eficacia singular: «Así es el que atesora riquezas para sí, y no se enriquece en orden a Dios» (v. 21). Es una advertencia que revela el horizonte hacia el que todos estamos llamados a mirar. Los bienes materiales son necesarios —¡son bienes!—, pero son un medio para vivir honestamente y compartir con los más necesitados. Hoy Jesús nos invita a considerar que las riquezas pueden encadenar el corazón y distraerlo del verdadero tesoro que está en el cielo. San Pablo nos lo recuerda también en la segunda lectura de hoy que dice: «Buscad las cosas de arriba... Aspirad a las cosas de arriba, no a las de la tierra» (Colosenses 3, 1-2). Esto ―se entiende― no significa alejarse de la realidad, sino buscar las cosas que tienen un verdadero valor: la justicia, la solidaridad, la acogida, la fraternidad, la paz, todo lo que constituye la verdadera dignidad del hombre. Se trata de tender hacia una vida vivida no en el estilo mundano, sino en el estilo evangélico: amar a Dios con todo nuestro ser, y amar al prójimo como Jesús lo amó, es decir, en el servicio y en el don de sí mismo. La codicia de bienes, el deseo de tener bienes, no satisface al corazón, al contrario, causa más hambre. La codicia es como esos caramelos buenos: tomas uno y dices: «¡Ah, qué bien!», y luego tomas el otro; y uno tira del otro. Así es la avaricia: nunca estás satisfecho. ¡Tened cuidado! El amor así comprendido y vivido es la fuente de la verdadera felicidad, mientras que la búsqueda ilimitada de bienes materiales y riquezas es a menudo fuente de inquietud, de adversidad, de prevaricaciones, de guerra. Tantas guerras comienzan con la codicia.
Que la Virgen María nos ayude a no dejarnos fascinar por las seguridades que pasan, sino a ser cada día testigos creíbles de los valores eternos del Evangelio.

Homilía en santa Marta, Lunes 23 de octubre de 2017
La idolatría del dinero
El Evangelio de hoy (Lc 12, 13-21) propone la parábola del hombre rico y cuyo dinero es su dios, y nos lleva a pensar en lo vano que es apoyarse en los bienes terrenos, cuando el verdadero tesoro es el trato con el Señor.
Ante la abundancia de su cosecha, ese hombre no se detiene: piensa en ampliar sus almacenes y, en su fantasía, en alargar su vida. O sea, le lleva a adquirir más bienes, hasta la náusea, no conociendo saciedad alguna. Entra en ese movimiento del consumismo exasperado.
Cuando el hombre se vuelve esclavo del dinero es Dios quien pone límite a ese apegamiento al dinero. Y no es una fábula que Jesús inventa: es la realidad. ¡Es la realidad de hoy! La realidad de hoy. Tantos hombres que viven para adorar al dinero, para hacer del dinero su propio dios. Tantas personas que solo viven por eso, y la vida no tiene sentido. Así será el que amasa riquezas para sí -dice el Señor- y no es rico ante Dios.
Recuerdo un episodio sucedido hace años en otra diócesis, cuando un rico empresario, aun sabiendo que estaba gravemente enfermo, compró obstinadamente una villa sin pensar que en breve tendría que presentarse ante Dios. Y hoy también existen esas personas hambrientas de dinero y de bienes terrenos, gente que tiene muchísimo, ante niños famélicos que no tienen medicinas, que no tienen educación, que están abandonados: se trata de una idolatría que mata, que hace sacrificios humanos.
Esa idolatría hace morir de hambre a mucha gente. Pensemos solo en un caso: en los 200 mil niños rohingya de los campos de prófugos. Allí hay 800 mil personas, y 200 mil son niños. Apenas tienen para comer, desnutridos, sin medicinas. También hoy pasa esto. No es algo que el Señor dice de aquellos tiempos: no. ¡Hoy! Y nuestra oración debe ser fuerte: Señor, por favor, toca el corazón de esas personas que adoran al dios dinero. Y toca también mi corazón para que yo no caiga en eso, para que yo sepa ver.
Otra consecuencia es la guerra, también la familiar. Todos sabemos los que pasa cuando está en juego una herencia: las familias se dividen y acaban odiándose. El Señor subraya con suavidad, al final: …y no es rico ante Dios. Ese es el único camino: la riqueza, pero en Dios. Y no es un desprecio al dinero, no. Es la avaricia, como dice Él: la codicia, vivir apegados al dios dinero.
Por todo eso, nuestra oración debe ser fuerte, buscando en Dios el sólido fundamento de nuestra existencia.
Homilía en santa Marta, Lunes 19 de octubre de 2015
Cuánto y cómo
La codicia es una idolatría que se debe combatir con la capacidad de compartir, de donar y de donarse a los demás. El tema espinoso de la relación del hombre con la riqueza ocupó el centro de la meditación del Papa Francisco durante la misa que celebró en Santa Marta el lunes 19 de octubre por la mañana.
Partiendo del pasaje evangélico de san Lucas (Lc 12, 13-21) que habla del hombre rico preocupado por acumular las ganancias de sus cosechas, el Pontífice destacó cómo Jesús insiste contra el apego a las riquezas y no contra las riquezas en sí mismas: Dios, en efecto, es rico -Él mismo se presenta como rico en misericordia, rico de muchos dones-, pero lo que Jesús condena es precisamente el apego a las riquezas. Por lo demás, lo dice claramente, es muy difícil que un rico, es decir un hombre apegado a las riquezas, entre en el reino de los cielos.
Un concepto, continuó el Papa, que se recuerda de un modo aún más fuerte: No podéis servir a dos señores. En este caso Jesús, destacó el Papa Francisco, no pone en contraposición a Dios y al diablo, sino a Dios y las riquezas, porque lo opuesto de servir a Dios es servir a las riquezas, trabajar para las riquezas, para tener más, para estar seguros. ¿Qué sucede en este caso? Que las riquezas se convierten en una seguridad y la religión en una especie de agencia de seguros: “Yo me aseguro con Dios aquí y me aseguro con las riquezas allí”. Pero Jesús es claro: Esto no puede ser.
Al respecto el Pontífice se refirió también al pasaje evangélico del joven bueno que conmovió a Jesús, el joven rico que se marchó triste porque no quería dejarlo todo para darlo a los pobres. El apego a las riquezas es una idolatría, comentó el Papa. Estamos, en efecto, ante dos dioses: Dios, el Dios vivo, el Dios viviente, y este dios de oro, en quien pongo mi seguridad. Y esto no es posible.
También el pasaje evangélico propuesto por la liturgia lleva a esto: dos hermanos que pelean por la herencia. Una circunstancia que experimentamos también hoy: pensemos, dijo el Papa Francisco, en cuántas familias conocemos que han peleado, que no se saludan y se odian por una herencia. Sucede que lo más importante no es el amor de la familia, el amor de los hijos, de los hermanos, de los padres, no: es el dinero. Y esto destruye. Todos, dijo con seguridad el Papa, conocemos al menos a una familia dividida de este modo.
Pero la codicia está también en la raíz de las guerras: sí, hay un ideal, pero detrás está el dinero: el dinero de los traficantes de armas, el dinero de los que sacan provecho de la guerra. Y Jesús es claro: Guardaos de toda clase de codicia: es peligroso. La codicia, en efecto, nos da esta seguridad que no es verdadera y hace, sí, que reces -tú puedes rezar, ir a la iglesia- pero también que tengas el corazón apegado, y al final se acaba mal.
Volviendo al ejemplo evangélico, el Pontífice trazó el perfil del hombre del que se habla: Se ve que era bueno, era un buen empresario. Su campo había dado una cosecha abundante, estaba siempre lleno de riquezas. Pero en lugar de pensar en compartirlas con sus empleados y sus familias, pensaba en el modo de acumularlas. Y buscaba acumular cada vez más. Así la sed de apego a las riquezas no acaba nunca. Si tienes el corazón apegado a la riqueza -cuando tienes muchos bienes-, cada vez quieres más. Y este es el dios de la persona que está apegada a las riquezas.
Por ello, explicó el Papa Francisco, Jesús invita a estar atentos y mantenerse alejados de todo tipo de codicia. Y, no por casualidad, cuando nos explica el camino de la salvación, las bienaventuranzas, la primera es la pobreza de espíritu, es decir “no os apeguéis a las riquezas”: bienaventurados los pobres de espíritu, los que no están apegados a los bienes. Tal vez tienen riquezas -dijo el Papa- pero para el servicio de los demás, para compartir, para ayudar a mucha gente a seguir adelante.
Alguno, añadió, podría preguntar: Pero, padre, ¿cómo se hace? ¿Cuál es la señal de que yo no cometo este pecado de idolatría, de estar apegado o apegada a las riquezas?. La respuesta es sencilla, y se encuentra también en el Evangelio: desde los primeros días de la Iglesia existe un signo: dad limosna. Pero no es suficiente. En efecto, si yo doy algo a los que pasan necesidad es un buen signo, pero también debo preguntarme: ¿Cuánto doy? ¿Doy lo que me sobra?. En ese caso no es un buen signo. Es decir, tengo que darme cuenta si al donar me privo de algo que tal vez es necesario para mí. En esa circunstancia mi gesto significa que es más grande el amor a Dios que el apego a las riquezas.
Así, pues, sintetizó el Papa Francisco, la primera pregunta: “¿Doy?”; la segunda: ¿Cuánto doy?; la tercera: ¿Cómo doy?, ¿procedo como Jesús donando con la caricia del amor o como quien paga un impuesto?. Y entrando aún más en detalles preguntó: Cuando ayudas a una persona, ¿la miras a los ojos? ¿le tocas la mano?. No hay que olvidar, dijo el Pontífice, que a quien tenemos delante es la carne de Cristo, es tu hermano, tu hermana. Y tú en ese momento eres como el Padre que no deja faltar el alimento a los pájaros del cielo.
Por ello, concluyó, pidamos al Señor la gracia de estar libres de esta idolatría, del apego a las riquezas; pidámosle la gracia de mirarlo a Él, rico en amor y rico en generosidad, en misericordia; y también la gracia de ayudar a los demás con la práctica de la limosna, pero como lo hace Él. Alguien podría decir: Pero, padre, Él no se privó de nada.... En realidad, fue su respuesta, Jesucristo, al ser igual a Dios, se privó de esto, se abajó, se anonadó.
Homilía en santa Marta, Lunes 21 de octubre de 2013
El dinero sirve pero la codicia mata
El dinero sirve para realizar muchas obras buenas, para hacer progresar a la humanidad, pero cuando se transforma en la única razón de vida, destruye al hombre y sus vínculos con el mundo exterior. Es ésta la enseñanza que el Papa Francisco sacó del pasaje litúrgico del Evangelio de Lucas (Lc 12, 13-21) durante la misa celebrada el lunes 21 de octubre.
Al inicio de su homilía el Santo Padre recordó la figura del hombre que pide a Jesús que intime a su propio hermano para que reparta con él la herencia. Para el Pontífice, de hecho, el Señor nos habla a través de este personaje "de nuestra relación con las riquezas y con el dinero". Un tema que no es sólo de hace dos mil años, sino que se representa todavía hoy, todos los días. "Cuántas familias destruidas -comentó- hemos visto por problemas de dinero: ¡hermano contra hermano; padre contra hijos!". Porque la primera consecuencia del apego al dinero es la destrucción del individuo y de quien le está cerca. "Cuando una persona está apegada al dinero -explicó el Obispo de Roma- se destruye a sí misma, destruye a la familia".
Cierto, el dinero no hay que demonizarlo en sentido absoluto. "El dinero -precisó el Papa Francisco- sirve para llevar adelante muchas cosas buenas, muchos trabajos, para desarrollar la humanidad". Lo que hay que condenar, en cambio, es su uso distorsionado. Al respecto el Pontífice repitió las mismas palabras pronunciadas por Jesús en la parábola del "hombre rico" contenida en el Evangelio: "El que atesora para sí, no es rico ante Dios". De aquí la advertencia: "Guardaos de toda clase de codicia". Es ésta en efecto "la que hace daño en relación con el dinero"; es la tensión constante a tener cada vez más que "lleva a la idolatría" del dinero y acaba con destruir "la relación con los demás". Porque la codicia hace enfermar al hombre, conduciéndole al interior de un círculo vicioso en el que cada pensamiento está "en función del dinero".
Por lo demás, la característica más peligrosa de la codicia es precisamente la de ser "un instrumento de idolatría; porque va por el camino contrario" del trazado por Dios para los hombres. Y al respecto el Santo Padre citó a san Pablo, quien recuerda "que Jesucristo, que era rico, se hizo pobre para enriquecernos a nosotros". Así que hay un "camino de Dios", el "de la humildad, abajarse para servir", y un recorrido que va en la dirección opuesta, adonde conduce la codicia y la idolatría: "Tú que eres un pobre hombre, te haces dios por la vanidad".
Por este motivo -añadió el Pontífice- "Jesús dice cosas tan duras y fuertes contra el apego al dinero": por ejemplo, cuando recuerda "que no se puede servir a dos señores: o a Dios o al dinero"; o cuando exhorta "a no preocuparnos, porque el Señor sabe de qué tenemos necesidad"; o también cuando "nos lleva al abandono confiado hacia el Padre, que hace florecer los lirios del campo y da de comer a los pájaros del cielo".
La actitud en clara antítesis a esta confianza en la misericordia divina es precisamente la del protagonista de la parábola evangélica, quien no conseguía pensar en otra cosa más que en la abundancia del trigo recogido en los campos y en los bienes acumulados. Interrogándose sobre qué hacer con ello -explicó el Papa Francisco-, "podía decir: daré esto a otro para ayudarle". En cambio "la codicia le llevó a decir: construiré otros graneros y los llenaré. Cada vez más". Un comportamiento que, según el Papa, cela la ambición de alcanzar una especie de divinidad, "casi una divinidad idolátrica", como testimonian los pensamientos mismos del hombre: "Alma mía, tienes bienes almacenados para muchos años; descansa, come, bebe, banquetea alegremente".
Pero es precisamente entonces cuando Dios le reconduce a su realidad de criatura, poniéndole en guardia con la frase: "Necio, esta noche te van a reclamar el alma". Porque -observó el Obispo de Roma- "este camino contrario al camino de Dios es una necedad, lleva lejos de la vida. Destruye toda fraternidad humana". Mientras que el Señor nos muestra el verdadero camino. Que "no es el camino de la pobreza por la pobreza"; al contrario, "es el camino de la pobreza como instrumento, para que Dios sea Dios, para que Él sea el único Señor, no el ídolo de oro". En efecto, "todos los bienes que tenemos, el Señor nos los da para hacer marchar adelante el mundo, para que vaya adelante la humanidad, para ayudar a los demás".
De ahí el deseo de que "permanezca hoy en nuestro corazón la palabra del Señor", con su invitación a mantenerse lejos de la codicia, porque, "aunque uno esté en la abundancia, su vida no depende de lo que posee".
ÁNGELUS, Domingo 4 de agosto de 2013
Queridos hermanos y hermanas:
El domingo pasado me encontraba en Río de Janeiro. Se concluía la santa misa y la Jornada mundial de la juventud. Pienso que debemos todos juntos dar gracias al Señor por el gran don que este acontecimiento fue para Brasil, para América Latina y para todo el mundo. Fue una nueva etapa en la peregrinación de los jóvenes con la Cruz de Cristo por los continentes. No debemos olvidar nunca que las Jornadas mundiales de la juventud no son "fuegos artificiales", momentos de entusiasmo fines en sí mismos; son etapas de un largo camino, iniciado en 1985, por iniciativa del Papa Juan Pablo II. Él confió a los jóvenes la Cruz y dijo: ¡Id, y yo iré con vosotros! Y así fue. Esta peregrinación de los jóvenes continuó con el Papa Benedicto, y gracias a Dios también yo pude vivir esta maravillosa etapa en Brasil. Recordemos siempre: los jóvenes no siguen al Papa, siguen a Jesucristo, cargando su Cruz. El Papa los guía y los acompaña en este camino de fe y de esperanza. Agradezco por ello a todos los jóvenes que participaron, incluso a costa de sacrificios. Doy gracias al Señor también por los demás encuentros que mantuve con los Pastores y el pueblo de ese gran país que es Brasil, así como con las autoridades y los voluntarios. Que el Señor recompense a todos aquellos que trabajaron por esta gran fiesta de la fe. Quiero destacar también mi agradecimiento, muchas gracias a los brasileños. Buena gente la de Brasil, ¡un pueblo de gran corazón! No olvido su calurosa acogida, sus saludos, sus miradas, tanta alegría. Un pueblo generoso; pido al Señor que lo bendiga abundantemente.
Desearía pediros que recéis conmigo a fin de que los jóvenes que participaron en la Jornada mundial de la juventud puedan traducir esta experiencia en su camino cotidiano, en los comportamientos de todos los días; y que puedan traducirlos también en las opciones importantes de vida, respondiendo a la llamada personal del Señor. Hoy en la liturgia resuena la palabra provocadora de Qoèlet: "¡Vanidad de vanidades; todo es vanidad!" (Qo 1, 2). Los jóvenes son particularmente sensibles al vacío de significado y de valores que a menudo les rodea. Y lamentablemente pagan las consecuencias. En cambio, el encuentro con Jesús vivo, en su gran familia que es la Iglesia, colma el corazón de alegría, porque lo llena de vida auténtica, de un bien profundo, que no pasa y no se marchita: lo hemos visto en los rostros de los jóvenes en Río. Pero esta experiencia debe afrontar la vanidad cotidiana, el veneno del vacío que se insinúa en nuestras sociedades basadas en la ganancia y en el tener, que engañan a los jóvenes con el consumismo. El Evangelio de este domingo nos alerta precisamente de la absurdidad de fundar la propia felicidad en el tener. El rico dice a sí mismo: Alma mía, tienes a disposición muchos bienes... descansa, come, bebe y diviértete. Pero Dios le dice: Necio, esta noche te van a reclamar la vida. Y lo que has acumulado, ¿de quién será? (cf. Lc 12, 19-20).
Queridos hermanos y hermanas, la verdadera riqueza es el amor de Dios compartido con los hermanos. Ese amor que viene de Dios y que hace que lo compartamos entre nosotros y nos ayudemos. Quien experimenta esto no teme la muerte, y recibe la paz del corazón. Confiemos esta intención, la intención de recibir el amor de Dios y compartirlo con los hermanos, a la intercesión de la Virgen María.

Papa Benedicto XVI
ÁNGELUS, Palacio apostólico de Castelgandolfo, Domingo 1 de agosto de 2010
Queridos hermanos y hermanas:
Estos días se celebra la memoria litúrgica de algunos santos. Ayer recordamos a san Ignacio de Loyola, fundador de la Compañía de Jesús. Vivió en el siglo XVI; se convirtió leyendo la vida de Jesús y de los santos durante una larga hospitalización causada por una herida de batalla. Se quedó tan impresionado con aquellas páginas que decidió seguir al Señor. Hoy recordamos a san Alfonso María de Ligorio, fundador de los Redentoristas; vivió en el siglo XVIII y fue proclamado patrono de los confesores por el venerable Pío XII. Tuvo la conciencia de que Dios quiere que todos sean santos, cada uno según su propio estado, naturalmente. Esta semana la liturgia nos propone además a san Eusebio, primer obispo del Piamonte, valiente defensor de la divinidad de Cristo; y, finalmente, la figura de san Juan María Vianney, el cura de Ars, quien guió con su ejemplo el Año sacerdotal recién concluido y a cuya intercesión confío de nuevo a todos los pastores de la Iglesia. Empeño común de estos santos fue salvar a las almas y servir a la Iglesia con sus respectivos carismas, contribuyendo a renovarla y a enriquecerla. Estos hombres adquirieron "un corazón sabio" (Sal 89, 12) acumulando lo que no se corrompe y desechando cuanto irremediablemente es voluble en el tiempo: el poder, la riqueza y los placeres efímeros. Al elegir a Dios, poseyeron todo lo necesario, pregustando desde la vida terrena la eternidad (cf. Qo 1, 1-5)
En el Evangelio de este domingo, la enseñanza de Jesús se refiere precisamente a la verdadera sabiduría y está introducida por la petición de uno entre la multitud: "Maestro, di a mi hermano que reparta conmigo la herencia" (Lc 12, 13). Jesús, respondiendo, pone en guardia a quienes le oyen sobre la avidez de los bienes terrenos con la parábola del rico necio, quien, habiendo acumulado para él una abundante cosecha, deja de trabajar, consume sus bienes divirtiéndose y se hace la ilusión hasta de poder alejar la muerte. "Pero Dios le dijo: "¡Necio! Esta misma noche te reclamarán el alma; las cosas que preparaste, ¿para quién serán?"" (Lc 12, 20). El hombre necio, en la Biblia, es aquel que no quiere darse cuenta, desde la experiencia de las cosas visibles, de que nada dura para siempre, sino que todo pasa: la juventud y la fuerza física, las comodidades y los cargos de poder. Hacer que la propia vida dependa de realidades tan pasajeras es, por lo tanto, necedad. El hombre que confía en el Señor, en cambio, no teme las adversidades de la vida, ni siquiera la realidad ineludible de la muerte: es el hombre que ha adquirido "un corazón sabio", como los santos.
Al dirigir nuestra oración a María santísima, deseo recordar otras fiestas significativas: mañana se podrá ganar la indulgencia de la Porciúncula o "el Perdón de Asís", que obtuvo san Francisco en 1216 del Papa Honorio III; el jueves 5 de agosto, conmemorando la Dedicación de la Basílica de Santa María La Mayor, honraremos a la Madre de Dios, aclamada con este título en el concilio de Éfeso del año 431; y el próximo viernes, aniversario de la muerte del Papa Pablo VI, celebraremos la fiesta de la Transfiguración del Señor. La fecha del 6 de agosto, considerada el culmen de la luz estival, se eligió para significar que el esplendor del Rostro de Cristo ilumina el mundo entero.
Deseo expresar viva satisfacción por la entrada en vigor, precisamente hoy, de la Convención sobre la prohibición de las bombas de racimo que provocan daños inaceptables a los civiles. Mi primer pensamiento se dirige a las numerosas víctimas que han sufrido y siguen sufriendo graves daños físicos y morales, hasta la pérdida de la vida, a causa de estos insidiosos artefactos cuya permanencia en el terreno con frecuencia obstaculiza largamente la reanudación de las actividades diarias de comunidades enteras. Con la entrada en vigor de la nueva Convención, a cuya adhesión exhorto a todos los Estados, la comunidad internacional ha demostrado sabiduría, prudencia y capacidad para perseguir un resultado significativo en el campo del desarme y del derecho humanitario internacional. Mi deseo y aliento es que se continúe cada vez con mayor vigor en este camino, para la defensa de la dignidad y de la vida humana, para la promoción del desarrollo humano integral, para el establecimiento de un orden internacional pacífico y para la realización del bien común de todas las personas y de todos los pueblos.

DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica
Ciclo C. Decimoctavo domingo del Tiempo Ordinario.
La esperanza en los cielos nuevos y la tierra nueva
661 Esta última etapa permanece estrechamente unida a la primera es decir, a la bajada desde el cielo realizada en la Encarnación. Solo el que "salió del Padre" puede "volver al Padre": Cristo (cf. Jn 16, 28). "Nadie ha subido al cielo sino el que bajó del cielo, el Hijo del hombre" (Jn 3, 13; cf, Ef 4, 8-10). Dejada a sus fuerzas naturales, la humanidad no tiene acceso a la "Casa del Padre" (Jn 14, 2), a la vida y a la felicidad de Dios. Solo Cristo ha podido abrir este acceso al hombre, "ha querido precedernos como cabeza nuestra para que nosotros, miembros de su Cuerpo, vivamos con la ardiente esperanza de seguirlo en su Reino" (MR, Prefacio de la Ascensión).
1042 Al fin de los tiempos el Reino de Dios llegará a su plenitud. Después del juicio final, los justos reinarán para siempre con Cristo, glorificados en cuerpo y alma, y el mismo universo será renovado:
"La Iglesia … sólo llegará a su perfección en la gloria del cielo… cuando llegue el tiempo de la restauración universal y cuando, con la humanidad, también el universo entero, que está íntimamente unido al hombre y que alcanza su meta a través del hombre, quede perfectamente renovado en Cristo" (LG 48)
1043 La Sagrada Escritura llama "cielos nuevos y tierra nueva" a esta renovación misteriosa que trasformará la humanidad y el mundo (2 P 3, 13; cf. Ap 21, 1). Esta será la realización definitiva del designio de Dios de "hacer que todo tenga a Cristo por Cabeza, lo que está en los cielos y lo que está en la tierra" (Ef 1, 10).
1044 En este "universo nuevo" (Ap 21, 5), la Jerusalén celestial, Dios tendrá su morada entre los hombres. "Y enjugará toda lágrima de su ojos, y no habrá ya muerte ni habrá llanto, ni gritos ni fatigas, porque el mundo viejo ha pasado" (Ap 21, 4; cf. Ap 21, 27).
1045 Para el hombre esta consumación será la realización final de la unidad del género humano, querida por Dios desde la creación y de la que la Iglesia peregrina era "como el sacramento" (LG 1). Los que estén unidos a Cristo formarán la comunidad de los rescatados, la Ciudad Santa de Dios (Ap 21, 2), "la Esposa del Cordero" (Ap 21, 9). Ya no será herida por el pecado, las manchas (cf. Ap 21, 27), el amor propio, que destruyen o hieren la comunidad terrena de los hombres. La visión beatífica, en la que Dios se manifestará de modo inagotable a los elegidos, será la fuente inmensa de felicidad, de paz y de comunión mutua.
1046 En cuanto al cosmos, la Revelación afirma la profunda comunidad de destino del mundo material y del hombre:
"Pues la ansiosa espera de la creación desea vivamente la revelación de los hijos de Dios … en la esperanza de ser liberada de la servidumbre de la corrupción … Pues sabemos que la creación entera gime hasta el presente y sufre dolores de parto. Y no sólo ella; también nosotros, que poseemos las primicias del Espíritu, nosotros mismos gemimos en nuestro interior anhelando el rescate de nuestro cuerpo" (Rm 8, 19-23).
1047 Así pues, el universo visible también está destinado a ser transformado, "a fin de que el mundo mismo restaurado a su primitivo estado, ya sin ningún obstáculo esté al servicio de los justos", participando en su glorificación en Jesucristo resucitado (San Ireneo, haer. 5, 32, 1).
1048 "Ignoramos el momento de la consumación de la tierra y de la humanidad, y no sabemos cómo se transformará el universo. Ciertamente, la figura de este mundo, deformada por el pecado, pasa, pero se nos enseña que Dios ha preparado una nueva morada y una nueva tierra en la que habita la justicia y cuya bienaventuranza llenará y superará todos los deseos de paz que se levantan en los corazones de los hombres"(GS 39, 1).
1049 "No obstante, la espera de una tierra nueva no debe debilitar, sino más bien avivar la preocupación de cultivar esta tierra, donde crece aquel cuerpo de la nueva familia humana, que puede ofrecer ya un cierto esbozo del siglo nuevo. Por ello, aunque hay que distinguir cuidadosamente el progreso terreno del crecimiento del Reino de Cristo, sin embargo, el primero, en la medida en que puede contribuir a ordenar mejor la sociedad humana, interesa mucho al Reino de Dios" (GS 39, 2).
1050 "Todos estos frutos buenos de nuestra naturaleza y de nuestra diligencia, tras haberlos propagado por la tierra en el Espíritu del Señor y según su mandato, los encontramos después de nuevo, limpios de toda mancha, iluminados y transfigurados cuando Cristo entregue al Padre el reino eterno y universal" (GS 39, 3; cf. LG 2). Dios será entonces "todo en todos" (1 Co 15, 22), en la vida eterna:
"La vida subsistente y verdadera es el Padre que, por el Hijo y en el Espíritu Santo, derrama sobre todos sin excepción los dones celestiales. Gracias a su misericordia, nosotros también, hombres, hemos recibido la promesa indefectible de la vida eterna" (San Cirilo de Jerusalén, catechIll. 18, 29).
1821 Podemos, por tanto, esperar la gloria del cielo prometida por Dios a los que le aman (cf Rm 8, 28-30) y hacen su voluntad (cf Mt 7, 21). En toda circunstancia, cada uno debe esperar, con la gracia de Dios, "perseverar hasta el fin" (cf Mt 10, 22; cf Cc de Trento: DS 1541) y obtener el gozo del cielo, como eterna recompensa de Dios por las obras buenas realizadas con la gracia de Cristo. En la esperanza, la Iglesia implora que "todos los hombres se salven" (1Tm 2, 4). Espera estar en la gloria del cielo unida a Cristo, su esposo:
"Espera, espera, que no sabes cuándo vendrá el día ni la hora. Vela con cuidado, que todo se pasa con brevedad, aunque tu deseo hace lo cierto dudoso, y el tiempo breve largo. Mira que mientras más peleares, más mostrarás el amor que tienes a tu Dios y más te gozarás con tu Amado con gozo y deleite que no puede tener fin" (S. Teresa de Jesús, excl. 15, 3).
El desorden de las concupiscencias
2535 El apetito sensible nos impulsa a desear las cosas agradables que no tenemos. Así, desear comer cuando se tiene hambre, o calentarse cuando se tiene frío. Estos deseos son buenos en sí mismos; pero con frecuencia no guardan la medida de la razón y nos empujan a codiciar injustamente lo que no es nuestro y pertenece, o es debido a otro.
2536 El décimo mandamiento proscribe la avaricia y el deseo de una apropiación inmoderada de los bienes terrenos. Prohíbe el deseo desordenado nacido de lo pasión inmoderada de las riquezas y de su poder. Prohíbe también el deseo de cometer una injusticia mediante la cual se dañaría al prójimo en sus bienes temporales:
"Cuando la Ley nos dice: "No codiciarás", nos dice, en otros términos, que apartemos nuestros deseos de todo lo que no nos pertenece. Porque la sed del bien del prójimo es inmensa, infinita y jamás saciada, como está escrito: "El ojo del avaro no se satisface con su suerte" (Si 14, 9)" (Catec. R. 3, 37)
2537 No se quebranta este mandamiento deseando obtener cosas que pertenecen al prójimo siempre que sea por justos medios. La catequesis tradicional señala con realismo "quiénes son los que más deben luchar contra sus codicias pecaminosas" y a los que, por tanto, es preciso "exhortar más a observar este precepto":
"Los comerciantes, que desean la escasez o la carestía de las mercancías, que ven con tristeza que no son los únicos en comprar y vender, pues de lo contrario podrían vender más caro y comprar a precio más bajo; los que desean que sus semejantes estén en la miseria para lucrarse vendiéndoles o comprándoles… Los médicos, que desean tener enfermos; los abogados que anhelan causas y procesos importantes y numerosos… " (Cat. R. 3, 37).
2538 El décimo mandamiento exige que se destierre del corazón humano la envidia. Cuando el profeta Natán quiso estimular el arrepentimiento del rey David, le contó la historia del pobre que sólo poseía una oveja, a la que trataba como una hija, y del rico, a pesar de sus numerosos rebaños, envidiaba al primero y acabó por robarle la cordera (cf 2S 12, 1-4). La envidia puede conducir a las peores fechorías (cf Gn 4, 3-7; 1 R 21, 1-29). La muerte entró en el mundo por la envidia del diablo (cf Sb 2, 24).
"Luchamos entre nosotros, y es la envidia la que nos arma unos contra otros… Si todos se afanan así por perturbar el Cuerpo de Cristo, ¿a dónde llegaremos? Estamos debilitando el Cuerpo de Cristo… Nos declaramos miembros de un mismo organismo y nos devoramos como lo harían las fieras" (S. Juan Crisóstomo, hom. in 2Co, 28, 3-4).
2539 La envidia es un pecado capital. Designa la tristeza experimentada ante el bien del prójimo y el deseo desordenado de poseerlo, aunque sea indebidamente. Cuando desea al prójimo un mal grave es un pecado mortal:
San Agustín veía en la envidia el "pecado diabólico por excelencia" (ctech. 4, 8). "De la envidia nacen el odio, la maledicencia, la calumnia, la alegría causada por el mal del prójimo y la tristeza causada por su prosperidad" (s. Gregorio Magno, mor. 31, 45).
2540 La envidia representa una de las formas de la tristeza y, por tanto, un rechazo de la caridad; el bautizado debe luchar contra ella mediante la benevolencia. La envidia procede con frecuencia del orgullo; el bautizado ha de esforzarse por vivir en la humildad:
"¿Querríais ver a Dios glorificado por vosotros? Pues bien, alegraos del progreso de vuestro hermano y con ello Dios será glorificado por vosotros. Dios será alabado - se dirá - porque su siervo ha sabido vencer la envidia poniendo su alegría en los méritos de otros" (S. Juan Crisóstomo, hom. in Rom. 7, 3).
2547 El Señor se lamenta de los ricos porque encuentran su consuelo en la abundancia de bienes (Lc 6, 24). "El orgulloso busca el poder terreno, mientras el pobre en espíritu busca el Reino de los Cielos" (S. Agustín, serm. Dom. 1, 1). El abandono en la Providencia del Padre del Cielo libera de la inquietud por el mañana (cf Mt 6, 25-34). La confianza en Dios dispone a la bienaventuranza de los pobres: ellos verán a Dios.
2728 Por último, en este combate hay que hacer frente a lo que es sentido como fracasos en la oración: desaliento ante la sequedad, tristeza de no entregarnos totalmente al Señor, porque tenemos "muchos bienes" (cf Mc 10, 22), decepción por no ser escuchados según nuestra propia voluntad, herida de nuestro orgullo que se endurece en nuestra indignidad de pecadores, alergia a la gratuidad de la oración… La conclusión es siempre la misma: ¿Para qué orar? Es necesario luchar con humildad, confianza y perseverancia, si se quieren vencer estos obstáculos.

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Año C
Oremos al Señor, nuestro Dios, rico para todos los que lo invocan.
- Por la Iglesia, para que se muestre desprendida y así pueda decir a todos dónde está la verdadera riqueza. Roguemos al Señor.
- Por los responsables de la economía, para que sepan crear riqueza y distribuirla justamente. Roguemos al Señor.
- Por los que corren peligro de acumular riquezas para sí, como el rico de la parábola, para que comprendan que su vida no depende de sus bienes. Roguemos al Señor.
- Por nosotros mismos, para que no caigamos en la tentación de la codicia, sepamos valorar los bienes terrenos con criterios evangélicos y aspiremos a los bienes de arriba. Roguemos al Señor.
Señor, Dios nuestro, que la riqueza de tu misericordia llene el vacío de nuestras vidas. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las Ofrendas
Te pedimos, Señor, que, en tu bondad, santifiques estos dones, aceptes la ofrenda de este sacrificio espiritual y nos transformes en oblación perenne. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Propítius, Dómine, quaesumus, haec dona sanctífica, et, hóstiae spiritális oblatióne suscépta, nosmetípsos tibi pérfice munus aetérnum. Per Christum.

PREFACIO VIII DOMINICAL DEL TIEMPO ORDINARIO
LA IGLESIA UNIFICADA POR VIRTUD YA IMAGEN DE LA TRINIDAD
En verdad es justo y necesario, es nuestro deber y salvación darte gracias siempre y en todo lugar, Señor, Padre santo, Dios todopoderoso y eterno.
Porque has querido reunir de nuevo, por la sangre de tu Hijo y la fuerza del Espíritu, a los hijos dispersos por el pecado; de este modo tu Iglesia, unificada por virtud y a imagen de la Trinidad, aparece ante el mundo como cuerpo de Cristo y templo del Espíritu, para alabanza de tu infinita sabiduría.
Por eso, unidos a los coros angélicos, te alabamos proclamando llenos de alegría:

Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus:
Quia fílios, quos longe peccáti crimen abstúlerat, per sánguinem Fílii tui Spiritúsque virtúte, in unum ad te dénuo congregáre voluísti: ut plebs, de unitáte Trinitátis adunáta, in tuae laudem sapiéntiae multifórmis Christi corpus templúmque Spíritus noscerétur Ecclésia.
Et ídeo, choris angélicis sociáti, te laudámus in gáudio confiténtes:

Santo, Santo, Santo…

PLEGARIA EUCARÍSTICA I o CANON ROMANO

Antífona de la comunión Cf. Sab 17, 20

Señor, nos diste el pan del cielo, lleno de toda delicia y grato a cualquier gusto.
Panem de caelo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum, et omnem sapórem suavitátis.
O bien: Cf. Jn 6, 35
Yo soy el pan de vida. El que viene a mí no tendrá hambre y el que cree en mí no tendrá sed jamás, dice el Señor.
Ego sum panis vitae, dicit Dóminus. Qui venit ad me non esúriet, et qui credit in me non sítiet.

Oración después de la comunión
A quienes has renovado con el don del cielo, acompáñalos siempre con tu auxilio, Señor, y, ya que no cesas de reconfortarlos, haz que sean dignos de la redención eterna. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Quos caelésti récreas múnere, perpétuo, Dómine, comitáre praesídio, et, quos fovére non désinis, dignos fíeri sempitérna redemptióne concéde. Per Christum.

MARTIROLOGIO

Elogios del 1 de agosto
M
emoria de san Alfonso María de Ligorio, obispo y doctor de la Iglesia, que refulgió por su celo por las almas y por sus escritos, su palabra y su ejemplo. A fin de promover la vida cristiana en el pueblo, trabajó infatigablemente predicando y escribiendo, especialmente sobre teología moral, disciplina en la que es considerado maestro, y tras muchos obstáculos, fundó la Congregación del Santísimo Redentor, para evangelizar a la gente falta de formación. Elegido obispo de Sant' Agata dei Goti, se entregó de modo excepcional a este ministerio, que tuvo que dejar quince años después aquejado por graves enfermedades, y pasó el resto de su vida en Nocera de’Pagani, en Campania, Italia, tras grandes sacrificios y dificultades. (1787)
2. Conmemoración del triunfo de los siete santos hermanos mártires, que en Antioquía de Siria, hoy Turquía, por su invencible fidelidad en el cumplimiento de la Ley del Señor, durante el reinado de Antioco Epifanes sufrieron un fin cruel, al igual que su madre, que presenció con dolor la muerte de cada uno de sus hijos, coronada de gloria en todos ellos, como se nos refiere en el libro de los Macabeos.
Asimismo, conmemoración también de san Eleazar, uno de los escribas más destacados, varón de edad ya avanzada, que en la misma persecución se negó a comer carne prohibida para salvar su vida, aceptó una muerte gloriosísima antes que una vida ignominiosa, y se adelantó de buen grado al lugar del suplicio, mostrando un admirable ejemplo de virtud.
3. En Roma, en la trigésima milla de la vía Prenestina, san Secundino, mártir. (s. inc)
4. En Girona, en la Hispania Tarraconense, san Félix, mártir, en la persecución bajo el emperador Diocleciano. (s. IV in.)
5. En Vercelli, en la región italiana de Liguria, muerte de san Eusebio, obispo, cuya conmemoración se celebra el día siguiente. (371)
6*. En Bayeux, en la Galia Lugdunense, actual Francia, san Exsuperio, a quien se venera como primer obispo de esa ciudad. (c. s. IV)
7*. En la región de Aquitania, también en la Francia actual, san Severo, presbítero, que empleó sus bienes para la construcción de iglesias y para el servicio a los pobres. (c. 500)
8*. En la isla Besné, cerca de Nantes, de nuevo en Francia, santos Friardo y Secundino, este último diácono, ambos eremitas. (s. VI)
9*. En Marchiennes, en la Galia Bélgica, igualmente en Francia, san Jonato, abad, discípulo de san Amando. (c. 690)
10. En Winchester, en Inglaterra, sepultura de san Ethelwoldo, obispo, que compuso la famosa Concordia Regular, para la renovación de la disciplina monástica que había aprendido de san Dunstán. (984)
11*. En Aosta, en los Alpes Grayos, en Italia, beato Emerico de Quart, obispo, admirable por su austeridad de vida y por su celo en la salvación de las almas. (1313)
12*. En Rieti, ciudad de la Sabina, en la actual región italiana del Lacio, beato Juan Bufalari, religioso de la Orden de Ermitaños de San Agustín, joven humilde y amable, siempre dispuesto a ayudar a su prójimo. (c. 1336)
13*. En Roma, san Pedro Favre, presbítero, que fue el primero entre los miembros de la Orden de la Compañía de Jesús que soportó difíciles responsabilidades en diversas partes de Europa, y murió en la Urbe, mientras participaba en el Concilio de Trento. (1546) Canonizado 2013
14*. En York, en Inglaterra, beato Tomás Welbourne, mártir. el cual, maestro de escuela, durante el reinado de Jacobo I fue condenado a muerte por haber aconsejado seguir al Romano Pontífice y, ahorcado en el patíbulo, se configuró en el martirio con Cristo, sumo Maestro. (1605)
15*. En la ciudad Nam Dinh, en Tonkín, hoy Vietnam, santos Domingo Nguyen Van Hanh (Dieu), de la orden de Predicadores, y Bernardo Vu Van Due, presbíteros y mártires, que murieron decapitados por su fe en Cristo, en tiempo del emperador Minh Mang. (1838)
16. En la aldea La Mure, junto al río Isar, en Francia, muerte de san Pedro Julián Eymard, presbítero, cuya conmemoración se celebra mañana. (1868)
17*. En Madrid, en España, beato Bienvenido (José) de Miguel Arahal, presbítero de los Terciarios Capuchinos de Nuestra Señora de los Dolores y mártir, que en el furor de la persecución contra la fe derramó su sangre por Cristo. (1936)
18*. En el campo de concentración de Dachau, cercano a Munich, en Alemania, beato Alexis Sobaszek, presbítero y mártir, el cual, nacido en Polonia, en tiempo de guerra fue deportado inhumanamente por los invasores de su patria, y por Cristo murió entre torturas en defensa de la fe. (1942)
19*. En el bosque cercano a la ciudad de Nowogródek, en Polonia, beatas María Estrella del Santísimo Sacramento (Adelhéidis) Mardosewicz y sus diez compañeras*, de la Congregación de Misioneras Hijas de la Sagrada Familia de Nazaret, vírgenes y mártires, que en los funesto tiempo de guerra, entraron en la gloria de los cielos al ser fusiladas por los enemigos de la fe. (1943)
*Sus nombres: Beata María Imelda de Jesús Hostia (Hedwigis Carolina) Zak, María Raimunda de Jesús y María (Ana) Kukolowicz, María Daniela de Jesús y María Inmaculada (Eleonora Aniela) Jozwik, María Canuta de Jesús en el Huerto de Getsemaní (Josefa) Chrobot, María Sergia de la Virgen Dolorosa (Julia) Rapiej, María Guidona de la Divina Providencia (Helena) Cierpka, María Felicidad (Paulina) Borowik, María Heliodora (Leocadia) Matuszewska, María Canisia (Eugenia) Mackiewicz y María Boromea (Verónica) Tarmontowicz.
- Beato Gerhard Hirschfelder (1907- Dachau 1942). Sacerdote diocesano, perteneciente al primer grupo de sacerdotes del movimiento de Schönstatt, mártir, asesinado durante el régimen nazi en el campo de concentracion de Dachau.

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