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Domingo 4 diciembre 2022, II Domingo de Adviento, ciclo A.

lunes, 13 de junio de 2022

Domingo 17 julio 2022, XVI Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C.

SOBRE LITURGIA

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI VESCOVI E SACERDOTI DELLE CHIESE DI SICILIA

Sala Clementina. Giovedì, 9 giugno 2022

Cari fratelli!

Sono contento di incontrarvi. Ricordo con gioia il mio viaggio a Piazza Armerina e a Palermo: non l’ho dimenticato. Ringrazio Monsignor Antonino Raspanti per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Tenendo presente la realtà che lui ha presentato, vorrei condividere alcune riflessioni. Un altro luogo che non ho dimenticato dei viaggi è Agrigento, il primo che ho fatto, davanti alla tragedia di Lampedusa.

Il cambiamento d’epoca nel quale ci troviamo a vivere richiede scelte coraggiose, anche se ponderate e, soprattutto, illuminate con il discernimento dello Spirito Santo. Questo cambiamento sta mettendo a dura prova soprattutto i legami sociali e affettivi, come la pandemia ha ancor più chiaramente evidenziato. L’atteggiamento responsabile con cui viverlo, come in altre fasi storiche, è accoglierlo con consapevolezza e con una «fiduciosa presa in carico della realtà, ancorata alla sapiente Tradizione viva e vivente della Chiesa, che può permettersi di prendere il largo senza paura» (Discorso al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, 17 febbraio 2022).

La Sicilia non è fuori da questo cambiamento; anzi, come è accaduto in passato, si trova al centro di percorsi storici che i popoli continentali disegnano. Essa ha spesso accolto i passaggi di questi popoli, ora dominatori ora migranti, e accogliendoli li ha integrati nel suo tessuto, sviluppando una propria cultura. Ricordo quando, circa 40 anni fa, mi hanno fatto vedere un film sulla Sicilia: “Kaos”, si chiamava. Erano quattro racconti di Pirandello, il grande siciliano. Sono rimasto stupito da quella bellezza, da quella cultura, da quella “insularità continentale”, diciamo così… Ma questo non significa che sia un’isola felice, perché la condizione di insularità incide profondamente sulla società siciliana, finendo per mettere in maggior risalto le contraddizioni che portiamo dentro di noi. Sicché si assiste in Sicilia a comportamenti e gesti improntati a grandi virtù come a crudeli efferatezze. Come pure, accanto a capolavori di straordinaria bellezza artistica si vedono scene di trascuratezza mortificanti. E ugualmente, a fronte di uomini e donne di grande cultura, molti bambini e ragazzi evadono la scuola rimanendo tagliati fuori da una vita umana dignitosa. La quotidianità siciliana assume forti tinte, come gli intensi colori del cielo e dei fiori, dei campi e del mare, che risplendono per la forza della luminosità solare. Non a caso tanto sangue è stato versato per la mano di violenti ma anche per la resistenza umile ed eroica dei santi e dei giusti, servitori della Chiesa e dello Stato.

L’attuale situazione sociale della Sicilia è in netta regressione da anni; un preciso segnale è lo spopolamento dell’Isola, dovuto sia al calo delle nascite – questo inverno demografico che stiamo vivendo tutti noi – sia all’emigrazione massiccia di giovani. La sfiducia nelle istituzioni raggiunge livelli elevati e la disfunzione dei servizi appesantisce lo svolgimento delle pratiche quotidiane, nonostante gli sforzi di persone valide e oneste, che vorrebbero impegnarsi e cambiare il sistema. Occorre comprendere come e in quale direzione la Sicilia sta vivendo il cambiamento d’epoca e quali strade potrebbe intraprendere, per annunciare, nelle fratture e nelle giunture di questo cambiamento, il Vangelo di Cristo.

Tale compito, pur essendo affidato all’intero popolo di Dio, chiede a noi sacerdoti e vescovi il servizio pieno, totale ed esclusivo. A fronte di questa grande sfida, anche la Chiesa risente della situazione generale con le sue pesantezze e le sue svolte, registrando un calo di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, ma soprattutto un distacco crescente dei giovani. I giovani stentano a percepire nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali un aiuto alla loro ricerca del senso della vita; e non sempre vi scorgono la chiara presa di distanza da vecchi modi di agire, errati e perfino immorali, per imboccare decisamente la strada della giustizia e dell’onestà. Mi sono addolorato quando ho dovuto avere nelle mani qualche pratica che è arrivata alle Congregazioni romane per qualche giudizio su sacerdoti e persone di Chiesa: ma come mai, come mai si è arrivati a questa strada di ingiustizia e disonestà?

Non sono mancate, tuttavia, in passato, e non mancano ancora oggi, figure di sacerdoti e fedeli che abbracciano pienamente le sorti del popolo siciliano: come non ricordare i Beati don Pino Puglisi e Rosario Livatino, ma anche persone meno note, donne e uomini che hanno vissuto in ogni stato di vita la fedeltà a Cristo e al popolo? Come ignorare il silenzioso lavoro, tenace e amorevole, di tanti sacerdoti in mezzo alla gente sfiduciata o senza lavoro, in mezzo ai fanciulli o agli anziani sempre più soli? E a proposito dei sacerdoti che sono vicini ai vecchi, ho ricevuto poco tempo fa una lettera da uno dei vostri sacerdoti, che mi raccontava come aveva accompagnato il vecchio parroco negli ultimi tempi di vita, fino all’ultimo momento. Tornava stanchissimo dal lavoro, ma la prima cosa era andare dal “vecchio” e raccontargli le cose, farlo felice; e poi portarlo a letto, accompagnarlo fino a che si addormentasse… Questi sono gesti grandi, grandi! E questa grandezza c’è anche fra voi, nel vostro clero. La figura sacerdotale in mezzo al popolo, di bravi sacerdoti, è importante perché in Sicilia, si guarda ancora ai sacerdoti come a guide spirituali e morali, persone che possono anche contribuire a migliorare la vita civile e sociale dell’Isola, a sostenere la famiglia e ad essere riferimento per i giovani in crescita. Alta ed esigente è l’attesa della gente siciliana verso i sacerdoti. Non restare a metà del cammino, per favore!

Di fronte alla consapevolezza delle nostre debolezze, sappiamo che la volontà di Cristo ci pone nel cuore di questa sfida. La chiave di tutto è nella sua chiamata, sulla quale appoggiarci per prendere il largo e gettare ancora le reti. Noi non conosciamo nemmeno noi stessi, ma se torniamo alla chiamata, non possiamo ignorare quel Volto che ci ha incontrati e tratti dietro di sé, persino uniti a sé, come la nostra tradizione insegna quando afferma che nella liturgia agiamo addirittura “in persona Christi”. Questa unità piena, questa identificazione non possiamo limitarla alla celebrazione, bensì occorre viverla pienamente in ogni istante della vita, memori delle parole dell’apostolo Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

Se allora, nel sentimento della gente di Sicilia, prevale l’amarezza e la delusione per la distanza che la separa dalle zone più ricche ed evolute del Paese e dell’Europa; se tanti, soprattutto giovani, aspirano ad andare via per trovare standard di vita più ricchi e comodi, mentre chi rimane si porta dentro sentimenti di frustrazione; a maggior ragione noi pastori siamo chiamati ad abbracciare fino in fondo la vita di questo popolo. Non dimentichiamo i profeti d’Israele, che rimasero fedeli al popolo per la fedeltà di Dio all’alleanza, e lo seguirono fin nell’esilio. Come pure i saggi e i pii che nella diaspora sostennero il popolo fedele. Stare accanto, essere vicini, ecco quello che siamo chiamati a vivere, per la fedeltà di Dio; per amore suo stiamo accanto fino in fondo, fino alle estreme conseguenze, quando ad esse conducono le circostanze di giustizia, di riconciliazione, di onestà e di perdono. Vicinanza, compassione e tenerezza: questo è lo stile di Dio ed è anche lo stile del pastore. Lo stesso Signore dice al suo popolo: “Dimmi, quale popolo ha i suoi dei così vicini come tu hai me?”. La vicinanza, che è compassionevole, perdona tutto, è tenera. Abbraccia, accarezza.

Nell’“oggi” faticoso del popolo di Dio che è in Sicilia, i sacerdoti attingono quotidianamente questa forma di vita dall’Eucaristia. Lo dicevo parlando con voi a Palermo quattro anni fa: «Le parole dell’Istituzione delineano la nostra identità sacerdotale: ci ricordano che il prete è uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione» (Discorso al clero, ai religiosi e ai seminaristi, Palermo, 15 settembre 2018). E per favore, state attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine delude, alla fine delude. E ti lascia solo, perduto.

E poi vi anima la grande devozione mariana della Sicilia, consacrata a Maria Immacolata, per la quale insieme, vescovi e sacerdoti, avete preso l’abitudine di celebrare una Giornata Sacerdotale Mariana: continuate con questo. Il primo valore che si sottolinea con questa pratica è quello dell’unità, davvero cruciale dinanzi all’individualismo e alla frammentazione, se non alla divisione che incombe su di noi tutti. L’unità, dono del sacrificio pasquale di Gesù, è rafforzata con il metodo della sinodalità, che anche voi avete adottato tramite i percorsi formativi impostati sul tema «Con passo sinodale». Nelle varie iniziative per la formazione regionale del clero, è bello il vostro proposito di fare esercizi di sinodalità vivificando la fraternità e la paternità sacerdotale, di “camminare insieme” narrando reciprocamente le esperienze umane e spirituali, le iniziative pastorali, con sincerità e naturalezza, con gratitudine e stupore per i passi compiuti con l’aiuto dello Spirito. Un cammino, certamente, che richiede apertura alle sorprese di Dio nella nostra vita e negli snodi esistenziali delle nostre comunità, con la consapevolezza che attraverso l’ascolto, umile e sincero, possiamo vivere un discernimento che raggiunge il cuore e ci modifica interiormente.

L’altro valore è quello dell’affidamento a Maria, donna della tenerezza e della consolazione, della pazienza e della compassione. Tra il sacerdote e la Madre celeste si intreccia giorno dopo giorno un segreto dialogo che conforta e lenisce ogni ferita, che soprattutto allevia negli alti e bassi della quotidianità ai quali egli va incontro. In questo dialogo semplice, fatto di sguardi e di parole umili come quelle del Rosario, il sacerdote scopre come la perla della verginità di Maria, totalmente dedita a Dio, la renda madre tenera verso tutti. Così anche lui, quasi a sua insaputa, vede la fecondità di un celibato, a volte faticoso da portare avanti, ma prezioso e ricco nella sua trasparenza.

Non vorrei finire senza parlare di una cosa che mi preoccupa, mi preoccupa abbastanza. Mi domando: la riforma che il Concilio ha avviato, come va, fra voi? La pietà popolare è una grande ricchezza e dobbiamo custodirla, accompagnarla affinché non si perda. Anche educarla. Su questo leggete il n. 48 della Evangelii nuntiandi che ha piena attualità, quello che San Paolo VI ci diceva sulla pietà popolare: liberarla da ogni gesto superstizioso e prendere la sostanza che ha dentro. Ma la liturgia, come va? E lì io non so, perché non vado a Messa in Sicilia e non so come predicano i preti siciliani, se predicano come è stato suggerito nella Evangelii gaudium o se predicano in modo tale che la gente esce a fumare una sigaretta e poi torna… Quelle prediche in cui si parla di tutto e di niente. Tenete conto che dopo otto minuti l’attenzione cala, e la gente vuole sostanza. Un pensiero, un sentimento e un’immagine, e quello se lo porta per tutta la settimana. Ma come celebrano? Io non vado a Messa lì, ma ho visto delle fotografie. Parlo chiaro. Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete [berrette]…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella “moda” liturgica! Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna, no? Avete capito tutto, no?, avete capito. È bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma liturgica che il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti.

Cari fratelli, vi ringrazio tanto della vostra visita. Vi benedico e benedico le vostre comunità, benedico il loro cammino. Mi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me, perché ne ho bisogno.

Un’altra cosa… Questo non lo dico solo per la Sicilia, questo è universale: una delle cose che più distruggono la vita ecclesiale, sia la diocesi sia la parrocchia, è il chiacchiericcio, il chiacchiericcio che va insieme all’ambizione. Vi daranno uno scritto che ha fatto un Nunzio Apostolico sul chiacchiericcio, lo chiama “parola abusata”. Noi non riusciamo a mandare via il chiacchiericcio: anche dopo una riunione: Ciao, ci salutiamo, e incomincia: “Hai visto cosa ha detto quello, quell’altro, quell’altro…”. Il chiacchiericcio è una peste che distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge la personalità. E mi piace tanto l’immagine che ha messo nella copertina – poi lo vedrete perché ve ne daranno uno per ciascuno – c’è il segno del dito, che è il segno dell’identità, e uno che lo sfila, perché con il chiacchiericcio ti toglie l’identità, ti toglie l’appartenenza: questo fa il chiacchiericcio, con noi. Scusatemi se predico queste cose che sembrano da prima Comunione, ma sono cose essenziali: non dimenticarle!

Adesso vi darò la benedizione.

CALENDARIO

17 + XVI DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Misa
del Domingo (verde).
MISAL: ants. y oracs. props., Gl., Cr., Pf. dominical.
LECC.: vol. I (C).
- Gén 18, 1-10a.
Señor, no pases de largo junto a tu siervo.
- Sal 14. R. Señor, ¿quién puede hospedarse en tu tienda?
- Col 1, 24-28. El misterio escondido desde siglos, revelado ahora a los santos.
- Lc 10, 38-42. Marta lo recibió. María ha escogido la parte mejor.

El conocimiento del misterio de Cristo nos lleva a la madurez de nuestra vida cristiana. La riqueza de este misterio está en que Él es para nosotros la esperanza de la gloria (2 lect.). Conocer el misterio de Cristo es conocer el amor que Dios nos tiene, crecer en él y responder con amor. Es abandonar el pecado y pasar a una vida nueva (cf. orac. después de la comunión). La fe en el Señor Jesús que nos salva es una disposición fundamental a lo largo de nuestra vida. Marta y María (Ev.) saben escuchar y acoger al Señor: dos actitudes necesarias para abrirnos a la salvación. Estemos atentos al paso del Señor por nuestras vidas y como Abrahán pidámosle: «Señor, no pases de largo junto a tu siervo». En la eucaristía acogemos al Señor escuchando su Palabra y comiendo en su banquete.

* Hoy no se permiten las misas de difuntos, excepto la exequial.

Liturgia de las Horas: oficio dominical. Te Deum. Comp. Dom. II.

Martirologio: elogs. del 18 de julio, pág. 427.
CALENDARIOS: Zaragoza: Aniversario de la ordenación episcopal de Mons. Vicente Jiménez Zamora, arzobispo, emérito (2004)

TEXTOS MISA

XVI DOMINGO DEL TIEMPO ORDINARIO

Antífona de entrada Sal 53, 6. 8
Dios es mi auxilio, el Señor sostiene mi vida. Te ofreceré un sacrificio voluntario dando gracias a tu nombre, que es bueno.
Ecce Deus ádiuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimae meae. Voluntárie sacrificábo tibi, et confitébor nómini tuo, Dómine, quóniam bonum est.

Monición de entrada
Año C
Cada celebración en los domingos del tiempo ordinario es ocasión para conocer más a Cristo, profundizar en su amor y, con su gracia, seguirlo mejor en nuestra vida. El nos pide que pongamos todo nuestro corazón en escucharlo, de modo que su palabra se haga carne en nosotros, y respondamos a su invitación con sinceridad. Con alegría nos disponemos, como comunidad, a participar de este sacramento de salvación.

Acto penitencial
Todo como en el Ordinario de la Misa. Para la tercera fórmula pueden usarse las siguientes invocaciones:
Año C
- Tú, huésped y peregrino en medio de nosotros: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
- Tú, lo único necesario: Cristo, ten piedad.
R. Cristo, ten piedad.
- Tú, esperanza de la gloria: Señor, ten piedad.
R. Señor, ten piedad.
En lugar del acto penitencial, se puede celebrar el rito de la bendición y de la aspersión del agua bendita.

Se dice
 Gloria.

Oración colecta
Muéstrate propicio con tus siervos, Señor, y multiplica compasivo los dones de tu gracia sobre ellos, para que, encendidos de fe, esperanza y caridad, perseveren siempre, con observancia atenta, en tus mandatos. Por nuestro Señor Jesucristo.
Propitiáre, Dómine, fámulis tuis, et clémenter grátiae tuae super eos dona multíplica, ut, spe, fide et caritáte fervéntes, semper in mandátis tuis vígili custódia persevérent. Per Dóminum.

LITURGIA DE LA PALABRA
Lecturas del XVI Domingo del Tiempo Ordinario, ciclo C (Lec. I C).

PRIMERA LECTURA 18, 1-10a
Señor, no pases de largo junto a tu siervo
Lectura del libro del Génesis.

En aquellos días, el Señor se apareció a Abrahán junto a la encina de Mambré, mientras él estaba sentado a la puerta de la tienda, en lo más caluroso del día. Alzó la vista y vio tres hombres frente a él. Al verlos, corrió a su encuentro desde la puerta de la tienda, se postró en tierra y dijo:
«Señor mío, si he alcanzado tu favor, no pases de largo junto a tu siervo. Haré que traigan agua para que os lavéis los pies y descanséis junto al árbol. Mientras, traeré un bocado de
pan para que recobréis fuerzas antes de seguir, ya que habéis pasado junto a la casa de vuestro siervo».
Contestaron:
«Bien, haz lo que dices».
Abrahán entró corriendo en la tienda donde estaba Sara y le dijo:
«Aprisa, prepara tres cuartillos de flor de harina, amásalos y haz unas tortas».
Abrahán corrió enseguida a la vacada, escogió un ternero hermoso y se lo dio a un criado para que lo guisase de inmediato. Tomó también cuajada, leche y el ternero guisado y se lo sirvió. Mientras él estaba bajo el árbol, ellos comían.
Después le dijeron:
«Dónde está Sara, tu mujer?».
Contestó:
«Aquí, en la tienda».
Y uno añadió:
«Cuando yo vuelva a verte, dentro del tiempo de costumbre Sara habrá tenido un hijo».

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Salmo responsorial Sal 14, 2-3a. 3bc-4ab. 5 (R.: 1b)
R. Señor, ¿quién puede hospedarse en tu tienda?
Dómine, quis habitábit in tabernáculo tuo?

V. El que procede honradamente
y practica la justicia,
el que tiene intenciones leales
y no calumnia con su lengua.
R. Señor, ¿quién puede hospedarse en tu tienda?
Dómine, quis habitábit in tabernáculo tuo?

V. El que no hace mal a su prójimo
ni difama al vecino,
el que considera despreciable al impío
y honra a los que temen al Señor.
R. Señor, ¿quién puede hospedarse en tu tienda?
Dómine, quis habitábit in tabernáculo tuo?

V. El que no presta dinero a usura
ni acepta soborno contra el inocente.
El que así obra nunca fallará.
R. Señor, ¿quién puede hospedarse en tu tienda?
Dómine, quis habitábit in tabernáculo tuo?

SEGUNDA LECTURA Col 1, 24-28
El misterio escondido desde siglos, revelado ahora a los santos
Lectura de la carta del apóstol san Pablo a los Colosenses.

Hermanos:
Ahora me alegro de mis sufrimientos por vosotros: así completo en mi carne lo que falta a los padecimientos de Cristo, en favor de su cuerpo que es la Iglesia, de la cual Dios me ha nombrado servidor, conforme al encargo que me ha sido encomendado en orden a vosotros: llevar a plenitud la palabra de Dios, el misterio escondido desde siglos y generaciones y revelado ahora a sus santos, a quienes Dios ha querido dar a conocer cuál es la riqueza de la gloria de este misterio entre los gentiles, que es Cristo en vosotros, la esperanza de la gloria. Nosotros anunciamos a ese Cristo; amonestamos a todos, enseñamos a todos, con todos los recursos de la sabiduría, para presentarlos a todos perfectos en Cristo.

Palabra de Dios.
R. Te alabamos, Señor.

Aleluya Cf. Lc 8, 15
R. Aleluya, aleluya, aleluya.
V. Bienaventurados los que escuchan la palabra de Dios con un corazón noble y generoso, la guardan y dan fruto con perseverancia. R.
Beáti qui in corde bono et óptimo verbum Dei rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.

EVANGELIO Lc 10, 38-42
Marta lo recibió en su casa. María ha escogido la parte mejor
 Lectura del santo Evangelio según san Lucas.
R. Gloria a ti, Señor.

En aquel tiempo, entró Jesús en una aldea, y una mujer llamada Marta lo recibió en su casa.
Esta tenía una hermana llamada María, que, sentada junto a los pies del Señor, escuchaba su palabra.
Marta, en cambio, andaba muy afanada con los muchos servicios; hasta que, acercándose, dijo:
«Señor, ¿no te importa que mi hermana me haya dejado sola para servir? Dile que me eche una mano».
Respondiendo, le dijo el Señor:
«Marta, Marta, andas inquieta y preocupada con muchas cosas; solo una es necesaria. María, pues, ha escogido la parte mejor, y no le será quitada».

Palabra del Señor.
R. Gloria a ti, Señor Jesús.

Papa Francisco
ÁNGELUS. Domingo, 21 de julio de 2019
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
En el pasaje de este domingo, el evangelista Lucas narra la visita de Jesús a la casa de Marta y María, las hermanas de Lázaro (cf. Lc 10,38-42). Lo reciben, y María se sienta a sus pies para escucharlo; deja lo que estaba haciendo para estar cerca de Jesús: no quiere perderse ninguna de sus palabras. Todo debe dejarse de lado porque, cuando Él viene a visitarnos en nuestra vida, su presencia y su palabra vienen antes que todo. El Señor siempre nos sorprende: cuando empezamos a escucharlo realmente, las nubes se desvanecen, las dudas dan paso a la verdad, los miedos a la serenidad y las diferentes situaciones de la vida encuentran el lugar que les corresponde. El Señor siempre, cuando viene, arregla las cosas, incluso para nosotros.
En esta escena de María de Betania a los pies de Jesús, san Lucas muestra la actitud orante del creyente, que sabe cómo permanecer en la presencia del Maestro para escucharlo y estar en sintonía con Él. Se trata de hacer una parada durante el día, de recogerse en silencio, unos minutos, para dejar espacio al Señor que “pasa” y encontrar el valor de quedarse un poco “a solas” con Él, para volver luego, con serenidad y eficacia, a las cosas cotidianas. Elogiando el comportamiento de María, que «eligió la parte buena» (v. 42), Jesús parece repetirnos a cada uno de nosotros: “No te dejes llevar por las cosas que hacer; escucha antes que nada la voz del Señor, para desempeñar bien las tareas que la vida te asigna”.
Luego está la otra hermana, Marta. san Lucas dice que fue ella la que hospedó a Jesús (cf. v. 38). Tal vez Marta era la mayor de las dos hermanas, no lo sabemos, pero ciertamente aquella mujer tenía el carisma de la hospitalidad. Efectivamente, mientras María escucha a Jesús, ella está totalmente ocupada con otros quehaceres. Por eso, Jesús le dice: «Marta, Marta, te afanas y preocupas por muchas cosas» (v. 41). Con estas palabras, ciertamente no pretende condenar la actitud del servicio, sino más bien la ansiedad con la que a veces se vive. También nosotros compartimos las preocupaciones de santa Marta y, siguiendo su ejemplo, nos proponemos asegurarnos de que, en nuestras familias y en nuestras comunidades, vivamos el sentido de aceptación, de fraternidad, para que todos puedan sentirse “como en casa”, especialmente los pequeños y los pobres cuando llaman a la puerta.
El Evangelio de hoy nos recuerda, pues que la sabiduría del corazón reside precisamente en saber conjugar estos dos elementos: la contemplación y la acción. Marta y María nos muestran el camino. Si queremos disfrutar de la vida con alegría, debemos aunar estas dos actitudes: por un lado, el “estar a los pies” de Jesús, para escucharlo mientras nos revela el secreto de cada cosa; por otro, ser diligentes y estar listos para la hospitalidad, cuando Él pasa y llama a nuestra puerta, con el rostro de un amigo que necesita un momento de descanso y fraternidad. Hace falta esta hospitalidad.
¡Qué María Santísima, Madre de la Iglesia, nos conceda la gracia de amar y servir a Dios y a nuestros hermanos con las manos de Marta y el corazón de María, para que permaneciendo siempre a la escucha de Cristo podamos ser artesanos de paz y de esperanza! Y esto es interesante: con estas dos actitudes seremos artesanos de paz y de esperanza.

 Homilía en santa Marta, Martes 9 de octubre de 2018
Trabajo y contemplación
Cuenta el Evangelio de hoy (Lc 10, 38-42) de dos hermanas que han invitado a Jesús a comer. Y Jesús aprovecha el modo de obrar de estas dos hermanas para enseñarnos cómo debe progresar la vida del cristiano. "María, que, sentada junto a los pies del Señor, escuchaba su palabra. Marta, en cambio, andaba muy afanada con los muchos servicios". Ella misma se quejó a Jesús diciéndole: «Pero, Señor, esta no hace nada, te mira a ti y te escucha, pero aquí hace falta trabajar». Marta es una de esas mujeres fuertes, capaz incluso de regañar al Señor por no haber estado presente en la muerte de su hermano Lázaro. Sabe adelantarse, es valiente, pero le falta contemplación, es incapaz de perder el tiempo mirando al Señor. Hay tantos cristianos que van los domingos a Misa, pero luego están siempre ocupados. No tienen tiempo ni para los hijos, ni siquiera para jugar con sus hijos: y eso es malo. "Tengo tanto que hacer, estoy ocupadísimo…". Y al final se vuelven "devotos" de esa religión que es el "ocupacionismo": son del grupo de los ocupadísimos, que siempre están haciendo algo… Pero, ¡párate, mira al Señor, coge el Evangelio, escucha la Palabra del Señor, abre tu corazón…! Pero no, siempre el lenguaje de las manos, siempre… Y hacen el bien, pero no el bien cristiano, sino un bien humano. A esos les falta la contemplación. A Marta le faltaba eso.
Lo contrario, María. Lo suyo no es un "dolce far niente". Ella miraba el Señor porque le tocaba el corazón y de ahí, de la inspiración del Señor, es de donde viene el trabajo que se debe hacer luego. Es la regla de San Benito: "ora et labora", que encarnan monjes y monjas de clausura, los cuales, por cierto, no están todo el día mirando al cielo. Rezan y trabajan. Y sobre todo es lo que encarnó el apóstol Pablo, como está escrito en la primera lectura de hoy (Gal 1, 13-24): cuando Dios lo escogió no se fue a predicar enseguida, sino que se fue a rezar, a contemplar el misterio de Jesucristo que se le había revelado. Todo lo que hacía Pablo lo hacía con ese espíritu de contemplación, de mirar el Señor. Era el Señor quien hablaba desde su corazón, porque Pablo era un enamorado del Señor.
Y esa es la palabra clave para no equivocarse: enamorados. Nosotros, para saber de qué parte estamos, si exageramos porque nos quedamos en una contemplación demasiado abstracta, incluso gnóstica, o si estamos muy ocupados, debemos hacernos la pregunta: ¿Estoy enamorado del Señor? ¿Estoy seguro de que Él me ha elegido? ¿O vivo mi cristianismo así, haciendo cosas… sí, hago esto y lo otro…, pero mira el corazón, contempla?
Pensemos en una mujer, casada; el marido vuelve del trabajo, cansado... se quieren. Y ella le dice: "¿Cómo ha ido?" - "Bien, bien" - "Pues siéntate, ponte cómodo, que yo sigo trabajando". ¡Eso no es amor! Porque una mujer enamorada, cuando vuelve el marido del trabajo, lo abraza, lo besa, dedica tiempo para estar con él; y lo mismo el marido con la mujer. Esto significa que hay que dedicar tiempo ante el Señor, en la contemplación, y hacer lo que sea por el Señor al servicio de los demás. Contemplación y servicio: ese es el camino de nuestra vida. Cada uno que piense: ¿cuánto tiempo al día dedico a contemplar el misterio de Jesús? Y luego: ¿cómo trabajo? ¿Trabajo tanto que parece una alienación, o trabajo coherente con mi fe, trabajo como un servicio que viene del Evangelio? Nos vendrá bien pensar esto.
ÁNGELUS, Domingo 17 de julio de 2016
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
En el Evangelio de hoy el evangelista Lucas habla de Jesús que, mientras está de camino hacia Jerusalén, entra en un pueblo y es acogido en casa de las hermanas Marta y María (cf. Lc 10, 38-42). Ambas ofrecen acogida al Señor, pero lo hacen de modo diverso. María se sienta a los pies de Jesús y escucha su palabra (cf. v. 39), en cambio Marta estaba totalmente absorbida por las cosas que tiene que preparar; y en esto le dice a Jesús: «Señor, ¿no te importa que mi hermana me deje sola en el trabajo. Dile, pues, que me ayude» (v. 40). Y Jesús le responde «Marta, Marta, te preocupas y te agitas por muchas cosas; y hay necesidad de pocas, o mejor, de una sola. María ha elegido la parte buena, que no le será quitada» (vv. 41-42).
En su obrar hacendoso y de trabajo, Marta corre el riesgo de olvidar —y este es el problema— lo más importante, es decir, la presencia del huésped. Y al huésped no se le sirve, nutre y atiende de cualquier manera. Es necesario, sobre todo, que se le escuche. Recuerden bien esta palabra: escuchar. Porque al huésped se le acoge como persona, con su historia, su corazón rico de sentimientos y pensamientos, de modo que pueda sentirse verdaderamente en familia. Pero si tú acoges a un huésped en tu casa y continúas haciendo cosas, le haces sentarse ahí, mudo él y mudo tú, es como si fuera de piedra: el huésped de piedra. No. Al huésped se le escucha. Ciertamente, la respuesta que Jesús da a Marta —cuando le dice que una sola es la cosa de la que tiene necesidad— encuentra su pleno significado en referencia a la escucha de la palabra de Jesús mismo, esa palabra que ilumina y sostiene todo lo que somos y hacemos. Si nosotros vamos a rezar —por ejemplo— ante el Crucifijo, y hablamos, hablamos, hablamos y después nos vamos, no escuchamos a Jesús. No dejamos que Él hable a nuestro corazón. Escuchar: esta es la palabra clave. No lo olviden. Y no debemos olvidar que en la casa de Marta y María, Jesús, antes que ser Señor y Maestro, es peregrino y huésped. Por lo tanto, la respuesta tiene este primer y más importante significado: «Marta, Marta, ¿por qué te afanas tanto en hacer cosas para el huésped hasta olvidar su presencia? —El huésped de piedra— Para acogerlo no son necesarias muchas cosas; es más, necesaria es una cosa sola: escucharlo —he aquí la palabra: escucharlo—, demostrarle una actitud fraterna, de modo que se dé cuenta de que se está en familia, y no en una «hospitalización provisional».
Así entendida, la hospitalidad, que es una de las obras de misericordia, aparece verdaderamente como una virtud humana y cristiana, una virtud que en el mundo de hoy corre el riesgo de ser descuidada. En efecto, se multiplican los hospicios y asilos, pero no siempre en estos ambientes se practica una hospitalidad real. Se da vida a muchas instituciones que atienden distintas formas de enfermedad, de soledad, de marginación, pero disminuye la probabilidad para quien es extranjero, refugiado, inmigrante, de escuchar esa dolorosa historia. Incluso en la propia casa, entre los propios familiares puede suceder que encuentren fácilmente servicios y curas de varios tipos más que de escucha y acogida. Hoy estamos absorbidos por el frenesí, por tantos problemas —algunos de los cuales no resultan importantes— que carecemos de la capacidad de escuchar. Y yo quisiera preguntarles, hacerles una pregunta, cada uno responda en el propio corazón: tú, marido, ¿tienes tiempo para escuchar a tu mujer? Y tú, mujer, ¿tienes tiempo para escuchar a tu marido? Ustedes padres, ¿tienen tiempo que «perder» para escuchar a sus hijos, o a sus abuelos y a los ancianos? —«Pero los abuelos dicen siempre las mismas cosas, son aburridos...»— Pero tienen necesidad de ser escuchados. Escuchar. Les pido que aprendan a escuchar y a dedicarse más tiempo entre ustedes. En la capacidad de escucha está la raíz de la paz.
La Virgen María, Madre de la escucha y del servicio atento, nos enseña a ser acogedores y hospitalarios hacia nuestros hermanos y hermanas.

ÁNGELUS, Domingo 21 de julio de 2013
Queridos hermanos y hermanas, ¡buenos días!
También este domingo continúa la lectura del décimo capítulo del evangelista Lucas. El pasaje de hoy es el de Marta y María. ¿Quiénes son estas dos mujeres? Marta y María, hermanas de Lázaro, son parientes y fieles discípulas del Señor, que vivían en Betania. San Lucas las describe de este modo: María, a los pies de Jesús, "escuchaba su palabra", mientras que Marta estaba ocupada en muchos servicios (cf. Lc 10, 39-40). Ambas ofrecen acogida al Señor que está de paso, pero lo hacen de modo diverso. María se pone a los pies de Jesús, en escucha, Marta en cambio se deja absorber por las cosas que hay que preparar, y está tan ocupada que se dirige a Jesús diciendo: "Señor, ¿no te importa que mi hermana me haya dejado sola para servir? Dile que me eche una mano" (v. 40). Y Jesús le responde reprendiéndola con dulzura: "Marta, Marta, andas inquieta y preocupada con muchas cosas; sólo una es necesaria" (v. 41).
¿Qué quiere decir Jesús? ¿Cuál es esa cosa sola que necesitamos? Ante todo es importante comprender que no se trata de la contraposición entre dos actitudes: la escucha de la Palabra del Señor, la contemplación, y el servicio concreto al prójimo. No son dos actitudes contrapuestas, sino, al contrario, son dos aspectos, ambos esenciales para nuestra vida cristiana; aspectos que nunca se han de separar, sino vivir en profunda unidad y armonía. Pero entonces, ¿por qué Marta recibe la reprensión, si bien hecha con dulzura? Porque consideró esencial sólo lo que estaba haciendo, es decir, estaba demasiado absorbida y preocupada por las cosas que había que "hacer". En un cristiano, las obras de servicio y de caridad nunca están separadas de la fuente principal de cada acción nuestra: es decir, la escucha de la Palabra del Señor, el estar –como María– a los pies de Jesús, con la actitud del discípulo. Y por esto es que se reprende a Marta.
Que también en nuestra vida cristiana oración y acción estén siempre profundamente unidas. Una oración que no conduce a la acción concreta hacia el hermano pobre, enfermo, necesitado de ayuda, el hermano en dificultad, es una oración estéril e incompleta. Pero, del mismo modo, cuando en el servicio eclesial se está atento sólo al hacer, se da más peso a las cosas, a las funciones, a las estructuras, y se olvida la centralidad de Cristo, no se reserva tiempo para el diálogo con Él en la oración, se corre el riesgo de servirse a sí mismo y no a Dios presente en el hermano necesitado. San Benito resumía el estilo de vida que indicaba a sus monjes en dos palabras: "ora et labora", reza y trabaja. Es de la contemplación, de una fuerte relación de amistad con el Señor donde nace en nosotros la capacidad de vivir y llevar el amor de Dios, su misericordia, su ternura hacia los demás. Y también nuestro trabajo con el hermano necesitado, nuestro trabajo de caridad en las obras de misericordia, nos lleva al Señor, porque nosotros vemos precisamente al Señor en el hermano y en la hermana necesitados.
Pidamos a la Virgen María, Madre de la escucha y del servicio, que nos enseñe a meditar en nuestro corazón la Palabra de su Hijo, a rezar con fidelidad, para estar, cada vez más atentos, concretamente, a las necesidades de los hermanos.

Papa Benedicto XVI
ÁNGELUS, Castelgandolfo, Domingo 18 de julio de 2010
Queridos hermanos y hermanas:
Estamos ya en pleno verano, al menos en el hemisferio boreal. Es el tiempo en el que cierran las escuelas y se concentran la mayor parte de las vacaciones. También las actividades pastorales de las parroquias se reducen y yo mismo he suspendido las audiencias por un período. Es por lo tanto un momento favorable para dar el primer lugar a lo que efectivamente es más importante en la vida, o sea, la escucha de la Palabra del Señor. Así lo recuerda también el Evangelio de este domingo, con el célebre episodio de la visita de Jesús a casa de Marta y María, narrado por san Lucas (Lc 10, 38-42).
Marta y María son dos hermanas; tienen también un hermano, Lázaro, quien en este caso no aparece. Jesús pasa por su pueblo y –dice el texto– Marta le recibió (cf. 10, 38). Este detalle da a entender que, de las dos, Marta es la mayor, quien gobierna la casa. De hecho, después de que Jesús entró, María se sentó a sus pies a escucharle, mientras Marta está completamente ocupada en muchos servicios, debidos ciertamente al Huésped excepcional. Nos parece ver la escena: una hermana se mueve atareada y la otra como arrebatada por la presencia del Maestro y sus palabras. Poco después, Marta, evidentemente molesta, ya no aguanta y protesta, sintiéndose incluso con el derecho de criticar a Jesús: "Señor, ¿no te importa que mi hermana me deje sola en el trabajo? Dile, pues, que me ayude". Marta quería incluso dar lecciones al Maestro. En cambio Jesús, con gran calma, responde: "Marta, Marta –y este nombre repetido expresa el afecto–, te preocupas y te agitas por muchas cosas; y hay necesidad de pocas, o mejor, de una sola. María ha elegido la parte buena, que no le será quitada" (Lc 10, 41-42). La palabra de Cristo es clarísima: ningún desprecio por la vida activa, ni mucho menos por la generosa hospitalidad; sino una llamada clara al hecho de que lo único verdaderamente necesario es otra cosa: escuchar la Palabra del Señor; y el Señor en aquel momento está allí, ¡presente en la Persona de Jesús! Todo lo demás pasará y se nos quitará, pero la Palabra de Dios es eterna y da sentido a nuestra actividad cotidiana.
Queridos amigos: como decía, esta página del Evangelio es especialmente adecuada al tiempo de vacaciones, pues recuerda el hecho de que la persona humana debe trabajar, sí; empeñarse en las ocupaciones domésticas y profesionales; pero ante todo tiene necesidad de Dios, que es luz interior de amor y de verdad. Sin amor, hasta las actividades más importantes pierden valor y no dan alegría. Sin un significado profundo, toda nuestra acción se reduce a activismo estéril y desordenado. Y ¿quién nos da el amor y la verdad sino Jesucristo? Por eso aprendamos, hermanos, a ayudarnos los unos a los otros, a colaborar, pero antes aún a elegir juntos la parte mejor, que es y será siempre nuestro mayor bien.
AUDIENCIA GENERAL, Miércoles 25 de abril de 2012
Caridad con personas solas y necesitadas
Queridos hermanos y hermanas:
En la anterior catequesis mostré cómo la Iglesia, desde los inicios de su camino, tuvo que afrontar situaciones imprevistas, nuevas cuestiones y emergencias, a las que trató de dar respuesta a la luz de la fe, dejándose guiar por el Espíritu Santo. Hoy quiero reflexionar sobre otra de estas cuestiones: un problema serio que la primera comunidad cristiana de Jerusalén tuvo que afrontar y resolver, como nos narra san Lucas en el capítulo sexto de los Hechos de los Apóstoles, acerca de la pastoral de la caridad en favor de las personas solas y necesitadas de asistencia y ayuda. La cuestión no es secundaria para la Iglesia y corría el peligro de crear divisiones en su seno. De hecho, el número de los discípulos iba aumentando, pero los de lengua griega comenzaban a quejarse contra los de lengua hebrea porque en el servicio diario no se atendía a sus viudas (cf. Hch 6, 1). Ante esta urgencia, que afectaba a un aspecto fundamental en la vida de la comunidad, es decir, a la caridad con los débiles, los pobres, los indefensos, y la justicia, los Apóstoles convocan a todo el grupo de los discípulos. En este momento de emergencia pastoral resalta el discernimiento llevado a cabo por los Apóstoles. Se encuentran ante la exigencia primaria de anunciar la Palabra de Dios según el mandato del Señor, pero –aunque esa sea la exigencia primaria de la Iglesia– consideran con igual seriedad el deber de la caridad y la justicia, es decir, el deber de asistir a las viudas, a los pobres, proveer con amor a las situaciones de necesidad en que se hallan los hermanos y las hermanas, para responder al mandato de Jesús: amaos los unos a los otros como yo os he amado (cf. Jn 15, 12.17). Por consiguiente, las dos realidades que deben vivir en la Iglesia –el anuncio de la Palabra, el primado de Dios, y la caridad concreta, la justicia– están creando dificultad y se debe encontrar una solución, para que ambas puedan tener su lugar, su relación necesaria. La reflexión de los Apóstoles es muy clara. Como hemos escuchado, dicen: «No nos parece bien descuidar la Palabra de Dios para ocuparnos del servicio de las mesas. Por tanto, hermanos, escoged a siete de vosotros, hombres de buena fama, llenos de espíritu y de sabiduría, y les encargaremos esta tarea. Nosotros nos dedicaremos a la oración y al servicio de la Palabra» (Hch 6, 2-4).
Destacan dos cosas: en primer lugar, desde ese momento existe en la Iglesia un ministerio de la caridad. La Iglesia no sólo debe anunciar la Palabra, sino también realizar la Palabra, que es caridad y verdad. Y, en segundo lugar, estos hombres no sólo deben gozar de buena fama, sino que además deben ser hombres llenos de Espíritu Santo y de sabiduría, es decir, no pueden ser sólo organizadores que saben «actuar», sino que deben «actuar» con espíritu de fe a la luz de Dios, con sabiduría en el corazón; y, por lo tanto, también su función –aunque sea sobre todo práctica– es una función espiritual. La caridad y la justicia no son únicamente acciones sociales, sino que son acciones espirituales realizadas a la luz del Espíritu Santo. Así pues, podemos decir que los Apóstoles afrontan esta situación con gran responsabilidad, tomando una decisión: se elige a siete hombres de buena fama, los Apóstoles oran para pedir la fuerza del Espíritu Santo y luego les imponen las manos para que se dediquen de modo especial a esta diaconía de la caridad. Así, en la vida de la Iglesia, en los primeros pasos que da, se refleja, en cierta manera, lo que había acontecido durante la vida pública de Jesús, en casa de Marta y María, en Betania. Marta andaba muy afanada con el servicio de la hospitalidad que se debía ofrecer a Jesús y a sus discípulos; María, en cambio, se dedica a la escucha de la Palabra del Señor (cf. Lc 10, 38-42). En ambos casos, no se contraponen los momentos de la oración y de la escucha de Dios con la actividad diaria, con el ejercicio de la caridad. La amonestación de Jesús: «Marta, Marta, andas inquieta y preocupada con muchas cosas; sólo una es necesaria. María, pues, ha escogido la parte mejor, y no le será quitada» (Lc 10, 41-42), así como la reflexión de los Apóstoles: «Nosotros nos dedicaremos a la oración y al servicio de la Palabra» (Hch 6, 4), muestran la prioridad que debemos dar a Dios. No quiero entrar ahora en la interpretación de este pasaje de Marta y María. En cualquier caso, no se debe condenar la actividad en favor del prójimo, de los demás, sino que se debe subrayar que debe estar penetrada interiormente también por el espíritu de la contemplación. Por otra parte, san Agustín dice que esta realidad de María es una visión de nuestra situación en el cielo; por tanto, en la tierra nunca podemos tenerla completamente, sino sólo debe estar presente como anticipación en toda nuestra actividad. Debe estar presente también la contemplación de Dios. No debemos perdernos en el activismo puro, sino siempre también dejarnos penetrar en nuestra actividad por la luz de la Palabra de Dios y así aprender la verdadera caridad, el verdadero servicio al otro, que no tiene necesidad de muchas cosas –ciertamente, le hacen falta las cosas necesarias–, sino que tiene necesidad sobre todo del afecto de nuestro corazón, de la luz de Dios.
San Ambrosio, comentando el episodio de Marta y María, exhorta así a sus fieles y también a nosotros: «Tratemos, por tanto, de tener también nosotros lo que no se nos puede quitar, prestando a la Palabra del Señor una atención diligente, no distraída: sucede a veces que las semillas de la Palabra celestial, si se las siembra en el camino, desaparecen. Que te estimule también a ti, como a María, el deseo de saber: esta es la obra más grande, la más perfecta». Y añade que «ni siquiera la solicitud del ministerio debe distraer del conocimiento de la Palabra celestial», de la oración (Expositio Evangelii secundum Lucam, VII, 85: pl 15, 1720). Los santos, por lo tanto, han experimentado una profunda unidad de vida entre oración y acción, entre el amor total a Dios y el amor a los hermanos. San Bernando, que es un modelo de armonía entre contemplación y laboriosidad, en el libro De consideratione, dirigido al Papa Inocencio II para hacerle algunas reflexiones sobre su ministerio, insiste precisamente en la importancia del recogimiento interior, de la oración para defenderse de los peligros de una actividad excesiva, cualquiera que sea la condición en que se encuentre y la tarea que esté realizando. San Bernardo afirma que demasiadas ocupaciones, una vida frenética, a menudo acaban por endurecer el corazón y hacer sufrir el espíritu (cf. II, 3).
Es una valiosa amonestación para nosotros hoy, acostumbrados a valorarlo todo con el criterio de la productividad y de la eficiencia. El pasaje de los Hechos de los Apóstoles nos recuerda la importancia del trabajo –sin duda se crea un verdadero ministerio–, del empeño en las actividades diarias, que es preciso realizar con responsabilidad y esmero, pero también nuestra necesidad de Dios, de su guía, de su luz, que nos dan fuerza y esperanza. Sin la oración diaria vivida con fidelidad, nuestra actividad se vacía, pierde el alma profunda, se reduce a un simple activismo que, al final, deja insatisfechos. Hay una hermosa invocación de la tradición cristiana que se reza antes de cualquier actividad y dice así: «Actiones nostras, quæsumus, Domine, aspirando præveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur», «Inspira nuestras acciones, Señor, y acompáñalas con tu ayuda, para que todo nuestro hablar y actuar tenga en ti su inicio y su fin». Cada paso de nuestra vida, cada acción, también de la Iglesia, se debe hacer ante Dios, a la luz de su Palabra.
En la catequesis del miércoles pasado subrayé la oración unánime de la primera comunidad cristiana ante la prueba y cómo, precisamente en la oración, en la meditación sobre la Sagrada Escritura pudo comprender los acontecimientos que estaban sucediendo. Cuando la oración se alimenta de la Palabra de Dios, podemos ver la realidad con nuevos ojos, con los ojos de la fe, y el Señor, que habla a la mente y al corazón, da nueva luz al camino en todo momento y en toda situación. Nosotros creemos en la fuerza de la Palabra de Dios y de la oración. Incluso la dificultad que estaba viviendo la Iglesia ante el problema del servicio a los pobres, ante la cuestión de la caridad, se supera en la oración, a la luz de Dios, del Espíritu Santo. Los Apóstoles no se limitan a ratificar la elección de Esteban y de los demás hombres, sino que, «después de orar, les impusieron las manos» (Hch 6, 6). El evangelista recordará de nuevo estos gestos con ocasión de la elección de Pablo y Bernabé, donde leemos: «Entonces, después de ayunar y orar, les impusieron las manos y los enviaron» (Hch 13, 3). Esto confirma de nuevo que el servicio práctico de la caridad es un servicio espiritual. Ambas realidades deben ir juntas.
Con el gesto de la imposición de las manos los Apóstoles confieren un ministerio particular a siete hombres, para que se les dé la gracia correspondiente. Es importante que se subraye la oración –«después de orar», dicen– porque pone de relieve precisamente la dimensión espiritual del gesto; no se trata simplemente de conferir un encargo como sucede en una organización social, sino que es un evento eclesial en el que el Espíritu Santo se apropia de siete hombres escogidos por la Iglesia, consagrándolos en la Verdad, que es Jesucristo: él es el protagonista silencioso, presente en la imposición de las manos para que los elegidos sean transformados por su fuerza y santificados para afrontar los desafíos pastorales. El relieve que se da a la oración nos recuerda además que sólo de la relación íntima con Dios, cultivada cada día, nace la respuesta a la elección del Señor y se encomienda cualquier ministerio en la Iglesia.
Queridos hermanos y hermanas, el problema pastoral que impulsó a los Apóstoles a elegir y a imponer las manos sobre siete hombres encargados del servicio de la caridad, para dedicarse ellos a la oración y al anuncio de la Palabra, nos indica también a nosotros el primado de la oración y de la Palabra de Dios, que luego produce también la acción pastoral. Para los pastores, esta es la primera y más valiosa forma de servicio al rebaño que se les ha confiado. Si los pulmones de la oración y de la Palabra de Dios no alimentan la respiración de nuestra vida espiritual, corremos el peligro de asfixiarnos en medio de los mil afanes de cada día: la oración es la respiración del alma y de la vida. Hay otra valiosa observación que quiero subrayar: en la relación con Dios, en la escucha de su Palabra, en el diálogo con él, incluso cuando nos encontramos en el silencio de una iglesia o de nuestra habitación, estamos unidos en el Señor a tantos hermanos y hermanas en la fe, como un conjunto de instrumentos que, aun con su individualidad, elevan a Dios una única gran sinfonía de intercesión, de acción de gracias y de alabanza. Gracias.

DIRECTORIO HOMILÉTICO
Ap. I. La homilía y el Catecismo de la Iglesia Católica.
Ciclo C. Decimosexto domingo del Tiempo Ordinario.
La hospitalidad de Abrahán.
2571 Habiendo creído en Dios (cf Gn 15, 6), marchando en su presencia y en alianza con él (cf Gn 17, 2), el patriarca está dispuesto a acoger en su tienda al Huésped misterioso: es la admirable hospitalidad de Mambré, preludio a la anunciación del verdadero Hijo de la promesa (cf Gn 18, 1-15; Lc 1, 26-38). Desde entonces, habiéndole confiado Dios su Plan, el corazón de Abraham está en consonancia con la compasión de su Señor hacia los hombres y se atreve a interceder por ellos con una audaz confianza (cf Gn 18, 16-33).
Acoger al extranjero.
2241 Las naciones más prósperas tienen obligación de acoger, en cuanto sea posible, al extranjero que busca la seguridad y los medios de vida que no puede encontrar en su país de origen. Los poderes públicos deben velar para que se respete el derecho natural que coloca al huésped bajo la protección de quienes lo reciben.
Las autoridades civiles, atendiendo al bien común de aquellos que tienen a su cargo, pueden subordinar el ejercicio del derecho de inmigración a diversas condiciones jurídicas, especialmente en lo que concierne a los deberes de los emigrantes respecto al país de adopción. El inmigrante está obligado a respetar con gratitud el patrimonio material y espiritual del país que lo acoge, a obedecer sus leyes y contribuir a sus cargas.
La contemplación
2709 ¿Qué es esta oración? Santa Teresa responde: "no es otra cosa oración mental, a mi parecer, sino tratar de amistad, estando muchas veces tratando a solas con quien sabemos nos ama" (vida 8).
La contemplación busca al "amado de mi alma" (Ct 1, 7; cf Ct 3, 1 - 4). Esto es, a Jesús y en él, al Padre. Es buscado porque desearlo es siempre el comienzo del amor, y es buscado en la fe pura, esta fe que nos hace nacer de él y vivir en él. En la contemplación se puede también meditar, pero la mirada está centrada en el Señor.
2710 La elección del tiempo y de la duración de la oración de contemplación depende de una voluntad decidida reveladora de los secretos del corazón. No se hace contemplación cuando se tiene tiempo sino que se toma el tiempo de estar con el Señor con la firme decisión de no dejarlo y volverlo a tomar, cualesquiera que sean las pruebas y la sequedad del encuentro. No se puede meditar en todo momento, pero sí se puede entrar siempre en contemplación, independientemente de las condiciones de salud, trabajo o afectividad. El corazón es el lugar de la búsqueda y del encuentro, en la pobreza y en la fe.
2711 La entrada en la contemplación es análoga a la de la Liturgia eucarística: "recoger" el corazón, recoger todo nuestro ser bajo la moción del Espíritu Santo, habitar la morada del Señor que somos nosotros mismos, despertar la fe para entrar en la presencia de Aquél que nos espera, hacer que caigan nuestras máscaras y volver nuestro corazón hacia el Señor que nos ama para ponernos en sus manos como una ofrenda que hay que purificar y transformar.
2712 La contemplación es la oración del hijo de Dios, del pecador perdonado que consiente en acoger el amor con el que es amado y que quiere responder a él amando más todavía (cf Lc 7, 36-50; Lc 19, 1-10). Pero sabe que su amor, a su vez, es el que el Espíritu derrama en su corazón, porque todo es gracia por parte de Dios. La contemplación es la entrega humilde y pobre a la voluntad amante del Padre, en unión cada vez más profunda con su Hijo amado.
2713 Así, la contemplación es la expresión más sencilla del misterio de la oración. Es un don, una gracia; no puede ser acogida más que en la humildad y en la pobreza. La oración contemplativa es una relación de alianza establecida por Dios en el fondo de nuestro ser (cf Jr 31, 33). Es comunión: en ella, la Santísima Trinidad conforma al hombre, imagen de Dios, "a su semejanza".
2714 La contemplación es también el tiempo fuerte por excelencia de la oración. En ella, el Padre nos concede "que seamos vigorosamente fortalecidos por la acción de su Espíritu en el hombre interior, que Cristo habite por la fe en nuestros corazones y que quedemos arraigados y cimentados en el amor" (Ef 3, 16-17).
2715 La contemplación es mirada de fe, fijada en Jesús. "Yo le miro y él me mira", decía, en tiempos de su santo cura, un campesino de Ars que oraba ante el Sagrario. Esta atención a El es renuncia a "mí". Su mirada purifica el corazón. La luz de la mirada de Jesús ilumina los ojos de nuestro corazón; nos enseña a ver todo a la luz de su verdad y de su compasión por todos los hombres. La contemplación dirige también su mirada a los misterios de la vida de Cristo. Aprende así el "conocimiento interno del Señor" para más amarle y seguirle (cf San Ignacio de Loyola, ex. sp. 104).
2716 La contemplación es escucha de la palabra de Dios. Lejos de ser pasiva, esta escucha es la obediencia de la fe, acogida incondicional del siervo y adhesión amorosa del hijo. Participa en el "sí" del Hijo hecho siervo y en el "fiat" de su humilde esclava.
2717 La contemplación es silencio, este "símbolo del mundo venidero" (San Isaac de Nínive, tract. myst. 66) o "amor silencioso" (San Juan de la Cruz). Las palabras en la oración contemplativa no son discursos sino ramillas que alimentan el fuego del amor. En este silencio, insoportable para el hombre "exterior", el Padre nos da a conocer a su Verbo encarnado, sufriente, muerto y resucitado, y el Espíritu filial nos hace partícipes de la oración de Jesús.
2718 La contemplación es unión con la oración de Cristo en la medida en que ella nos hace participar en su misterio. El misterio de Cristo es celebrado por la Iglesia en la Eucaristía; y el Espíritu Santo lo hace vivir en la contemplación para que sea manifestado por medio de la caridad en acto.
2719 La contemplación es una comunión de amor portadora de vida para la multitud, en la medida en que se acepta vivir en la noche de la fe. La noche pascual de la resurrección pasa por la de la agonía y la del sepulcro. Son tres tiempos fuertes de la Hora de Jesús que su Espíritu (y no la "carne que es débil") hace vivir en la contemplación. Es necesario consentir en "velar una hora con él" (cf Mt 26, 40).
Participar del sufrimiento del Cuerpo de Cristo.
618 La Cruz es el único sacrificio de Cristo "único mediador entre Dios y los hombres" (1Tm 2, 5). Pero, porque en su Persona divina encarnada, "se ha unido en cierto modo con todo hombre" (GS 22, 2), él "ofrece a todos la posibilidad de que, en la forma de Dios sólo conocida, se asocien a este misterio pascual" (GS 22, 5). El llama a sus discípulos a "tomar su cruz y a seguirle" (Mt 16, 24) porque él "sufrió por nosotros dejándonos ejemplo para que sigamos sus huellas" (1P 2, 21). El quiere en efecto asociar a su sacrificio redentor a aquéllos mismos que son sus primeros beneficiarios(cf. Mc 10, 39; Jn 21, 18-19; Col 1, 24). Eso lo realiza en forma excelsa en su Madre, asociada más íntimamente que nadie al misterio de su sufrimiento redentor (cf. Lc 2, 35):
"Fuera de la Cruz no hay otra escala por donde subir al cielo" (Sta. Rosa de Lima, vida).
1508 El Espíritu Santo da a algunos un carisma especial de curación (cf 1Co 12, 9. 28. 30) para manifestar la fuerza de la gracia del Resucitado. Sin embargo, ni siquiera las oraciones más fervorosas obtienen la curación de todas las enfermedades. Así S. Pablo aprende del Señor que "mi gracia te basta, que mi fuerza se muestra perfecta en la flaqueza" (2Co 12, 9), y que los sufrimientos que tengo que padecer, tienen como sentido lo siguiente: "completo en mi carne lo que falta a las tribulaciones de Cristo, en favor de su Cuerpo, que es la Iglesia" (Col 1, 24).
La esperanza de la gloria” en la Iglesia y en sus sacramentos.
568 La Transfiguración de Cristo tiene por finalidad fortalecer la fe de los Apóstoles ante la proximidad de la Pasión: la subida a un "monte alto" prepara la subida al Calvario. Cristo, Cabeza de la Iglesia, manifiesta lo que su cuerpo contiene e irradia en los sacramentos: "la esperanza de la gloria" (Col 1, 27) (cf. S. León Magno, serm. 51, 3).
772 En la Iglesia es donde Cristo realiza y revela su propio misterio como la finalidad de designio de Dios: "recapitular todo en El" (Ef 1, 10). San Pablo llama "gran misterio" (Ef 5, 32) al desposorio de Cristo y de la Iglesia. Porque la Iglesia se une a Cristo como a su esposo (cf. Ef 5, 25-27), por eso se convierte a su vez en Misterio (cf. Ef 3, 9-11). Contemplando en ella el Misterio, San Pablo escribe: el misterio "es Cristo en vosotros, la esperanza de la gloria" (Col 1, 27)

Se dice Credo.

Oración de los fieles
Año C
Oremos a Dios Padre, que prepara su casa a los desvalidos.
- Por la Iglesia, que se siente solidaria con todos, para que sea hogar abierto, acogedor. Roguemos al Señor.
- Por todos los que tienen responsabilidades en la sociedad, para que procuren la necesaria convivencia de todos los ciudadanos en el respeto y estima mutuos. Roguemos al Señor.
- Por los hijos abandonados por sus padres, por los ancianos, por los emigrantes, para que encuentren siempre en la Iglesia calor y acogida. Roguemos al Señor.
- Por nosotros mismos, por nuestras familias, por nuestros grupos de amistad, para que tengamos siempre presentes, en nuestras relaciones personales, las palabras de Cristo: «El que os recibe a vosotros me recibe a mí». Roguemos al Señor.
Dios, Padre nuestro, que en tu Hijo Jesucristo has venido a visitarnos; acógenos por tu bondad, atiende nuestras súplicas. Por Jesucristo, nuestro Señor.

Oración sobre las ofrendas
Oh, Dios, que has llevado a la perfección del sacrificio único los diferentes sacrificios de la ley antigua, recibe la ofrenda de tus fieles siervos y santifica estos dones como bendijiste los de Abel, para que la oblación que ofrece cada uno de nosotros en alabanza de tu gloria, beneficie a la salvación de todos. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Deus, qui legálium differéntiam hostiárum uníus sacrifícii perfectióne sanxísti, áccipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica, ut, quod sínguli obtulérunt ad maiestátis tuae honórem, cunctis profíciat ad salútem. Per Christum.

PREFACIO VI DOMINICAL DEL TIEMPO ORDINARIO
LA PRENDA DE NUESTRA PASCUA ETERNA
En verdad es justo y necesario, es nuestro deber y salvación darte gracias siempre y en todo lugar, Señor, Padre santo, Dios todopoderoso y eterno.
En ti vivimos, nos movemos y existimos; y, todavía en nuestro cuerpo, no sólo experimentamos las pruebas cotidianas de tu amor, sino que poseemos ya en prenda la vida futura; pues esperamos gozar de la Pascua eterna, porque tenemos las primicias del Espíritu, por el que resucitaste a Jesús de entre los muertos.
Por eso, te alabamos con todos los ángeles, aclamándote llenos de alegría:

Vere dignum et iustum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus:
In quo vívimus, movémur et sumus, atque in hoc córpore constitúti non solum pietátis tuae cotidiános experímur efféctus, sed aeternitátis étiam pígnora iam tenémus. Primítias enim Spíritus habéntes, per quem suscitásti Iesum a mórtuis, paschále mystérium sperámus nobis esse perpétuum.
Unde et nos cum ómnibus Angelis te laudámus, iucúnda celebratióne clamántes:

Santo, Santo, Santo…

PLEGARIA EUCARÍSTICA III

Antífona de comunión Sal 110, 4-5

Ha hecho maravillas memorables, el Señor es piadoso y clemente. Él da alimento a los que lo temen.
Memóriam fecit mirabílium suórum miséricors et miserátor Dóminus; escam dedit timéntibus se.
O bien: Ap 3, 20
Mira, estoy a la puerta y llamo, dice el Señor. Si alguien escucha mi voz y abre la puerta, entraré en su casa y cenaré con él y él conmigo.
Ecce sto ad óstium et pulso, dicit Dóminus: si quis audíerit vocem meam, et aperúerit mihi iánuam, intrábo ad illum, et cenábo cum illo, et ipse mecum.

Oración después de la comunión
Asiste, Señor, a tu pueblo y haz que pasemos del antiguo pecado a la vida nueva los que hemos sido alimentados con los sacramentos del cielo. Por Jesucristo, nuestro Señor.
Pópulo tuo, quaesumus, Dómine, adésto propítius, et, quem mystériis caeléstibus imbuísti, fac ad novitátem vitae de vetustáte transíre. Per Christum.

MARTIROLOGIO

Elogios del 18 de julio
1. En Roma, en la novena milla de la vía Tiburtina, conmemoración de los santos Sinforosa y sus siete compañerosCrescente, Julián, Nemesio, Primitivo, Justino, Estacteo y Eugenio, todos mártires, que quedaron hermanados en Cristo tras padecer el sacrificio bajo diversas formas de tortura. (s. III/IV)
2. En Milán, en la región italiana de Liguria, san Materno, obispo, que, restituida la libertad de la Iglesia, trasladó con gran solemnidad desde Lodi a esta ciudad los cuerpos de los mártires Nabor y Félix. (s. IV)
3. En Silistra, en Mesia, hoy Bulgaria, san Emiliano, mártir, que, despreciando los edictos de Juliano el Apóstata y las amenazas de su vicario Catulino, derrumbó el altar de los ídolos para impedir los sacrificios, por lo que fue arrojado a un horno ardiente y alcanzó así la palma del martirio. (362)
4. En Brescia, en el territorio de Venecia, actualmente Italia, san Filastrio, obispo, cuya vida y muerte fueron alabados por su sucesor, san Gaudencio. (c. 397)
5. En Forlimpopoli, en la región de Emilia-Romaña, también en Italia, san Rufilo, obispo, a quien se tiene por el primero que gobernó esta Iglesia y condujo a toda la población rural de los alrededores a Cristo. (s. V)
6. En Metz, ciudad de Austrasia, hoy Francia, san Arnulfo, obispo, consejero de Dagoberto, rey de Austrasia, cargo al que renunció para abrazar la vida eremítica en los montes Vosgos. (640)
7. En Constantinopla, actual Estambul, en Turquía, santa Teodosia, monja, que sufrió el martirio por oponerse, como había ordenado el emperador León Isáurico, a que se arrojase una imagen de Cristo desde lo alto de la llamada Puerta de Bronce. (s. VIII)
8. En Utrecht, ciudad de Güeldres, en Austrasia, actualmente Holanda, san Federico, obispo, que, ilustre por sus conocimientos sobre las Sagradas Escrituras, se dedicó incansablemente a la evangelización de los frisones. (838)
9. En Segni, en la región italiana del Lacio, san Bruno, obispo, que trabajó y sufrió intensamente por la renovación de la Iglesia, y obligado por esto a dejar incluso su diócesis, encontró refugio en Montecasino, donde ejerció de abad  temporal del monasterio. (1123)
10*. En Cracovia, ciudad de Polonia, san Simeón de Lipnica, presbítero de la Orden de los Hermanos Menores, insigne por su predicación y por su devoción al nombre de Jesús, que, impulsado por su caridad, se entregó al cuidado de los apestados moribundos y deseó ardientemente incluso morir por ellos. (1482) Canonizado 2007.
11*. Cerca de Rochefort, en la costa de Francia, beato Juan Bautista de Bruselas, presbítero de Limoges y mártir, que durante la Revolución Francesa fue encarcelado en una nave destinada al traslado de esclavos, donde, consumido de miseria y atacado por la peste, descansó en el Señor. (1794)
12. En la ciudad de Nam Dinh, en Tonkín, hoy Vietnam, santo Domingo Nicolás Dinh Dat, mártir, el cual, siendo soldado, fue forzado a renunciar a la fe cristiana y, después de crueles tormentos, consiguieron que pisase una cruz, aunque inmediatamente se arrepintió y, para expiar la culpa de su apostasía, escribió al emperador Minh Mang pidiéndole que le juzgasen de nuevo como cristiano, a consecuencia de lo cual fue finalmente estrangulado. (1859)
13*. En la aldea de Krystonopil, en Ucrania, beata Tarsicia (Olga) Mackiv, vírgen de la Congregación de Hermanas Esclavas de María Inmaculada y mártir, que, en tiempo de guerra, consiguió ante sus perseguidores dos victorias: la de la virginidad y la del martirio. (1944)
- Beato Tiburcio Arnaiz Muñoz (1865- Málaga, España 1926). Sacerdote profeso de la Compañía de Jesús, fundador de las Misioneras de las Doctrinas Rurales († 1926).

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